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Questioni aperte nell’arte contemporanea – Marco Senaldi
Per il secondo appuntamento con Questioni aperte nell’arte contemporanea il CRAC ha invitato il critico e teorico d’arte contemporanea Marco Senaldi su RAPPORTO CONFIDENZIALE
Comunicato stampa
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Per il secondo appuntamento con Questioni aperte nell’arte contemporanea il CRAC ha invitato il critico e teorico d’arte contemporanea Marco Senaldi su RAPPORTO CONFIDENZIALE. Percorsi tra cinema e pittura. Senaldi racconterà degli stretti rapporti che intercorrono tra cinema e arte contemporanea e in tal senso è illuminante il testo dello studioso tratto da: Il Marmo e la Celluloide, (Silvana editoriale, Milano, 2006, catalogo della mostra, in occasione della presentazione tenutasi presso la Villa la Versiliana di Pietrasanta).
“Ogni discorso sui rapporti tra cinema e arte pare viziato da una forma particolarmente aggressiva di interpretazione partigiana. Il limite principale di queste interpretazioni è dovuto al fatto che il rapporto fra arti diverse viene stabilito a partire dalla reciproca identità di ciascuna delle arti in questione – lo “specifico filmico”, lo “specifico artistico” – come se il rapportarsi dell’una all’altra fosse un che di estrinseco a entrambe e non pregiudicasse l’esistenza che ognuna conduce felicemente di per sé.
E’ prevalentemente per questo motivo che gran parte della critica si schiera automaticamente dall’una o dall’altra banda dei due corni del dilemma – e così la critica d’arte, di impostazione storicista, non va molto oltre il rilevamento nel cinema di elementi dell’iconografia artistica, mentre la critica cinematografica, al solito disattenta ai fenomeni artistici contemporanei, tende a ridurre i momenti di scambio con l’arte a fenomeni episodici o a sperimentazioni senza sostanziale valore “storico”.
Solitamente, insomma, ci si limita a citare la presenza di opere d’arte nel cinema e di immagini filmiche nell’arte, come se tanto bastasse per definire una sorta di categoria immaginaria di “film d’arte”, o di arte che si rifà al cinema. Se questa categoria avesse un senso, occorre spiegare però dove andrebbero a finire capolavori come Dreams that money can buy di Hans Richter (1946), Le mystére Picasso di H-G. Clouzot con Picasso (1956), Drawing Restraint di Matthew Barney (2005) – visto che i loro rispettivi autori si collocano esattamente nella terra di nessuno fra le arti. Ma l’errore consiste nell’ostinarsi a pensare alle arti come a nazioni che godono di limiti ben precisi e che a volte, per caso,finiscono per confinare (o sconfinare) con le nazioni vicine.
E’ invece evidente ad una osservazione appena più attenta che la realtà è alquanto diversa. I fenomeni culturali non sono oggetti definibili tramite criteri estrinseci, perché tali criteri sono già culturali essi stessi; i loro confini non sono descrivibili, perché ogni descrizione fa già parte dell’identità dell’oggetto in questione, in un processo ricorsivo, a loop.
Quindi, è vero che arte e cinema non tengono in questo senso due posizioni esattamente simmetriche – dato che l’arte sembra possedere elementi di autoriflessione maggiori, mentre il cinema, per ragioni storiche, tende a dare più peso al contesto sociale di fruizione – ma proprio questa asimmetria dovrebbe spingerci a considerare con attenzione gli incroci autentici tra queste arti. Quando artisti come Cocteau, Richter, Dalì, Warhol, Schifano, Schnabel, Sherman, Barney, ecc. si volgono al cinema, e contestualmente registi come Bunuel, Hitchcock, Disney, Welles, Tarkovski, Pasolini, Romanek, ecc., si appellano alle arti, ciò che testimoniano non è solo un incrocio di tendenze, ma è soprattutto un’insoddisfazione profonda che attiene al proprio campo di produzione culturale. I casi più fecondi sono anzi quelli in cu non ci si spinge semplicemente al di là dei propri limiti espressivi, ma si parte già dalla consapevolezza che non vi è nessun al di qua, nessun ubi consistam operativo.
