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Giuseppe Veneziano – Self Portrait
quattordici personaggi per un autoritratto
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Autoritratto dell'artista assente
di Ivan Quaroni
Può sembrare presuntuoso che un giovane artista decida di fare una mostra presentando una carrellata di ritratti di personaggi illustri che hanno indelebilmente segnato la sua formazione culturale. E un pizzico di presunzione, a dire il vero, c’è in questa specie di diario per immagini dei suoi primi trentacinque anni. Anche se si tratta di una presunzione ironica, che usa la forma canonica del racconto biografico adolescenziale per fornirci una rappresentazione cinica e scanzonata dei tempi moderni, senza però rinunciare a un po’ di sana autocelebrazione. Guardando la sequenza di icone santificate da Veneziano, la memoria corre a un fumetto di Andrea Pazienza, un riferimento, come vedremo, niente affatto casuale. Nelle vignette di “La Prolisseide. Tutti gli uomini importanti che mi hanno conosciuto”, il disegnatore illustra, infatti, i suoi incontri con personaggi famosi, da Nanni Balestrini a Hugo Pratt, da Federico Fellini a Eva Robbins, passando per Lucio Dalla e Francesco Guccini. Anche qui c’è una forma di presunzione, evidente nel ribaltamento di prospettiva del sottotitolo, dove sono gli uomini importanti a conoscere Andrea Pazienza e non viceversa. Lo stesso si può dire del titolo di questa mostra, Self Portrait, che sottolinea non la notorietà dei personaggi dipinti, quanto la loro inclusione nell’identikit di Giuseppe Veneziano, il quale si appropria, con un atto di vampirismo mediatico degno di un vero artista pop, dell’aura di eroi ed eroine della cultura di massa, di protagonisti della cronaca, di artisti e scrittori presenti e passati e perfino di personaggi della fiction. Nella sua personalissima hit parade, troviamo tutto e il contrario di tutto, dai capisaldi del maledettismo letterario (Charles Baudelaire e Charles Bukowski) alla pornodiva più famosa di tutti i tempi (Cicciolina), dal campione del rock nostrano (Vasco Rossi) all’idolo decadente per eccellenza (Jim Morrison), dal più filosofo degli architetti (Louis I. Khan) al più geniale dei surrealisti (Salvator Dalì), fino ad arrivare a character fittizi come Rambo e l’Uomo Tigre e ad artisti come il pittore Marco Cingolani e lo scrittore Andrea G. Pinketts.
Al di là dell’autocompiacimento goliardico, ampiamente testimoniato dal divertente testo biografico che accompagna questo catalogo e che, in verità, costituisce la prima fonte d’ispirazione di questa serie di lavori, Giuseppe Veneziano allestisce questa nuova avventura espositiva assecondando la sua inclinazione post-moderna a mescolare elementi e suggestioni di estrazione diversa, se non addirittura contraddittori.
Tanto per cominciare, sceglie di dipingere con il suo stile piatto e ostentatamente pop, personaggi riconoscibili alla stragrande maggioranza delle persone (o quasi), in modo da instaurare, fin da subito, un rapporto immediato con gli spettatori. Poi, con assoluto candore, potremmo dire quasi senza vergogna, ha il coraggio di mescolare il sacro col profano, affiancando figure di intellettuali mitici come Baudelaire e Dalì con esemplari del più puro trash mass-mediatico quali Rambo e Cicciolina. Infine, data la scelta di icone tutte (o quasi) politicamente scorrette, suggerisce l’idea di un filo conduttore narrativo, di un trait d’union tra le immagini, che non solo si sovrappone alle vicende raccontate nel biografico “My fabulous friends. Dalle seghe all’arte”, ma che ci fornisce uno spaccato di cultura generazionale, come non se ne vedeva dai tempi del “Weekend post-moderno” di Pier Vittorio Tondelli.
Insomma, come sempre, Veneziano parte dalla dimensione individuale, dai suoi gusti e dalle sue ossessioni, per approdare inevitabilmente alla dimensione collettiva, sia essa sociale, nazional-popolare o mass-mediatica. Eppure, una volta raggiunta la sfera della pubblica opinione, la carica del suo messaggio sembra arrestarsi, o meglio, sottrarsi al pericolo di un definitivo riconoscimento da parte del pubblico. In qualche modo, i suoi ritratti sono un’esca, un modo, insomma, per catturare rapidamente l’attenzione dello spettatore. Quando la trappola è scattata, Veneziano si ritrae in una zona d’ombra e lascia i suoi ritratti alla mercè dei commenti e delle reazioni, spesso contrastanti, degli osservatori.
