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Attilio Gerbino – Leo Sum
lo spazio espositivo “Alfred Stieglitz” del MUSEF ospita la serie di ritratti fotografici (stampe digitali cm 50 x 40) realizzati dall’artista siciliano Attilio GERBINO negli ultimi tre anni
Comunicato stampa
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Marina BENEDETTO: “Il progetto artistico trae spunto dall’iscrizione latina leggibile sulle mappe dell’Africa di epoca classica: Hic sunt leones, ove Leo è l’ignoto, il diverso, tutto ciò che incute paura. Anche Gerbino insegue i suoi Leones, ignaro di percorrere un sentiero già esplorato da Umberto Eco nel labirinto della sua biblioteca de Il nome della rosa: Leones sono i custodi del limite invalicabile, oltre il quale sta la conoscenza proibita. (...). Invisibili agli occhi degli altri, i Leones acquattati in noi si travestono e assumono in ognuno le sembianze dei propri fantasmi: depressione, avidità, invidia, inquietudine, rimorso, violenza, tutte le ansie e i mali che in ogni tempo – e mai come nella nostra epoca tormentata
– affliggono l’uomo. Attilio Gerbino (...) in una invo/evoluzione del suo punto di vista all’epoca dei primi Leones, riconduce l’umanità in un unicum ove la diversità diventa uguaglianza (...) perché qui i soggetti sono persone comuni, volti anonimi
di bambini, adulti, anziani. Ognuno può identificarsi coi Leones di Gerbino, artista che con il taglio dell’ironia sa scovare, cogliere ed esorcizzare le proprie ansie, suggerendo anche a noi spettatori una via di fuga, la stessa offerta dal libro più prezioso custodito dai Leones di Umberto Eco: l’elogio della capacità di ridere come estrema arma di libertà per l’uomo,
con la quale elevarsi sopra ogni limite e fuggire la paura.”
Pippo PAPPALARDO - Sebastiano FAVITTA: “Hic sunt leones per adesso è una sequenza fotografica, costruita
con pochi elementi (il ritratto, un uso intelligente e scanzonato della posa, un'interazione tra risultato fotografico e sfondo artificiale). Poi, quel benedetto titolo e quel ricorrente cartello: l'uno rimanda alle vecchissime carte geografiche ed all'uso, anche moderno, dei tanti significati dell'espressione. L'altro, una sorta di attestato, di diploma o di carta d'identità. Tra le due espressioni non solo una relazione semantica ma anche un invito a teatralizzare il gioco dei rimandi. Se l’hic è avverbio di luogo, il sum è un esplicito presente temporale entro il quale la figura, o la persona, pretende di stare ed essere, ed agire, e magari ruggire. In questo voler apparire, ognuna delle persone ritratte inventa (nel senso di trovare) una plausibile espressione che spieghi (accettando, sfuggendo) il suo modo di essere o non essere leo/leones. E sorridono loro e sorridiamo noi. Lo strumento fotografico diventa allora un interlocutore che dovrà raccogliere la/le risposta che serve all'autore per capire dove stanno le differenze/diversità tra i leoni ed i non leoni. Ma esistono poi queste differenze?
Le individualità delle espressioni e dei gesti si appiattiscono nella serie e nel contesto di sfondi dai colori acidi/allegri tanto cari a Andy Warhol ed ai suoi messaggi corrosivi: quel Sindaco amministrerà un capoluogo subalpino o una città dal toponimo arabo? E questi abiti, unico elemento per decifrare la probabile provenienza di questi personaggi (?) non sono forse comuni a tanta parte degli abitanti del mondo? Invero l'abito non fa più il monaco, e neanche il ritratto fotografico.”
Enzo SALSETTA: “Ci osservano da queste foto, quattro generazioni in posa. Qui il termine posa ha completamente cambiato il suo significato. Non si è in posa per una perfetta messa a fuoco: questa è una posa da teatro, da Super io addossato ad arte, o da Io che cerca di sfuggire all’omologazione sbeffeggiando, indossando boccacce. (...) Sono soggetti all’apparenza smarriti che ostentano degli Io in libertà che si ergono dalla loro condizione di mortuarietà per attraversare la strada dell’ironia che è l’unica praticabile, mimando la follia o facendo finta di giocare a un gioco. (...) Un’altra caratteristica delle foto di Gerbino è la scelta dello sfondo: acido, timbrico che si offre quale zona di mercificazione entro cui il soggetto vibra e trova plasticità. Curiosamente i soggetti pur acquisendo peso, perdono il loro centro di gravità permanente. La figure escono esaltate, sospese in aria e teatralizzate da un linguaggio di segni eversivo. Il primo di questi segni è che esprimono felicità. Con loro la terra non è più desolata. Vi è un dinamismo che non esprime dubbi, né ubbidienze. Sono ritratti che rivelano psicologie nuove di chi si concede solo alla vita e senza la dovuta mortuaria serietà ma così come viene. Soggetti sfuggiti da una terra desolata, scappati dalla alienazione, da un immobilismo passivo, dalla catatonicità tutta intellettuale novecentesca per divenire produttori di significato a partire dall’affettività, dall’emotività. (...) Questa gente trasmette uno strano sentimento: lascia capire di essersi impossessata della propria intelligenza, che pensa con la propria mente. È gente capace di assimilare affettivamente, di elaborare una visione antiomologante: insomma di “esserci” nella Storia.
