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Marco Campanini – Isolario
Corsi d’acqua dai bordi cerulei, sponde smeraldo costeggiate da alberi in filari o punteggianti. Anse sinuose di fiumi e vallate. Città: strade e giardini, baluardi murari. I paesaggi delle fotografie di Marco Campanini sono abitati da segni rarefatti che, immersi in terreni albeggianti e chiusi da orizzonti arsi da una luce assoluta, ci appaiono come miraggi
Comunicato stampa
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Corsi d’acqua dai bordi cerulei, sponde smeraldo costeggiate da alberi in filari o punteggianti. Anse sinuose di fiumi e vallate. Città: strade e giardini, baluardi murari. I paesaggi delle fotografie di Marco Campanini sono abitati da segni rarefatti che, immersi in terreni albeggianti e chiusi da orizzonti arsi da una luce assoluta, ci appaiono come miraggi.
Ma di quali paesaggi - se pur è certo, da tali elementi, che di questi si tratta - siamo spettatori? La vista è insolita. Non sono infatti territori reali quelli su cui siamo stati condotti per una veduta a volo d’uccello, ma carte topografiche: una loro rappresentazione planimetrica realizzata secondo un rapporto di corrispondenza volto a una conoscenza a fini pratici.
Il viaggio sulla mappa, viaggio mentale, era già caro a Ludovico Ariosto che amava andar «su le carte, più che sui legni volteggiando»; ma se compiuto con una macchina fotografica, evoca subito memorie ghirriane: «Il solo viaggio possibile sembra essere ormai all’interno dei segni, delle immagini: nella distruzione dell’esperienza diretta». Con queste premesse, Ghirri si avventurava tra le pagine di un Atlante dai colori retinati e i segni convenzionali, per sottoporre a verifica estrema le residue possibilità di pensare ancora oggi mondi immaginari.
Il viaggio nell’Isolario di Marco Campanini, che pur di quello è debitore, è assai diverso e ci se ne accorge presto. In queste carte, estratte dal buio degli archivi già estensi e restituite al chiarore diffuso emanato da una finestra, nessuna raffigurazione è prestabilita, serializzata, ma ogni cosa ha forme individuali differenti dalle altre, ricche di dettagli e a imitazione di quelle naturali. Nessun segno convenzionale e nessuna legenda per interpretarle. Certo tale stile, che si concretizza nella finezza del disegno, dei caratteri, delle coloriture è l’indice più immediato della loro distanza dal mondo contemporaneo, ma lo iato forte, incolmabile rispetto al nostro presente è invero concettuale: risiede nell’appartenenza di queste carte a un’epoca in cui il territorio non poteva essere rappresentato prescindendo dall’esame autoptico, dall’esperienza diretta, appunto. Nel corso dell’età moderna, tra i libri atti alla descrizione geografica del mondo si verificò proprio una sostituzione degli isolari con gli atlanti. Franco Farinelli, nell’illustrare il senso di tale passaggio, scrive in modo per noi illuminante: «la differenza tra l’atlante e l’isolario è una: nel primo il globo viene trasformato in spazio, nell’isolario al contrario tale trasformazione non è compiuta, e le terre emerse sono ancora considerate come dei luoghi». È il processo di astrazione, di trasformazione del mondo in ente calcolabile che nel nostro tempo è giunto ormai a compimento, e pare preconizzato in modo perentorio dagli strumenti di misurazione scientifica che campeggiano nella fotografia d’apertura di questa serie d’immagini… Dal testo in catalogo di Daniele De Luigi
Ma di quali paesaggi - se pur è certo, da tali elementi, che di questi si tratta - siamo spettatori? La vista è insolita. Non sono infatti territori reali quelli su cui siamo stati condotti per una veduta a volo d’uccello, ma carte topografiche: una loro rappresentazione planimetrica realizzata secondo un rapporto di corrispondenza volto a una conoscenza a fini pratici.
Il viaggio sulla mappa, viaggio mentale, era già caro a Ludovico Ariosto che amava andar «su le carte, più che sui legni volteggiando»; ma se compiuto con una macchina fotografica, evoca subito memorie ghirriane: «Il solo viaggio possibile sembra essere ormai all’interno dei segni, delle immagini: nella distruzione dell’esperienza diretta». Con queste premesse, Ghirri si avventurava tra le pagine di un Atlante dai colori retinati e i segni convenzionali, per sottoporre a verifica estrema le residue possibilità di pensare ancora oggi mondi immaginari.
Il viaggio nell’Isolario di Marco Campanini, che pur di quello è debitore, è assai diverso e ci se ne accorge presto. In queste carte, estratte dal buio degli archivi già estensi e restituite al chiarore diffuso emanato da una finestra, nessuna raffigurazione è prestabilita, serializzata, ma ogni cosa ha forme individuali differenti dalle altre, ricche di dettagli e a imitazione di quelle naturali. Nessun segno convenzionale e nessuna legenda per interpretarle. Certo tale stile, che si concretizza nella finezza del disegno, dei caratteri, delle coloriture è l’indice più immediato della loro distanza dal mondo contemporaneo, ma lo iato forte, incolmabile rispetto al nostro presente è invero concettuale: risiede nell’appartenenza di queste carte a un’epoca in cui il territorio non poteva essere rappresentato prescindendo dall’esame autoptico, dall’esperienza diretta, appunto. Nel corso dell’età moderna, tra i libri atti alla descrizione geografica del mondo si verificò proprio una sostituzione degli isolari con gli atlanti. Franco Farinelli, nell’illustrare il senso di tale passaggio, scrive in modo per noi illuminante: «la differenza tra l’atlante e l’isolario è una: nel primo il globo viene trasformato in spazio, nell’isolario al contrario tale trasformazione non è compiuta, e le terre emerse sono ancora considerate come dei luoghi». È il processo di astrazione, di trasformazione del mondo in ente calcolabile che nel nostro tempo è giunto ormai a compimento, e pare preconizzato in modo perentorio dagli strumenti di misurazione scientifica che campeggiano nella fotografia d’apertura di questa serie d’immagini… Dal testo in catalogo di Daniele De Luigi
19
maggio 2007
Marco Campanini – Isolario
Dal 19 maggio al 16 giugno 2007
fotografia
arte contemporanea
arte contemporanea
Location
GALLERIA 42 CONTEMPORANEO
Modena, Via Carteria, 42, (Modena)
Modena, Via Carteria, 42, (Modena)
Orario di apertura
mercoledì, giovedì, venerdì e sabato dalle 17,00 alle 19,30
Vernissage
19 Maggio 2007, ore 18.30
Autore
Curatore