È un meccanismo che l’artista ha innescato in più di un occasione, tramite la proposizione di opere pericolosamente ambigue quali il ritratto di Oriana Fallaci decapitata o di Maurizio Cattelan impiccato. Il motivo di questo modus operandi affonda le radici in una concezione radicalmente pop dell’arte contemporanea, che impiega un’iconografia di facile reperibilità, addirittura banale, per restituire alla società un’immagine il più possibile disincantata e oggettiva di ciò che essa è realmente. Per questo Veneziano ricorre sovente agli spunti forniti dalla cronaca, alle suggestioni provenienti dalla comunicazione televisiva e giornalistica, sfruttando talora la fama di personaggi che tanto hanno fatto discutere. Oriana Fallaci, Maurizio Cattelan, Jeff Koons e Cicciolina sono cavie perfette perché con le loro opinioni o i loro comportamenti hanno scatenato l’attenzione morbosa del pubblico.
La ritrattistica di Veneziano, tuttavia, non è una mera celebrazione degli eroi e delle eroine dello scandalo. La sua virtù principale è piuttosto quella di puntare l’attenzione sulle reazioni della gente, svelando così il vero volto della pubblica opinione. I personaggi famosi sono quindi solo un mezzo, estremamente efficace e comunicativo, di porre interrogativi, ovvero di formulare domande sullo stato della società attuale. Ma, come scriveva Wilde, “Le domande non sono mai indiscrete. Lo sono talvolta le risposte”.
Nei suoi recenti lavori ritroviamo lo stesso grado di ambiguità delle opere precedenti, solo che, in questo caso, oggetto dello sguardo del pubblico non sono solo i personaggi raffigurati nelle tele, ma il quadro complessivo che essi formano, ovvero l’autoritratto dell’artista attraverso i suoi miti. Per la prima volta, Veneziano si espone in prima persona, mette a nudo la propria identità, confidando, come sempre, nel meccanismo salvifico dell’ironia e affidandosi, allo stesso tempo, al sense of humor dello spettatore. L’ambiguità è, invece, relegata alla scelta delle immagini. Se quello di Charles Baudelaire appare come una versione pop di un classico ritratto del poeta francese, quello di Charles Bukowski, rappresentato insieme a una scollacciata compagna di bevute, è profondamente bukowskiano nei toni come nei contenuti. E mentre con il ritratto di Dalì l’artista ci propone una delle tante folli espressioni del genio catalano, con quello di Andrea Pazienza riesce a svelarci il volto quotidiano del fumettista, fuori dal suo consueto stereotipo di “genio sregolato”. Insomma, Veneziano aggiunge a ogni ritratto qualcosa che ci mostra il personaggio sotto una nuova luce. Non si è mai vista, infatti, una Cicciolina tanto candida da apparire più simile a una vergine preraffaelita che a una pornostar. E forse neppure un Rambo così malinconico da sembrare non tanto un’action hero, ma un beautiful loser.
Ciò che stupisce di Veneziano è anche la capacità di livellare i registri, di equiparare l’alto col basso, quasi volesse suggerire che non vi è differenza tra il ritratto di un’artista e quello di un personaggio dei cartoni animati. I ritratti su carta di Edgar Allan Poe, Ernest Hemingway, James Joyce, Franz Kafka e Oscar Wilde vengono, infatti, trattati con lo stesso stile di personaggi dei cartoon come Jessica Rabbit, Candy Candy o Spiderman. Uno stile dai colori smaccatamente artificiali, che schiaccia la figura sulla superficie e la trasforma in un’immagine di valore puramente segnaletico.
Veneziano non è interessato al gesto pittorico, alla definizione degli sfumati e dei chiaroscuri, al virtuosismo mimetico, alla personalità del segno o del gesto, ma al potenziale comunicativo dell’icona. Intendiamoci, questo non significa che l’artista trascuri l’aspetto tecnico della pittura, anzi ne studia con attenzione ogni particolare, dagli sfondi rigorosamente flat fino agli accostamenti cromatici contrastanti. Semplicemente, preferisce mettere in primo piano l’arte, occultando l’artista. È l’ambiguità dell’immagine il punto focale della sua ricerca. Non c’è bisogno di nessun messaggio, tanto meno di natura politica. Credo che Veneziano sia d’accordo con Woody Allen quando, alla domanda di una giornalista che chiedeva quale fosse il messaggio del suo film, rispondeva: “Se avessi voluto mandare un messaggio, avrei spedito un fax”.
