Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Marco Di Giovanni – Porteño
installazione-performance
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Porteño.
Entrando, le narici sono attanagliate dall'odore di frutta tropicale, aroma dolciastro misto agli effluvi del rum, intenso, inestinguibile, inebriante. C'è da credere di dover dar prova di resistenza, come quando alla fine di una scommessa si devono tirare le somme, ma ogni respiro volatilizza la tensione, forse anche l'imbarazzo, stordendo i sensi. La mensa sembra allora trasformata in un quartiere povero, forse periferico, disseminato da materiali di recupero, alla maniera di una favela sudamericana. Addobbata in stile natalizio anche fuori stagione, con le tipiche fitting lite dei barrios, dove tutto è dozzinale sfavillio. Insomma, una zona franca, giacché la latitudine non corrisponde. In verità sono molte le cose che non combaciano. Sarà che si è frastornati, sarà che si è colti alla sprovvista, sarà che i profumi sono entrati nella pelle e nelle narici, inerpicandosi fino all'encefalo per confondere le idee, e le carte in tavola. E sono davvero tante le carte affisse sulle cassette della frutta, un'interminabile distesa (d'un mercato che non esiste, di un'area portuale che non troveremo mai), ognuna adornata da un piccolo disegno, brandello di taccuino sgualcito, sorta di diario di viaggio. Ma come poterne esser certi? C'è da fidarsi? Quale garanzia abbiamo che l'autore abbia davvero varcato l'Oceano Atlantico? Il dubbio è assillante, ci prende per sfinimento, finendo per coinvolgerci nel racconto-disegno, [d]a[i] tratti neo-realista; segno veloce, ruvido, scarno, graffiante, in presa diretta – che immortala bicchieri, bevitori e mani sempre affaccendate – con quel non so che di bohemien, ma che oggigiorno sarebbe scambiato per arte pedestre, sicuramente anacronista. "Dal vero": per documentare la vita così com'è, marginale, desolante, senza dover mai essere costretto a edulcorarne i particolari, inasprendoli casomai. E intanto, all'interno, risuona un interminabile gracchiare. Da un amplificatore si diffonde la voce di un barista alle prese con i turisti viziosi, quasi sempre sprovveduti, avidi di informazioni. È questo un barista affabile, loquace, intento notte e giorno a preparare squisiti cocktail, ciò che lo distingue è il fatto di non lesinare dissertazioni sulle sue straordinarie alchimie di frutta-zucchero-alcool, men che meno si risparmia cronistorie sulle tradizioni o sugli usi che se ne fanno. Se per un attimo ci si coprisse gli occhi, nel dischiudere le palpebre parrebbe proprio di trovarsi nel quartiere portuale de La Boca. Il clima è pur sempre latino, bersagliato da colori sgargianti, rossi, gialli, verdi, azzurri, quell´azzurro che incombe dall'alto, che ha la forma di un grosso bidone. Cisternone sospeso a mezz'aria e da cui sporgono delle lenti, quasi a voler marcare la soglia, confine tra ciò che è dentro e ciò che sta fuori: viatico che fa la differenza. Perché lo scalo marittimo di Buenos Aires è ormai sconfinato nella riviera romagnola, portandosi appresso l'entroterra abruzzese, mescolando le identità salmastre a quelle più terrigne. Ne risulta un autentico meticciato, a conferma di come il Nuevo Mundo (quello dell'emisfero sud) è vecchio quanto l'Europa! Inutile fare resistenza, gli argini sono stati infranti, tanto vale affogare nell'euforia. Tuttavia, anche se gli ingredienti per rimanere inebriati ci sono tutti, a nessuno è permesso bere; in questa insonne notte bianca non ci sarà il rischio di svegliarsi con i postumi di una colossale sbornia, impossibilitati a trangugiare anche solo un drink. L'indomani si finirà con il destarsi da un viaggio onirico, convinti che todo es nada, con quella copula "e" che diventa voce del verbo essere. Sì, esatto, esserci stati, rimanendo storditi, confusi, malfermi sulle proprie gambe, incerti sulle proprie impressioni, tuerto y derecho in una sola volta. Sarà alquanto facile credere di aver preso un abbaglio, circonfusi magari dalla scritta "porteño", segnaletica che ha la bonarietà di uno schiaffo in faccia al buon gusto (addolcito, se ce ne fosse bisogno, con zucchero di canna), praticamente una rivalsa dell'identità e del proprio orgoglio. Un orgoglio che l'artista traspone nella pretesa di riuscire a tracciare pochi, essenziali, segni dal vero, per mettere in scacco i cliché contemporanei e per raccontare con ruvida semplicità le sue storie. Senza però lenire il dilemma: saranno sufficientemente mendaci quanto la buona letteratura? Dolenti o nolenti, alla fine avremo almeno la certezza di aver condiviso un'esperienza cosmopolita – à porter, altrove, dovunque – attraverso una lente distorta, che filtra, che fa collimare e collidere le realtà. Alberto Zanchetta
Marco Di Giovanni
è nato a Teramo nel 1976, vive e lavora tra Imola (BO ) e Solarolo (RA). La sua ricerca è spesso incentrata sui materiali di recupero, tubature e cisterne, che vengono riassemblati e portati a nuova vita attraverso l'inserimento di lenti che permettono di vedere ciò che accade – o ciò che è conservato – al loro interno; in stretto rapporto con lo spazio espositivo, Di Giovanni gioca con ironia sui meccanismi della percezione creando un ininterrotto scambio tra la persistenza e la mutabilità delle forme.