Si tratta di riconsiderare quindi lo stato delle cose, non a partire dagli intrecci impropriamente detti interdisciplinari, non a dalle differenze che ogni campo evidenzia rispetto all’altro, ma dall’inconsistenza che ciascuno dei campi manifesta già in sé – l’arte per conto suo e il cinema dall’altro lato”.
“Ogni discorso sui rapporti tra cinema e arte pare viziato da una forma particolarmente aggressiva di interpretazione partigiana. Il limite principale di queste interpretazioni è dovuto al fatto che il rapporto fra arti diverse viene stabilito a partire dalla reciproca identità di ciascuna delle arti in questione – lo “specifico filmico”, lo “specifico artistico” – come se il rapportarsi dell’una all’altra fosse un che di estrinseco a entrambe e non pregiudicasse l’esistenza che ognuna conduce felicemente di per sé.
E’ prevalentemente per questo motivo che gran parte della critica si schiera automaticamente dall’una o dall’altra banda dei due corni del dilemma – e così la critica d’arte, di impostazione storicista, non va molto oltre il rilevamento nel cinema di elementi dell’iconografia artistica, mentre la critica cinematografica, al solito disattenta ai fenomeni artistici contemporanei, tende a ridurre i momenti di scambio con l’arte a fenomeni episodici o a sperimentazioni senza sostanziale valore “storico”.
Solitamente, insomma, ci si limita a citare la presenza di opere d’arte nel cinema e di immagini filmiche nell’arte, come se tanto bastasse per definire una sorta di categoria immaginaria di “film d’arte”, o di arte che si rifà al cinema. Se questa categoria avesse un senso, occorre spiegare però dove andrebbero a finire capolavori come Dreams that money can buy di Hans Richter (1946), Le mystére Picasso di H-G. Clouzot con Picasso (1956), Drawing Restraint di Matthew Barney (2005) – visto che i loro rispettivi autori si collocano esattamente nella terra di nessuno fra le arti. Ma l’errore consiste nell’ostinarsi a pensare alle arti come a nazioni che godono di limiti ben precisi e che a volte, per caso,finiscono per confinare (o sconfinare) con le nazioni vicine.
E’ invece evidente ad una osservazione appena più attenta che la realtà è alquanto diversa. I fenomeni culturali non sono oggetti definibili tramite criteri estrinseci, perché tali criteri sono già culturali essi stessi; i loro confini non sono descrivibili, perché ogni descrizione fa già parte dell’identità dell’oggetto in questione, in un processo ricorsivo, a loop.
Quindi, è vero che arte e cinema non tengono in questo senso due posizioni esattamente simmetriche – dato che l’arte sembra possedere elementi di autoriflessione maggiori, mentre il cinema, per ragioni storiche, tende a dare più peso al contesto sociale di fruizione – ma proprio questa asimmetria dovrebbe spingerci a considerare con attenzione gli incroci autentici tra queste arti. Quando artisti come Cocteau, Richter, Dalì, Warhol, Schifano, Schnabel, Sherman, Barney, ecc. si volgono al cinema, e contestualmente registi come Bunuel, Hitchcock, Disney, Welles, Tarkovski, Pasolini, Romanek, ecc., si appellano alle arti, ciò che testimoniano non è solo un incrocio di tendenze, ma è soprattutto un’insoddisfazione profonda che attiene al proprio campo di produzione culturale. I casi più fecondi sono anzi quelli in cu non ci si spinge semplicemente al di là dei propri limiti espressivi, ma si parte già dalla consapevolezza che non vi è nessun al di qua, nessun ubi consistam operativo.
Si tratta di riconsiderare quindi lo stato delle cose, non a partire dagli intrecci impropriamente detti interdisciplinari, non a dalle differenze che ogni campo evidenzia rispetto all’altro, ma dall’inconsistenza che ciascuno dei campi manifesta già in sé – l’arte per conto suo e il cinema dall’altro lato”.
18
aprile 2007
Questioni aperte nell’arte contemporanea – Marco Senaldi
18 aprile 2007
arte contemporanea
incontro - conferenza
incontro - conferenza
Location
MUSEO CIVICO ALA PONZONE
Cremona, Via Ugolani Dati, 4, (Cremona)
Cremona, Via Ugolani Dati, 4, (Cremona)
Vernissage
18 Aprile 2007, ore 10.50