Guardano l’obiettivo fotografico con la coscienza di essere guardati da noi e non da un occhio divino colpevolizzante
o mercificante da Grande fratello.”
Domenico SEMINERIO: “Eccoli qui i Leones. Nelle foto di questa mostra aperta nel Museo della Fotografia.
Oddio, qualcosa del leone si intravede. Negli sguardi. Ironicamente indagatori, penetranti, di chi è abituato a pesare l'altrui consistenza con un'occhiata. Ironicamente fieri, di chi deve dimostrare subito, a colpo d'occhio, di non essere una possibile preda ma il cacciatore. Leo sum. In certi movimenti arditi, ma non per questo scomposti o sbracati. "A guisa di leon quando si posa", ha scritto Dante, il sommo poeta. Perché il leone è leone persino quando dorme, con la zampa teneramente poggiata sugli occhi e la folta criniera lievemente scompigliata dal vento della savana. Nelle favole il leone è definito
il re della foresta. Ma ormai siamo in democrazia, anche qui, nel luogo deputato, nell'hic sunt leones.
Tutti leoni, ora, come todos caballeros ai tempi di Carlo V. Con tanto di cartello bene in vista, chissà mai qualcuno se lo dimentichi. Tutti leoni. Giovani e vecchi, uomini e donne, belli e brutti. Ci sono anche quelli, per fare un (involontario?) dispetto ai padroni della pubblicità, che vogliono tutti snelli, in forma, pimpanti di ardore consumistico. E tanto per sottolineare che i tempi sono cambiati, che chiunque può dire leo sum, non c'è più motivo di avere la faccia seriosa e pensosa che è obbligatoria per i re. Nossignore. Dove tutti sono re, è meglio prenderla in allegria, riderci su, far finta di niente. Non è il caso di ruggire a bocca spalancata. Perché uno è re dentro. Nella testa, nell'anima. Non c'è bisogno di cose esteriori, di corone e di mantelli orlati di ermellino o scettri impreziositi da pietre preziose o mappamondi d'oro tenuti in alto con la zampa, pardon, la mano guantata. Leo sum. Bisogna crederci.”
– affliggono l’uomo. Attilio Gerbino (...) in una invo/evoluzione del suo punto di vista all’epoca dei primi Leones, riconduce l’umanità in un unicum ove la diversità diventa uguaglianza (...) perché qui i soggetti sono persone comuni, volti anonimi
di bambini, adulti, anziani. Ognuno può identificarsi coi Leones di Gerbino, artista che con il taglio dell’ironia sa scovare, cogliere ed esorcizzare le proprie ansie, suggerendo anche a noi spettatori una via di fuga, la stessa offerta dal libro più prezioso custodito dai Leones di Umberto Eco: l’elogio della capacità di ridere come estrema arma di libertà per l’uomo,
con la quale elevarsi sopra ogni limite e fuggire la paura.”
Pippo PAPPALARDO - Sebastiano FAVITTA: “Hic sunt leones per adesso è una sequenza fotografica, costruita
con pochi elementi (il ritratto, un uso intelligente e scanzonato della posa, un'interazione tra risultato fotografico e sfondo artificiale). Poi, quel benedetto titolo e quel ricorrente cartello: l'uno rimanda alle vecchissime carte geografiche ed all'uso, anche moderno, dei tanti significati dell'espressione. L'altro, una sorta di attestato, di diploma o di carta d'identità. Tra le due espressioni non solo una relazione semantica ma anche un invito a teatralizzare il gioco dei rimandi. Se l’hic è avverbio di luogo, il sum è un esplicito presente temporale entro il quale la figura, o la persona, pretende di stare ed essere, ed agire, e magari ruggire. In questo voler apparire, ognuna delle persone ritratte inventa (nel senso di trovare) una plausibile espressione che spieghi (accettando, sfuggendo) il suo modo di essere o non essere leo/leones. E sorridono loro e sorridiamo noi. Lo strumento fotografico diventa allora un interlocutore che dovrà raccogliere la/le risposta che serve all'autore per capire dove stanno le differenze/diversità tra i leoni ed i non leoni. Ma esistono poi queste differenze?