Testo in catalogo di di Andrea G. Pinketts
Giuseppe Veneziano detto il Salvo (come il pizzaiolo del Grande fratello) ha tra le tante doti una peculiarità assoluta: è l’unico uomo che mi ha appeso al muro. Fisicamente intendo. Non è il primo ad avermi ritratto ma l’unico che armato di martello e sprezzante delle mie vertigini, ha posizionato il mio inquietante faccione in alto all’ingresso di quel tempio pagano che risponde al nome de Le trottoir. Lì sono rimasto per circa sei mesi alla faccia di Maurizio Cattelan come una sorta di Baal, un colosso di Lodi, uno spaventapassere, una stagione e mezza di sovra (è il caso di dirlo) esposizione. Sotto di me, all’interno del locale, altri bad guys, ritratti da Veneziano. Gente del calibro di Hannibal Lecter e Osama Bin Laden, a riprova che l’artista è figlio legittimo e prodigo di una capacità di contaminazione tra fiction e figghiu di… tra sacro e profiler. Sacro perché ogni ritratto resiste alla pessima reputazione di ogni soggetto a cui l’artista regala un’aura e un’aureola di innocenza perduta ma non dimenticata. In quanto Veneziano ricostruisce personalità disturbate e disturbanti. Per incastrarle, catturarle in un’opera d’arte. Le sue opere devono molto al fumetto ma non ci sono nuvole parlanti. Non gli servono. Preferisce un fotogramma di cinema muto. Veneziano è un cacciatore di taglie. Un bounty Painter che immobilizza persino se stesso con l’autoritratto. Immobilizza ma non neutralizza perché il neutro è il peggior nemico dell’uomo, non gli appartiene. Ogni sua opera è carica. Forse caricata a molla. Perché da un momento all’altro ti aspetti che il protagonista schizzi fuori, balli fuori, salti fuori, come un canguro impazzito o cocainomane come quello da me raccontato ne “L’assenza dell’assenzio”. E una volta fuori pretenda una resa dei conti con chi ha osato fissarlo troppo a lungo. Forse perché Veneziano concorda con Platev che ne “La forchetta fatale” ammonisce: l’arte non è serva della folla! Così questo artista che di persona sembra già un fumetto di suo, è uscito dalla tela, dalle tele, come in un Horror Gotico di serie B, a ricordarcelo.
di Ivan Quaroni
Può sembrare presuntuoso che un giovane artista decida di fare una mostra presentando una carrellata di ritratti di personaggi illustri che hanno indelebilmente segnato la sua formazione culturale. E un pizzico di presunzione, a dire il vero, c’è in questa specie di diario per immagini dei suoi primi trentacinque anni. Anche se si tratta di una presunzione ironica, che usa la forma canonica del racconto biografico adolescenziale per fornirci una rappresentazione cinica e scanzonata dei tempi moderni, senza però rinunciare a un po’ di sana autocelebrazione. Guardando la sequenza di icone santificate da Veneziano, la memoria corre a un fumetto di Andrea Pazienza, un riferimento, come vedremo, niente affatto casuale. Nelle vignette di “La Prolisseide. Tutti gli uomini importanti che mi hanno conosciuto”, il disegnatore illustra, infatti, i suoi incontri con personaggi famosi, da Nanni Balestrini a Hugo Pratt, da Federico Fellini a Eva Robbins, passando per Lucio Dalla e Francesco Guccini. Anche qui c’è una forma di presunzione, evidente nel ribaltamento di prospettiva del sottotitolo, dove sono gli uomini importanti a conoscere Andrea Pazienza e non viceversa. Lo stesso si può dire del titolo di questa mostra, Self Portrait, che sottolinea non la notorietà dei personaggi dipinti, quanto la loro inclusione nell’identikit di Giuseppe Veneziano, il quale si appropria, con un atto di vampirismo mediatico degno di un vero artista pop, dell’aura di eroi ed eroine della cultura di massa, di protagonisti della cronaca, di artisti e scrittori presenti e passati e perfino di personaggi della fiction. Nella sua personalissima hit parade, troviamo tutto e il contrario di tutto, dai capisaldi del maledettismo letterario (Charles Baudelaire e Charles Bukowski) alla pornodiva più famosa di tutti i tempi (Cicciolina), dal campione del rock nostrano (Vasco Rossi) all’idolo decadente per eccellenza (Jim Morrison), dal più filosofo degli architetti (Louis I. Khan) al più geniale dei surrealisti (Salvator Dalì), fino ad arrivare a character fittizi come Rambo e l’Uomo Tigre e ad artisti come il pittore Marco Cingolani e lo scrittore Andrea G. Pinketts.
