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Enzo Pellegrino – Sull’orlo dell’anima
prima mostra personale di Enzo Pellegrino, docente di Filosofia e direttore del Laboratorio di scrittura creativa presso il Liceo Scentifico “Enrico Fermi” di Bologna
Comunicato stampa
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Si inaugura Sabato 16 Dicembre 2006 alle ore 18.00 la prima mostra personale di Enzo Pellegrino, docente di Filosofia e direttore del Laboratorio di scrittura creativa presso il Liceo Scentifico “Enrico Fermi” di Bologna.
„Una connessione aspra e sofferta, che non si può eludere, che si deve capire e accettare, stringe fra loro, in queste opere di Pellegrino, due momenti sempre separati, sempre giudicati remoti e disgiunti. Qui è come se Strapaese abbracciasse Stracittà, è come se le fogne urbane di Otto Dix chiamassero a sé le delizie umbratili di un pittore di Barbizon.
Ma questa coraggiosa e voluta e riuscita consonanza non ha nulla di casuale, scaturisce da un progetto, risente di uno sguardo filosofico che in Pellegrino è costantemente inevitabile. L’artista cammina e raccoglie, passeggia e scruta, si lascia catturare da una sorprendente trouvaille, è nel paesaggio, è tentato da crepuscoli e da meriggi, vede la genialità dell’occasione, vorrebbe tenerlo così quello scheletro di legno tanto insidiosamente contorto. E’ Vincent sulla strada di Tarascona (quello ripreso da Bacon…), sa che il sole è nero, non s’illude, ode il fischio spaventoso che atterrisce la Malinconia di Durer, va avanti, cammina ancora: ma un messaggio gli viene da un piccolo tronco che ha stretto a sé un sasso dotato di un’anima dannata. E allora raccoglie, accosta, colleziona. Questa natura sospetta gli invia i suoi agenti segreti, lui li riceve, ne scruta l’anima, li porta via con sé. Ma, tornato in studio, non si lascia dominare dal condizionamento più che evidente. Prende i pennelli, spreme i tubetti, usa l’olio, pulisce con l’acquaragia: l’occulto messaggero deve venire a patti con una tecnica pittorica elaborata, intensa, dove ogni lieve carezza coloristica è meditata e ribadita. La natura perde l’idillio che, del resto, di suo non ha mai posseduto. E’ il trionfo della mestica pittorica, l’incubo del demone meridiano perde la propria incantata protervia, cede alle urgenze di un artista che ridisegna, ricompone, ridefinisce. Ma lo strazio non si perde. Dalle braccia di legno mortifere si va fino alle strade, alle lagune, ai mari notturni. Ci sono ore che non sanno di orologi, sembra che il professor Giacomo Boni scopra adesso il Lapis niger e ne resti folgorato, sembra che Ensor ascolti Cristo mentre predica a Bruges, sembra che l’eremita Iperione scorga il silenzio astioso e beffardo di un larario domestico dove Stephen King ha collocato, uno per uno, i suoi demoni di famiglia. Perché ci sono legni casalinghi, utilizzati da capomastri deceduti da mezzo millennio: Pellegrino supera la barriera derelitta del Museo Contadino e dipinge su antichi taglieri che gli tendono tranelli. Volti che nascono da tagli, mani che si formano su bitorzoli, superfici terrificanti come le pustole di Mattia il pittore: è un’ indecente riverniciatura da seconde case e fine settimane coatti che qui si screpola e si dilegua. Su un’asse tagliata così da secoli appare una strada notturna di oggi, su un brandello di porta che chiudeva un’alcova da nobile silvestre appaiono le tracce di una caligine da traffico intenso.
Tornato alle radici del Mito il pittore ne scandisce la genesi lancinante: qui c’era un Pan da pomeriggio proustiano, ma occorre tornare indietro, scavare ancora, chiedere aiuto ad altri sciamani. E loro propongono di aggiungere ancora una lamella di carminio, di rendere più cospicuo ancora il corredo pittorico. Che la sofferenza sia privata di alibi, che il fuoco dei contrasti arda senza il conforto dei caminetti, che le storie notturne vivano del cupo nereggiare del Perturbante.”
