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Questioni aperte nell’arte contemporanea – Roberto Pinto
Davanti al dolore degli altri. Testimoni, vittime, colpevoli
Comunicato stampa
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Ritorna l’appuntamento in città con Questioni aperte nell’arte contemporanea curata dal CRAC del Liceo Artistico Statale “Bruno Munari”. di Cremona. A parlare sarà il curatore indipendente e storico dell’arte Roberto Pinto sul tema: Davanti al dolore degli altri. Testimoni, vittime, colpevoli. Lo studioso a proposito ci ha raccontato che: “lo spunto iniziale è il noto testo di Susan Sontag dove l’autrice si interroga sul modo in cui noi spettatori reagiamo alle immagini che ci circondano. Il saggio si sviluppa a partire dalle immagini di guerra, articolando un discorso che affronta apertamente molti passaggi e molte contraddizioni a proposito di una questione che si presenta resistente ad ogni possibile semplificazione.
Il nodo centrale si presenta come una sorta di prisma a più facce, dove tutti gli attori in gioco – chi produce le immagini e chi decide come metterle in circolazione, chi è guardato ed è dunque oggetto dello sguardo del fotografo e soggetto dell’immagine, e chi guarda, il “pubblico” nella sua accezione più ampia – di volta in volta entrano in una relazione non neutra tra di loro.
Sontag, sottolineando che le “fotografie di un’atrocità possono suscitare reazioni opposte”, riporta diversi casi significativi tenendo conto di questo gioco delle parti e mettendo a nudo equivoci e luoghi comuni.
Prende le distanze dal pensiero che ha definito la nostra “società dello spettacolo” e si interroga rispetto a quello che le immagini mostrano ma anche a quello che resta fuori campo, ovvero la realtà in sé, la tragedia che esse raccontano e si interroga sul contesto, sul terreno di coltura e su quanto la sua conformazione sia determinante nella comprensione di quello che guardiamo. Ecco allora che diventa importante interrogarsi su perché in alcuni momenti storici le immagini – come, per esempio, è accaduto per la guerra del Vietnam – hanno avuto una influenza decisiva nella crescita delle proteste rispetto, mentre in altri momenti visioni altrettanto atroci, scorrono davanti ai nostri occhi ma non riescono a produrre niente di più che un’emozione transitoria…
Non ci sono risposte semplici, ma processi di riflessione da tenere vivi, così come è altrettanto difficile trovare delle risposte al dilemma che ogni volta si ripropone, tra il dovere di testimoniare (e dunque di mostrare il dolore altrui in tutta la sua crudezza) e i rischi (morbosità, vouyerismo..) che questo atto comporta… Il saggio della Sontag attraversa queste e altre domande, l’autrice non assume mai la posizione di chi detiene la verità ma piuttosto chiama in causa il lettore, non consente una lettura neutra.
Conosciamo una parte dei rischi che corre il mettere in campo un percorso attorno a tematiche così delicate. Per di più è la stessa Sontag, sempre nello stesso saggio, a metterci ulteriormente in guardia, l’autrice infatti cita l’Imperial War Museum di Londra, dove è possibile sperimentare in prima persona, grazie ad un allestimento da parco giochi, cosa si prova stando in trincea durante un attacco aereo e, a seguire, sottolinea la differenza tra esporre qualcosa su una parete bianca e la realtà drammatica a cui rimanda quel “qualcosa” rimanda.
Andy Warhol “testimoniava” la sua epoca riprendendo e moltiplicando le immagini di cronaca pubblicate sui giornali. Della serie dei Disastri è stato scritto molto. C’è chi li ha visti come una forma di denuncia civile dell’altro lato della medaglia della modernità, c’è chi – nella ripetizione – ha visto l’incapacità dell’artista (ma anche dell’occhio di un’epoca) di reggere un confronto con la sofferenza altrui e dunque li ha visti come unica possibile di uno sguardo traumatizzato dagli eventi.
Erano gli anni Sessanta ma l’una e l’altra possibilità restano aperte e costituiscono due punti importanti (denuncia, trauma) che tornano in molti lavori realizzati nei decenni successivi e ancora oggi.