Al di là dell’autocompiacimento goliardico, ampiamente testimoniato dal divertente testo biografico che accompagna questo catalogo e che, in verità, costituisce la prima fonte d’ispirazione di questa serie di lavori, Giuseppe Veneziano allestisce questa nuova avventura espositiva assecondando la sua inclinazione post-moderna a mescolare elementi e suggestioni di estrazione diversa, se non addirittura contraddittori.
Tanto per cominciare, sceglie di dipingere con il suo stile piatto e ostentatamente pop, personaggi riconoscibili alla stragrande maggioranza delle persone (o quasi), in modo da instaurare, fin da subito, un rapporto immediato con gli spettatori. Poi, con assoluto candore, potremmo dire quasi senza vergogna, ha il coraggio di mescolare il sacro col profano, affiancando figure di intellettuali mitici come Baudelaire e Dalì con esemplari del più puro trash mass-mediatico quali Rambo e Cicciolina. Infine, data la scelta di icone tutte (o quasi) politicamente scorrette, suggerisce l’idea di un filo conduttore narrativo, di un trait d’union tra le immagini, che non solo si sovrappone alle vicende raccontate nel biografico “My fabulous friends. Dalle seghe all’arte”, ma che ci fornisce uno spaccato di cultura generazionale, come non se ne vedeva dai tempi del “Weekend post-moderno” di Pier Vittorio Tondelli.
Insomma, come sempre, Veneziano parte dalla dimensione individuale, dai suoi gusti e dalle sue ossessioni, per approdare inevitabilmente alla dimensione collettiva, sia essa sociale, nazional-popolare o mass-mediatica. Eppure, una volta raggiunta la sfera della pubblica opinione, la carica del suo messaggio sembra arrestarsi, o meglio, sottrarsi al pericolo di un definitivo riconoscimento da parte del pubblico. In qualche modo, i suoi ritratti sono un’esca, un modo, insomma, per catturare rapidamente l’attenzione dello spettatore. Quando la trappola è scattata, Veneziano si ritrae in una zona d’ombra e lascia i suoi ritratti alla mercè dei commenti e delle reazioni, spesso contrastanti, degli osservatori.
È un meccanismo che l’artista ha innescato in più di un occasione, tramite la proposizione di opere pericolosamente ambigue quali il ritratto di Oriana Fallaci decapitata o di Maurizio Cattelan impiccato. Il motivo di questo modus operandi affonda le radici in una concezione radicalmente pop dell’arte contemporanea, che impiega un’iconografia di facile reperibilità, addirittura banale, per restituire alla società un’immagine il più possibile disincantata e oggettiva di ciò che essa è realmente. Per questo Veneziano ricorre sovente agli spunti forniti dalla cronaca, alle suggestioni provenienti dalla comunicazione televisiva e giornalistica, sfruttando talora la fama di personaggi che tanto hanno fatto discutere. Oriana Fallaci, Maurizio Cattelan, Jeff Koons e Cicciolina sono cavie perfette perché con le loro opinioni o i loro comportamenti hanno scatenato l’attenzione morbosa del pubblico.
La ritrattistica di Veneziano, tuttavia, non è una mera celebrazione degli eroi e delle eroine dello scandalo. La sua virtù principale è piuttosto quella di puntare l’attenzione sulle reazioni della gente, svelando così il vero volto della pubblica opinione. I personaggi famosi sono quindi solo un mezzo, estremamente efficace e comunicativo, di porre interrogativi, ovvero di formulare domande sullo stato della società attuale. Ma, come scriveva Wilde, “Le domande non sono mai indiscrete. Lo sono talvolta le risposte”.
Nei suoi recenti lavori ritroviamo lo stesso grado di ambiguità delle opere precedenti, solo che, in questo caso, oggetto dello sguardo del pubblico non sono solo i personaggi raffigurati nelle tele, ma il quadro complessivo che essi formano, ovvero l’autoritratto dell’artista attraverso i suoi miti. Per la prima volta, Veneziano si espone in prima persona, mette a nudo la propria identità, confidando, come sempre, nel meccanismo salvifico dell’ironia e affidandosi, allo stesso tempo, al sense of humor dello spettatore. L’ambiguità è, invece, relegata alla scelta delle immagini. Se quello di Charles Baudelaire appare come una versione pop di un classico ritratto del poeta francese, quello di Charles Bukowski, rappresentato insieme a una scollacciata compagna di bevute, è profondamente bukowskiano nei toni come nei contenuti. E mentre con il ritratto di Dalì l’artista ci propone una delle tante folli espressioni del genio catalano, con quello di Andrea Pazienza riesce a svelarci il volto quotidiano del fumettista, fuori dal suo consueto stereotipo di “genio sregolato”. Insomma, Veneziano aggiunge a ogni ritratto qualcosa che ci mostra il personaggio sotto una nuova luce. Non si è mai vista, infatti, una Cicciolina tanto candida da apparire più simile a una vergine preraffaelita che a una pornostar. E forse neppure un Rambo così malinconico da sembrare non tanto un’action hero, ma un beautiful loser.