Alberto Zanchetta
è nato a Trento, vive e lavora tra Vicenza e Milano. Critico d'arte e curatore indipendente, scrive per Flash Art, Arte e Critica, Around Photography, Espoarte. È autore del pamphlet "Antologia del Misogino" (ed. Cardelli&Fontana) e del saggio "Humpty Dumpty Encomion" (Vanilla edizioni). Dal settembre 2000 al marzo 2003 è stato promotore dell'AZMZ di Bologna, progetto che nel 2005 è stato convogliato nel daAZ di Sossano (VI). Ha tenuto diverse conferenze e incontri con il pubblico, a livello nazionale svolge un'intensa attività curatoriale presso gallerie private ed enti pubblici.
Entrando, le narici sono attanagliate dall'odore di frutta tropicale, aroma dolciastro misto agli effluvi del rum, intenso, inestinguibile, inebriante. C'è da credere di dover dar prova di resistenza, come quando alla fine di una scommessa si devono tirare le somme, ma ogni respiro volatilizza la tensione, forse anche l'imbarazzo, stordendo i sensi. La mensa sembra allora trasformata in un quartiere povero, forse periferico, disseminato da materiali di recupero, alla maniera di una favela sudamericana. Addobbata in stile natalizio anche fuori stagione, con le tipiche fitting lite dei barrios, dove tutto è dozzinale sfavillio. Insomma, una zona franca, giacché la latitudine non corrisponde. In verità sono molte le cose che non combaciano. Sarà che si è frastornati, sarà che si è colti alla sprovvista, sarà che i profumi sono entrati nella pelle e nelle narici, inerpicandosi fino all'encefalo per confondere le idee, e le carte in tavola. E sono davvero tante le carte affisse sulle cassette della frutta, un'interminabile distesa (d'un mercato che non esiste, di un'area portuale che non troveremo mai), ognuna adornata da un piccolo disegno, brandello di taccuino sgualcito, sorta di diario di viaggio. Ma come poterne esser certi? C'è da fidarsi? Quale garanzia abbiamo che l'autore abbia davvero varcato l'Oceano Atlantico? Il dubbio è assillante, ci prende per sfinimento, finendo per coinvolgerci nel racconto-disegno, [d]a[i] tratti neo-realista; segno veloce, ruvido, scarno, graffiante, in presa diretta – che immortala bicchieri, bevitori e mani sempre affaccendate – con quel non so che di bohemien, ma che oggigiorno sarebbe scambiato per arte pedestre, sicuramente anacronista. "Dal vero": per documentare la vita così com'è, marginale, desolante, senza dover mai essere costretto a edulcorarne i particolari, inasprendoli casomai. E intanto, all'interno, risuona un interminabile gracchiare. Da un amplificatore si diffonde la voce di un barista alle prese con i turisti viziosi, quasi sempre sprovveduti, avidi di informazioni. È questo un barista affabile, loquace, intento notte e giorno a preparare squisiti cocktail, ciò che lo distingue è il fatto di non lesinare dissertazioni sulle sue straordinarie alchimie di frutta-zucchero-alcool, men che meno si risparmia cronistorie sulle tradizioni o sugli usi che se ne fanno. Se per un attimo ci si coprisse gli occhi, nel dischiudere le palpebre parrebbe proprio di trovarsi nel quartiere portuale de La Boca. Il clima è pur sempre latino, bersagliato da colori sgargianti, rossi, gialli, verdi, azzurri, quell´azzurro che incombe dall'alto, che ha la forma di un grosso bidone. Cisternone sospeso a mezz'aria e da cui sporgono delle