Antonio Faeti
„Una connessione aspra e sofferta, che non si può eludere, che si deve capire e accettare, stringe fra loro, in queste opere di Pellegrino, due momenti sempre separati, sempre giudicati remoti e disgiunti. Qui è come se Strapaese abbracciasse Stracittà, è come se le fogne urbane di Otto Dix chiamassero a sé le delizie umbratili di un pittore di Barbizon.
Ma questa coraggiosa e voluta e riuscita consonanza non ha nulla di casuale, scaturisce da un progetto, risente di uno sguardo filosofico che in Pellegrino è costantemente inevitabile. L’artista cammina e raccoglie, passeggia e scruta, si lascia catturare da una sorprendente trouvaille, è nel paesaggio, è tentato da crepuscoli e da meriggi, vede la genialità dell’occasione, vorrebbe tenerlo così quello scheletro di legno tanto insidiosamente contorto. E’ Vincent sulla strada di Tarascona (quello ripreso da Bacon…), sa che il sole è nero, non s’illude, ode il fischio spaventoso che atterrisce la Malinconia di Durer, va avanti, cammina ancora: ma un messaggio gli viene da un piccolo tronco che ha stretto a sé un sasso dotato di un’anima dannata. E allora raccoglie, accosta, colleziona. Questa natura sospetta gli invia i suoi agenti segreti, lui li riceve, ne scruta l’anima, li porta via con sé. Ma, tornato in studio, non si lascia dominare dal condizionamento più che evidente. Prende i pennelli, spreme i tubetti, usa l’olio, pulisce con l’acquaragia: l’occulto messaggero deve venire a patti con una tecnica pittorica elaborata, intensa, dove ogni lieve carezza coloristica è meditata e ribadita. La natura perde l’idillio che, del resto, di suo non ha mai posseduto. E’ il trionfo della mestica pittorica, l’incubo del demone meridiano perde la propria incantata protervia, cede alle urgenze di un artista che ridisegna, ricompone, ridefinisce. Ma lo strazio non si perde. Dalle braccia di legno mortifere si va fino alle strade, alle lagune, ai mari notturni. Ci sono ore che non sanno di orologi, sembra che il professor Giacomo Boni scopra adesso il Lapis niger e ne resti folgorato, sembra che Ensor ascolti Cristo mentre predica a Bruges, sembra che l’eremita Iperione scorga il silenzio astioso e beffardo di un larario domestico dove Stephen King ha collocato, uno per uno, i suoi demoni di famiglia. Perché ci sono legni casalinghi, utilizzati da capomastri deceduti da mezzo millennio: Pellegrino supera la barriera derelitta del Museo Contadino e dipinge su antichi taglieri che gli tendono tranelli. Volti che nascono da tagli, mani che si formano su bitorzoli, superfici terrificanti come le pustole di Mattia il pittore: è un’ indecente riverniciatura da seconde case e fine settimane coatti che qui si screpola e si dilegua. Su un’asse tagliata così da secoli appare una strada notturna di oggi, su un brandello di porta che chiudeva un’alcova da nobile silvestre appaiono le tracce di una caligine da traffico intenso.
Tornato alle radici del Mito il pittore ne scandisce la genesi lancinante: qui c’era un Pan da pomeriggio proustiano, ma occorre tornare indietro, scavare ancora, chiedere aiuto ad altri sciamani. E loro propongono di aggiungere ancora una lamella di carminio, di rendere più cospicuo ancora il corredo pittorico. Che la sofferenza sia privata di alibi, che il fuoco dei contrasti arda senza il conforto dei caminetti, che le storie notturne vivano del cupo nereggiare del Perturbante.”
Antonio Faeti
16
dicembre 2006
Enzo Pellegrino – Sull’orlo dell’anima
Dal 16 dicembre 2006 al 06 gennaio 2007
arte contemporanea
Location
GALLERIA D’ARTE IL TEMPO
Bologna, Via Giovan Battista Morgagni, 7, (Bologna)
Bologna, Via Giovan Battista Morgagni, 7, (Bologna)
Orario di apertura
Dal Lunedi al. Venerdi dalle 16.00 alle 20.00, Sabato dalle 09.00 alle 13.00. Domenica chiuso
Vernissage
16 Dicembre 2006, ore 18
Autore
Curatore