Ciò che stupisce di Veneziano è anche la capacità di livellare i registri, di equiparare l’alto col basso, quasi volesse suggerire che non vi è differenza tra il ritratto di un’artista e quello di un personaggio dei cartoni animati. I ritratti su carta di Edgar Allan Poe, Ernest Hemingway, James Joyce, Franz Kafka e Oscar Wilde vengono, infatti, trattati con lo stesso stile di personaggi dei cartoon come Jessica Rabbit, Candy Candy o Spiderman. Uno stile dai colori smaccatamente artificiali, che schiaccia la figura sulla superficie e la trasforma in un’immagine di valore puramente segnaletico.
Veneziano non è interessato al gesto pittorico, alla definizione degli sfumati e dei chiaroscuri, al virtuosismo mimetico, alla personalità del segno o del gesto, ma al potenziale comunicativo dell’icona. Intendiamoci, questo non significa che l’artista trascuri l’aspetto tecnico della pittura, anzi ne studia con attenzione ogni particolare, dagli sfondi rigorosamente flat fino agli accostamenti cromatici contrastanti. Semplicemente, preferisce mettere in primo piano l’arte, occultando l’artista. È l’ambiguità dell’immagine il punto focale della sua ricerca. Non c’è bisogno di nessun messaggio, tanto meno di natura politica. Credo che Veneziano sia d’accordo con Woody Allen quando, alla domanda di una giornalista che chiedeva quale fosse il messaggio del suo film, rispondeva: “Se avessi voluto mandare un messaggio, avrei spedito un fax”.
Testo in catalogo di di Andrea G. Pinketts
Giuseppe Veneziano detto il Salvo (come il pizzaiolo del Grande fratello) ha tra le tante doti una peculiarità assoluta: è l’unico uomo che mi ha appeso al muro. Fisicamente intendo. Non è il primo ad avermi ritratto ma l’unico che armato di martello e sprezzante delle mie vertigini, ha posizionato il mio inquietante faccione in alto all’ingresso di quel tempio pagano che risponde al nome de Le trottoir. Lì sono rimasto per circa sei mesi alla faccia di Maurizio Cattelan come una sorta di Baal, un colosso di Lodi, uno spaventapassere, una stagione e mezza di sovra (è il caso di dirlo) esposizione. Sotto di me, all’interno del locale, altri bad guys, ritratti da Veneziano. Gente del calibro di Hannibal Lecter e Osama Bin Laden, a riprova che l’artista è figlio legittimo e prodigo di una capacità di contaminazione tra fiction e figghiu di… tra sacro e profiler. Sacro perché ogni ritratto resiste alla pessima reputazione di ogni soggetto a cui l’artista regala un’aura e un’aureola di innocenza perduta ma non dimenticata. In quanto Veneziano ricostruisce personalità disturbate e disturbanti. Per incastrarle, catturarle in un’opera d’arte. Le sue opere devono molto al fumetto ma non ci sono nuvole parlanti. Non gli servono. Preferisce un fotogramma di cinema muto. Veneziano è un cacciatore di taglie. Un bounty Painter che immobilizza persino se stesso con l’autoritratto. Immobilizza ma non neutralizza perché il neutro è il peggior nemico dell’uomo, non gli appartiene. Ogni sua opera è carica. Forse caricata a molla. Perché da un momento all’altro ti aspetti che il protagonista schizzi fuori, balli fuori, salti fuori, come un canguro impazzito o cocainomane come quello da me raccontato ne “L’assenza dell’assenzio”. E una volta fuori pretenda una resa dei conti con chi ha osato fissarlo troppo a lungo. Forse perché Veneziano concorda con Platev che ne “La forchetta fatale” ammonisce: l’arte non è serva della folla! Così questo artista che di persona sembra già un fumetto di suo, è uscito dalla tela, dalle tele, come in un Horror Gotico di serie B, a ricordarcelo.
13
aprile 2007
Giuseppe Veneziano – Self Portrait
Dal 13 aprile al 12 maggio 2007
arte contemporanea
Location
KGALLERY ARTE CONTEMPORANEA
Legnano, Piazza Europa, 15, (Milano)
Legnano, Piazza Europa, 15, (Milano)
Orario di apertura
gio, ven, sab, dalle 16.30 alle 19.30
Vernissage
13 Aprile 2007, ore 19
Autore
Curatore