lenti, quasi a voler marcare la soglia, confine tra ciò che è dentro e ciò che sta fuori: viatico che fa la differenza. Perché lo scalo marittimo di Buenos Aires è ormai sconfinato nella riviera romagnola, portandosi appresso l'entroterra abruzzese, mescolando le identità salmastre a quelle più terrigne. Ne risulta un autentico meticciato, a conferma di come il Nuevo Mundo (quello dell'emisfero sud) è vecchio quanto l'Europa! Inutile fare resistenza, gli argini sono stati infranti, tanto vale affogare nell'euforia. Tuttavia, anche se gli ingredienti per rimanere inebriati ci sono tutti, a nessuno è permesso bere; in questa insonne notte bianca non ci sarà il rischio di svegliarsi con i postumi di una colossale sbornia, impossibilitati a trangugiare anche solo un drink. L'indomani si finirà con il destarsi da un viaggio onirico, convinti che todo es nada, con quella copula "e" che diventa voce del verbo essere. Sì, esatto, esserci stati, rimanendo storditi, confusi, malfermi sulle proprie gambe, incerti sulle proprie impressioni, tuerto y derecho in una sola volta. Sarà alquanto facile credere di aver preso un abbaglio, circonfusi magari dalla scritta "porteño", segnaletica che ha la bonarietà di uno schiaffo in faccia al buon gusto (addolcito, se ce ne fosse bisogno, con zucchero di canna), praticamente una rivalsa dell'identità e del proprio orgoglio. Un orgoglio che l'artista traspone nella pretesa di riuscire a tracciare pochi, essenziali, segni dal vero, per mettere in scacco i cliché contemporanei e per raccontare con ruvida semplicità le sue storie. Senza però lenire il dilemma: saranno sufficientemente mendaci quanto la buona letteratura? Dolenti o nolenti, alla fine avremo almeno la certezza di aver condiviso un'esperienza cosmopolita – à porter, altrove, dovunque – attraverso una lente distorta, che filtra, che fa collimare e collidere le realtà. Alberto Zanchetta
Marco Di Giovanni
è nato a Teramo nel 1976, vive e lavora tra Imola (BO ) e Solarolo (RA). La sua ricerca è spesso incentrata sui materiali di recupero, tubature e cisterne, che vengono riassemblati e portati a nuova vita attraverso l'inserimento di lenti che permettono di vedere ciò che accade – o ciò che è conservato – al loro interno; in stretto rapporto con lo spazio espositivo, Di Giovanni gioca con ironia sui meccanismi della percezione creando un ininterrotto scambio tra la persistenza e la mutabilità delle forme.
Alberto Zanchetta
è nato a Trento, vive e lavora tra Vicenza e Milano. Critico d'arte e curatore indipendente, scrive per Flash Art, Arte e Critica, Around Photography, Espoarte. È autore del pamphlet "Antologia del Misogino" (ed. Cardelli&Fontana) e del saggio "Humpty Dumpty Encomion" (Vanilla edizioni). Dal settembre 2000 al marzo 2003 è stato promotore dell'AZMZ di Bologna, progetto che nel 2005 è stato convogliato nel daAZ di Sossano (VI). Ha tenuto diverse conferenze e incontri con il pubblico, a livello nazionale svolge un'intensa attività curatoriale presso gallerie private ed enti pubblici.
24
marzo 2007
Marco Di Giovanni – Porteño
24 marzo 2007
arte contemporanea
performance - happening
serata - evento
performance - happening
serata - evento
Location
UNIVERSITA’ LUISS
Roma, Viale Romania, 32, (Roma)
Roma, Viale Romania, 32, (Roma)
Vernissage
24 Marzo 2007, ore 20
Autore