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Dino Maccini – Rivisitazioni
In questo suo lavoro Maccini riesce in qualche modo a recuperare anche la tradizione piacentina più recente
Comunicato stampa
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Sembra che con i mosaicisti a Piacenza non si possa mai stare tranquilli, e così questa arte antica che penseremmo strettamente e pianamente legata a un discorso di abbellimento dell’architettura (un pavimento, una volta, una lunetta) passando dalla Romagna di millecinquecento anni fa all’Emilia di oggi diventa un’arte che si vuol rendere protagonista a tutto tondo: facendosi magari tridimensionale, oppure facendosi addirittura flessibile, se il caso è quello di tessere disposte su un supporto in grado di piegarsi.
Quando Bruno Sichel scopre il mosaico – questo è infatti, tra i recenti, il predecessore più illustre nella nostra città per Dino Maccini – la scoperta avviene per caso. Un antiquario gli paga il lavoro di restauro di un dipinto con un cofanetto pieno di pietre dure e Sichel comincia a giocarci immaginando cosa fare di quelle ametiste, di quei turchesi, dei granati, dei coralli e dei cammei. Decide di provare a comporci un mosaico, e ne esce un mosaico bizzarro, dove le pietre sgomitano e quasi non accettano di piegarsi a comporre il gioco delle linee. Sichel è pressoché un autodidatta nella disciplina, solo in un secondo momento si impadronirà alla perfezione delle tecniche, ma intanto avrà prodotto opere, anche di tema sacro, davvero singolari.
Il caso di Dino Maccini invece procede in senso inverso: messa a fuoco la sua passione va a Ravenna e segue l’insegnamento di Marco Santi, impara perfettamente a padroneggiare ogni fase del lavoro, da quella del disegno (in cui era già fondato come pittore) a quella della realizzazione delle tessere (questa fase la impara così bene da provare orrore per le tessere prefabbricate che si trovano in vendita), da quella della posa a quella finale in cui ci si libera della calcina e il mosaico riesce finalmente svelato. Solo dopo che la mano è sicura lascia straripare la sua fantasia. Ecco allora che a fianco delle figurazioni tradizionali, di tema magari sacro (il S. Antonio Abate di Via Trebbiola, la “Lunetta” di San Pietro sovrastante l'ingresso della chiesa di Montale, l’altare della chiesa Beato Scalabrini a Fiorenzuola), si liberano le inserzioni di materiale musivo su pezzi di legno o di metallo, la realizzazione dei mosaici flessibili di cui si diceva all’inizio che valgono come arazzi, e ancora i giochi fatti con la luce perché la pasta di vetro la lascia trapelare e allora è bello provare a realizzare anche una lampada.
In questo suo lavoro Maccini riesce in qualche modo a recuperare anche la tradizione piacentina più recente. Le murrine che possiamo trovare tra le tessere che compongono le sue Cravatte ci rimandano con la memoria alle pietre dure tutte di forma tondeggiante che segnano l’esordio di Sichel, mentre motivi come quelli delle pagine (Strane storie) o dei libri ci fanno pensare magari ad Armodio, oppure a L’albero dei desideri di Roberto Tonelli, anche se in Maccini il trattamento è chiaramente diverso. Questo per dire che la fantasia generosa di questo artista fa parte anche di una tradizione nobile, di assoluta qualità, che caratterizza la nostra città e più in generale la zona padana. Gli esiti non si negano talvolta un certo tasso di astrattezza: anche questo a dire che per l’artista il mosaico si smarca dall’essere ancillare all’architettura e diventa protagonista, opera finita in sé, e continuiamo a crederlo vedendo i tondi, Tre Q, che sono sculture di mosaico in senso proprio.
In fin dei conti quello che succede è questo: una tecnica antica fatta di pietra acquista tra le mani di Maccini una grande leggerezza, un movimento inaspettato, lo stesso espresso dalle Farfalle che qualche fortunato collezionista può vedere ogni giorno nel privato della sua casa.