Le individualità delle espressioni e dei gesti si appiattiscono nella serie e nel contesto di sfondi dai colori acidi/allegri tanto cari a Andy Warhol ed ai suoi messaggi corrosivi: quel Sindaco amministrerà un capoluogo subalpino o una città dal toponimo arabo? E questi abiti, unico elemento per decifrare la probabile provenienza di questi personaggi (?) non sono forse comuni a tanta parte degli abitanti del mondo? Invero l'abito non fa più il monaco, e neanche il ritratto fotografico.”
Enzo SALSETTA: “Ci osservano da queste foto, quattro generazioni in posa. Qui il termine posa ha completamente cambiato il suo significato. Non si è in posa per una perfetta messa a fuoco: questa è una posa da teatro, da Super io addossato ad arte, o da Io che cerca di sfuggire all’omologazione sbeffeggiando, indossando boccacce. (...) Sono soggetti all’apparenza smarriti che ostentano degli Io in libertà che si ergono dalla loro condizione di mortuarietà per attraversare la strada dell’ironia che è l’unica praticabile, mimando la follia o facendo finta di giocare a un gioco. (...) Un’altra caratteristica delle foto di Gerbino è la scelta dello sfondo: acido, timbrico che si offre quale zona di mercificazione entro cui il soggetto vibra e trova plasticità. Curiosamente i soggetti pur acquisendo peso, perdono il loro centro di gravità permanente. La figure escono esaltate, sospese in aria e teatralizzate da un linguaggio di segni eversivo. Il primo di questi segni è che esprimono felicità. Con loro la terra non è più desolata. Vi è un dinamismo che non esprime dubbi, né ubbidienze. Sono ritratti che rivelano psicologie nuove di chi si concede solo alla vita e senza la dovuta mortuaria serietà ma così come viene. Soggetti sfuggiti da una terra desolata, scappati dalla alienazione, da un immobilismo passivo, dalla catatonicità tutta intellettuale novecentesca per divenire produttori di significato a partire dall’affettività, dall’emotività. (...) Questa gente trasmette uno strano sentimento: lascia capire di essersi impossessata della propria intelligenza, che pensa con la propria mente. È gente capace di assimilare affettivamente, di elaborare una visione antiomologante: insomma di “esserci” nella Storia.
Guardano l’obiettivo fotografico con la coscienza di essere guardati da noi e non da un occhio divino colpevolizzante
o mercificante da Grande fratello.”
Domenico SEMINERIO: “Eccoli qui i Leones. Nelle foto di questa mostra aperta nel Museo della Fotografia.
Oddio, qualcosa del leone si intravede. Negli sguardi. Ironicamente indagatori, penetranti, di chi è abituato a pesare l'altrui consistenza con un'occhiata. Ironicamente fieri, di chi deve dimostrare subito, a colpo d'occhio, di non essere una possibile preda ma il cacciatore. Leo sum. In certi movimenti arditi, ma non per questo scomposti o sbracati. "A guisa di leon quando si posa", ha scritto Dante, il sommo poeta. Perché il leone è leone persino quando dorme, con la zampa teneramente poggiata sugli occhi e la folta criniera lievemente scompigliata dal vento della savana. Nelle favole il leone è definito
il re della foresta. Ma ormai siamo in democrazia, anche qui, nel luogo deputato, nell'hic sunt leones.
Tutti leoni, ora, come todos caballeros ai tempi di Carlo V. Con tanto di cartello bene in vista, chissà mai qualcuno se lo dimentichi. Tutti leoni. Giovani e vecchi, uomini e donne, belli e brutti. Ci sono anche quelli, per fare un (involontario?) dispetto ai padroni della pubblicità, che vogliono tutti snelli, in forma, pimpanti di ardore consumistico. E tanto per sottolineare che i tempi sono cambiati, che chiunque può dire leo sum, non c'è più motivo di avere la faccia seriosa e pensosa che è obbligatoria per i re. Nossignore. Dove tutti sono re, è meglio prenderla in allegria, riderci su, far finta di niente. Non è il caso di ruggire a bocca spalancata. Perché uno è re dentro. Nella testa, nell'anima. Non c'è bisogno di cose esteriori, di corone e di mantelli orlati di ermellino o scettri impreziositi da pietre preziose o mappamondi d'oro tenuti in alto con la zampa, pardon, la mano guantata. Leo sum. Bisogna crederci.”
03
aprile 2007
Attilio Gerbino – Leo Sum
Dal 03 aprile al 26 maggio 2007
fotografia
Location
MUSEF – MUSEO DELLA FOTOGRAFIA STORICA E CONTEMPORANEA
Caltagirone, Viale Principessa Maria Josè, 9, (Catania)
Caltagirone, Viale Principessa Maria Josè, 9, (Catania)
Orario di apertura
9.00 - 13.00 (da mar. a sab.) 15.00 – 17.30 (mar. e giov.)
Vernissage
3 Aprile 2007, ore 17
Autore
Curatore