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Francesco Tabusso – Ma come era figurativo quel mio Mondrian astratto
Dipinti dal 2001 al 2006
Comunicato stampa
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[…] Monsieur Tabusso, direbbe Molière, fa della poesia senza saperlo, credendo di fare la prosa, umilmente. Parla il linguaggio antico degli archetipi, come strappati al mondo delle Idee, trasformato qui però in una conciliante cantina sociale, in una rassicurante trattoria di campagna.
Lui ‘mangia’ la vita e la pittura, con la golosità dispiegata di quei tubetti, turgidi di colore, disseminati nel suo felice “Nello studio”: che paion piuttosto tubetti di gianduiotto fuso, pronti a spararsi in bocca, mentre sulla tavolozza il sangue rosso o color mosto del pigmento, appena spremuto, ha la consistenza gommosa d’un pasticcino da visita del pomeriggio. – I pennelli come sigari secchi, nella bocca slabbrata del barattolo da cucina –. Piatto, spiattellato, squadernato: la prospettiva di Tabusso è come un perenne à-plat tassonomico; vedi la tentazione enciclopedica dell’ammutolito, umiliato “Studioso naturalista”: le cose distillate e pizzicate dalla natura, funghi farfalle coleotteri ghiandaie, si dispongono nella parete-lavagna con la stessa lieta spensieratezza, con cui si centellinano e conversano sul tavolo da pranzo-lavoro – con la corona nobilitante d’un tutto Linneo allineato. Ma non è un vero à-plat, nabis od orientalista che sia, quello di Tabusso, tutt’altro: perché poi non è mai davvero piatto, spianato, spatolato con tasselli sordi di materie, ma è semmai squillante ‘staccato’ musicale, con il clarino dispiegato e brunito della Gagliarda di Baschenis: soffice, corposo, pienotto. Quasi capitonné. La pittura nella pittura, sempre solo accennata, graffita, ridotta al bianconero del disegno accademico – anemica sinopia: Tersicore nuda ed arpista, che graffia la tela, improvvisamente impoverita (e così nella schiena schieliana di “Nello Studio”).
Ma gli oggetti tutti, i melograni, le noci, i fichi, le violette, le conchiglie, i mappamondi, le lumache imburrate e decapitate, hanno una consistenza araldica, soda, di monete solide e spendibili, nel paradiso spiccio della golosità incolpevole. C’è qualcosa sempre di fertile, di offerto, di esposto, come di ostento, in questa sua pittura sillabata e distillata allo sguardo, lucidata di una felicità più lombarda od emiliana, che non sparagnina, piemontese, come in quell’offerta musicale del Ragazzo di Baschenis, dagli occhi sgranati, che offre i suoi biscotti come se fossero maliziose collezioni di capezzoli recisi. […]
dalla presentazione in catalogo di Marco Vallora
Lui ‘mangia’ la vita e la pittura, con la golosità dispiegata di quei tubetti, turgidi di colore, disseminati nel suo felice “Nello studio”: che paion piuttosto tubetti di gianduiotto fuso, pronti a spararsi in bocca, mentre sulla tavolozza il sangue rosso o color mosto del pigmento, appena spremuto, ha la consistenza gommosa d’un pasticcino da visita del pomeriggio. – I pennelli come sigari secchi, nella bocca slabbrata del barattolo da cucina –. Piatto, spiattellato, squadernato: la prospettiva di Tabusso è come un perenne à-plat tassonomico; vedi la tentazione enciclopedica dell’ammutolito, umiliato “Studioso naturalista”: le cose distillate e pizzicate dalla natura, funghi farfalle coleotteri ghiandaie, si dispongono nella parete-lavagna con la stessa lieta spensieratezza, con cui si centellinano e conversano sul tavolo da pranzo-lavoro – con la corona nobilitante d’un tutto Linneo allineato. Ma non è un vero à-plat, nabis od orientalista che sia, quello di Tabusso, tutt’altro: perché poi non è mai davvero piatto, spianato, spatolato con tasselli sordi di materie, ma è semmai squillante ‘staccato’ musicale, con il clarino dispiegato e brunito della Gagliarda di Baschenis: soffice, corposo, pienotto. Quasi capitonné. La pittura nella pittura, sempre solo accennata, graffita, ridotta al bianconero del disegno accademico – anemica sinopia: Tersicore nuda ed arpista, che graffia la tela, improvvisamente impoverita (e così nella schiena schieliana di “Nello Studio”).
Ma gli oggetti tutti, i melograni, le noci, i fichi, le violette, le conchiglie, i mappamondi, le lumache imburrate e decapitate, hanno una consistenza araldica, soda, di monete solide e spendibili, nel paradiso spiccio della golosità incolpevole. C’è qualcosa sempre di fertile, di offerto, di esposto, come di ostento, in questa sua pittura sillabata e distillata allo sguardo, lucidata di una felicità più lombarda od emiliana, che non sparagnina, piemontese, come in quell’offerta musicale del Ragazzo di Baschenis, dagli occhi sgranati, che offre i suoi biscotti come se fossero maliziose collezioni di capezzoli recisi. […]
dalla presentazione in catalogo di Marco Vallora
24
marzo 2007
Francesco Tabusso – Ma come era figurativo quel mio Mondrian astratto
Dal 24 marzo al 05 maggio 2007
arte contemporanea
Location
GALLERIA CERIBELLI
Bergamo, Via San Tomaso, 86, (Bergamo)
Bergamo, Via San Tomaso, 86, (Bergamo)
Vernissage
24 Marzo 2007, ore 18
Editore
LUBRINA
Autore