Questo lavoro segna uno spartiacque e, nella sua complessità, ci introduce a questioni sulle quali oggi siamo ancora a interrogarci”.
Il nodo centrale si presenta come una sorta di prisma a più facce, dove tutti gli attori in gioco – chi produce le immagini e chi decide come metterle in circolazione, chi è guardato ed è dunque oggetto dello sguardo del fotografo e soggetto dell’immagine, e chi guarda, il “pubblico” nella sua accezione più ampia – di volta in volta entrano in una relazione non neutra tra di loro.
Sontag, sottolineando che le “fotografie di un’atrocità possono suscitare reazioni opposte”, riporta diversi casi significativi tenendo conto di questo gioco delle parti e mettendo a nudo equivoci e luoghi comuni.
Prende le distanze dal pensiero che ha definito la nostra “società dello spettacolo” e si interroga rispetto a quello che le immagini mostrano ma anche a quello che resta fuori campo, ovvero la realtà in sé, la tragedia che esse raccontano e si interroga sul contesto, sul terreno di coltura e su quanto la sua conformazione sia determinante nella comprensione di quello che guardiamo. Ecco allora che diventa importante interrogarsi su perché in alcuni momenti storici le immagini – come, per esempio, è accaduto per la guerra del Vietnam – hanno avuto una influenza decisiva nella crescita delle proteste rispetto, mentre in altri momenti visioni altrettanto atroci, scorrono davanti ai nostri occhi ma non riescono a produrre niente di più che un’emozione transitoria…
Non ci sono risposte semplici, ma processi di riflessione da tenere vivi, così come è altrettanto difficile trovare delle risposte al dilemma che ogni volta si ripropone, tra il dovere di testimoniare (e dunque di mostrare il dolore altrui in tutta la sua crudezza) e i rischi (morbosità, vouyerismo..) che questo atto comporta… Il saggio della Sontag attraversa queste e altre domande, l’autrice non assume mai la posizione di chi detiene la verità ma piuttosto chiama in causa il lettore, non consente una lettura neutra.
Conosciamo una parte dei rischi che corre il mettere in campo un percorso attorno a tematiche così delicate. Per di più è la stessa Sontag, sempre nello stesso saggio, a metterci ulteriormente in guardia, l’autrice infatti cita l’Imperial War Museum di Londra, dove è possibile sperimentare in prima persona, grazie ad un allestimento da parco giochi, cosa si prova stando in trincea durante un attacco aereo e, a seguire, sottolinea la differenza tra esporre qualcosa su una parete bianca e la realtà drammatica a cui rimanda quel “qualcosa” rimanda.
Andy Warhol “testimoniava” la sua epoca riprendendo e moltiplicando le immagini di cronaca pubblicate sui giornali. Della serie dei Disastri è stato scritto molto. C’è chi li ha visti come una forma di denuncia civile dell’altro lato della medaglia della modernità, c’è chi – nella ripetizione – ha visto l’incapacità dell’artista (ma anche dell’occhio di un’epoca) di reggere un confronto con la sofferenza altrui e dunque li ha visti come unica possibile di uno sguardo traumatizzato dagli eventi.
Erano gli anni Sessanta ma l’una e l’altra possibilità restano aperte e costituiscono due punti importanti (denuncia, trauma) che tornano in molti lavori realizzati nei decenni successivi e ancora oggi.
Questo lavoro segna uno spartiacque e, nella sua complessità, ci introduce a questioni sulle quali oggi siamo ancora a interrogarci”.
26
aprile 2007
Questioni aperte nell’arte contemporanea – Roberto Pinto
26 aprile 2007
arte contemporanea
incontro - conferenza
incontro - conferenza
Location
MUSEO CIVICO ALA PONZONE
Cremona, Via Ugolani Dati, 4, (Cremona)
Cremona, Via Ugolani Dati, 4, (Cremona)
Vernissage
26 Aprile 2007, ore 10.50
Curatore