Quando Bruno Sichel scopre il mosaico – questo è infatti, tra i recenti, il predecessore più illustre nella nostra città per Dino Maccini – la scoperta avviene per caso. Un antiquario gli paga il lavoro di restauro di un dipinto con un cofanetto pieno di pietre dure e Sichel comincia a giocarci immaginando cosa fare di quelle ametiste, di quei turchesi, dei granati, dei coralli e dei cammei. Decide di provare a comporci un mosaico, e ne esce un mosaico bizzarro, dove le pietre sgomitano e quasi non accettano di piegarsi a comporre il gioco delle linee. Sichel è pressoché un autodidatta nella disciplina, solo in un secondo momento si impadronirà alla perfezione delle tecniche, ma intanto avrà prodotto opere, anche di tema sacro, davvero singolari.
Il caso di Dino Maccini invece procede in senso inverso: messa a fuoco la sua passione va a Ravenna e segue l’insegnamento di Marco Santi, impara perfettamente a padroneggiare ogni fase del lavoro, da quella del disegno (in cui era già fondato come pittore) a quella della realizzazione delle tessere (questa fase la impara così bene da provare orrore per le tessere prefabbricate che si trovano in vendita), da quella della posa a quella finale in cui ci si libera della calcina e il mosaico riesce finalmente svelato. Solo dopo che la mano è sicura lascia straripare la sua fantasia. Ecco allora che a fianco delle figurazioni tradizionali, di tema magari sacro (il S. Antonio Abate di Via Trebbiola, la “Lunetta” di San Pietro sovrastante l'ingresso della chiesa di Montale, l’altare della chiesa Beato Scalabrini a Fiorenzuola), si liberano le inserzioni di materiale musivo su pezzi di legno o di metallo, la realizzazione dei mosaici flessibili di cui si diceva all’inizio che valgono come arazzi, e ancora i giochi fatti con la luce perché la pasta di vetro la lascia trapelare e allora è bello provare a realizzare anche una lampada.
In questo suo lavoro Maccini riesce in qualche modo a recuperare anche la tradizione piacentina più recente. Le murrine che possiamo trovare tra le tessere che compongono le sue Cravatte ci rimandano con la memoria alle pietre dure tutte di forma tondeggiante che segnano l’esordio di Sichel, mentre motivi come quelli delle pagine (Strane storie) o dei libri ci fanno pensare magari ad Armodio, oppure a L’albero dei desideri di Roberto Tonelli, anche se in Maccini il trattamento è chiaramente diverso. Questo per dire che la fantasia generosa di questo artista fa parte anche di una tradizione nobile, di assoluta qualità, che caratterizza la nostra città e più in generale la zona padana. Gli esiti non si negano talvolta un certo tasso di astrattezza: anche questo a dire che per l’artista il mosaico si smarca dall’essere ancillare all’architettura e diventa protagonista, opera finita in sé, e continuiamo a crederlo vedendo i tondi, Tre Q, che sono sculture di mosaico in senso proprio.
In fin dei conti quello che succede è questo: una tecnica antica fatta di pietra acquista tra le mani di Maccini una grande leggerezza, un movimento inaspettato, lo stesso espresso dalle Farfalle che qualche fortunato collezionista può vedere ogni giorno nel privato della sua casa.
24
marzo 2007
Dino Maccini – Rivisitazioni
Dal 24 marzo al 09 aprile 2007
arte contemporanea
arti decorative e industriali
arti decorative e industriali
Location
MUSEI CIVICI DI PALAZZO FARNESE
Piacenza, Piazza Cittadella, 29, (Piacenza)
Piacenza, Piazza Cittadella, 29, (Piacenza)
Orario di apertura
da Martedì a Domenica 10 - 13, 15 -19
Vernissage
24 Marzo 2007, ore 18
Autore