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Cristina Meloni – 3×2
seconda di un ciclo di tre personali di artisti emergenti
Comunicato stampa
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Casa di bambola
Nell’incertezza e inadeguatezza del quotidiano, sia in ambito professionale sia affettivo, spesso ricerchiamo la nostra identità non nella collettività di appartenenza, ma negli stili di consumo, negli abiti, in quello che può essere considerata una sorta di seconda pelle nel mettere a nudo, o nel nascondere, il piacere del corpo.
Il corpo è però anche il ‘luogo’ che fisicamente ripercorriamo con le nostre emozioni e, al pari degli spazi che ci circondano, è la casa che abitiamo. Vi sono case senza limiti per la loro grandezza, case indefinibili per le proporzioni ridotte e abitazioni in cui sembra aleggiare l’atmosfera giocosa e artefatta delle case di bambole. Di quell’atmosfera, fiabesca e magica, sono improntate anche le vite interiori di Nora Helmer e Cristina Meloni; protagonista del testo ibseniano la prima, artista alla sua prima personale la seconda.
La facciata di puerilità, con la quale le due donne sembrano nascondere e dissimulare agli altri i molti aspetti del mondo, non è però una maschera, è il volto di un’autentica critica alle società nelle quali entrambe vivono.
Attraverso sguardi e prospettive nuovi, che partono però da quella stanza dei giochi, Nora e Cristina indagano la complessità del rapporto con il corpo fisico, psicologico e sociale. Le loro esperienze, solo apparentemente autobiografiche, recuperano messaggi e simboli del loro e del nostro vissuto; desideri, passioni e testimonianze delle donne di tutti i tempi, o meglio, senza tempo perché, almeno per Nora, siamo già nell’icona della storia.
Nel presente, invece, la ricerca di Cristina Meloni, che solitamente è impegnata in performance in cui il suo corpo si muove in azioni nel tempo e nello spazio dell’arte, prende forma attraverso due installazioni: New look e Monellina.
Nella prima, colori pastello alle pareti ad effetto wallpaper, specchi e figurini di carta, appendiabiti con tanto di grucce sventolanti; tutti elementi che concorrono a disegnare un atelier per bambine cresciute. In questa installazione l’artista rivisita, con la scelta del titolo, la tendenza omonima promossa dallo stilista Dior negli anni Cinquanta in cui si enfatizzava il busto dando risalto alla vita stretta, ma costringendo al tempo stesso le donne a barbare torture fisiche pur di indossare il vestito di grido. A partire dalla rilettura del passato, l’atelier creato dall’artista è però la messa in scena in chiave parodica, e quindi critica, di quanto accade oggi. Se nella moda si parla di ‘ultimo grido’, è proprio un grido quello che si ode dalle labbra delle avventrici dell’atelier di Meloni: i suoi abiti di carta, forse adatti a quella bambola che neanche dentro di lei esiste più, sono sagome di due taglie più piccole del normale che gli spettatori cercano di indossare specchiandosi tra la folla dell’inaugurazione. In Spagna è stata abolita la taglia 38 dalle passerelle, in tutto il mondo occidentale donne diafane e senza forme sfilano sotto i riflettori, il culto della magrezza ‘skin and bones’ non fa altro che mettere a disagio tutte coloro, artista compresa, che non abitano e non intendono abitare quei corpi privi di vita.
In Monellina, il secondo progetto dell’artista, Cristina Meloni passa dall’allestimento di un atelier di alta sartoria di carta alla vetrina promozionale tipica di un supermercato in cui, tra verità e finzione, nove bamboline giacciono tra scatole e accessori, ma senza promoter vivente a sollecitarne la prova e l’acquisto. Rileggendo la storia personale di Cristina, quella bambola non è altro che lei stessa: “bambola”, infatti, era il nomignolo con cui veniva chiamata da bambina, è però anche il vezzeggiativo che oggi lei rifiuta, perché bambola, oltre a pupazzo, vuol significare donna attraente, inespressiva e priva di personalità.
Nell’operazione di Cristina Meloni, la tragica bambola si trasforma così in comica e arguta monella, pronta a soddisfare i desideri di chiunque si avvicini e la sfiori. Dotate di sensori, le monelline emettono suoni e gemiti; voci che simulano il piacere femminile a sottolineare quanto, e spesso, in situazioni di coppia la donna finga pur di non deludere il partner, annullandosi quindi a quella condizione di bambola. È un ennesimo gioco quello messo in scena da Meloni, ma il sentimento di libertà e appagamento da lei indagati nell’universo femminile, si traducono, alla fine, in testimonianze onanistiche del piacere che, nello spostamento del corpo dal reale alla sua manipolazione, dal naturale all'artificiale, rientrano in una sorta di disintegrazione dell'io dell'era cosiddetta Post-Human.
Tra sogno e favola, le situazioni e i personaggi creati da Cristina Meloni diventano simboli e manichini da modificare in uno spazio in cui, tra superficialità e profondità, la stanza dei giochi di Nora si trasforma nel luogo dove tutto è possibile. [Claudio Cravero]
Nell’incertezza e inadeguatezza del quotidiano, sia in ambito professionale sia affettivo, spesso ricerchiamo la nostra identità non nella collettività di appartenenza, ma negli stili di consumo, negli abiti, in quello che può essere considerata una sorta di seconda pelle nel mettere a nudo, o nel nascondere, il piacere del corpo.
Il corpo è però anche il ‘luogo’ che fisicamente ripercorriamo con le nostre emozioni e, al pari degli spazi che ci circondano, è la casa che abitiamo. Vi sono case senza limiti per la loro grandezza, case indefinibili per le proporzioni ridotte e abitazioni in cui sembra aleggiare l’atmosfera giocosa e artefatta delle case di bambole. Di quell’atmosfera, fiabesca e magica, sono improntate anche le vite interiori di Nora Helmer e Cristina Meloni; protagonista del testo ibseniano la prima, artista alla sua prima personale la seconda.
La facciata di puerilità, con la quale le due donne sembrano nascondere e dissimulare agli altri i molti aspetti del mondo, non è però una maschera, è il volto di un’autentica critica alle società nelle quali entrambe vivono.
Attraverso sguardi e prospettive nuovi, che partono però da quella stanza dei giochi, Nora e Cristina indagano la complessità del rapporto con il corpo fisico, psicologico e sociale. Le loro esperienze, solo apparentemente autobiografiche, recuperano messaggi e simboli del loro e del nostro vissuto; desideri, passioni e testimonianze delle donne di tutti i tempi, o meglio, senza tempo perché, almeno per Nora, siamo già nell’icona della storia.
Nel presente, invece, la ricerca di Cristina Meloni, che solitamente è impegnata in performance in cui il suo corpo si muove in azioni nel tempo e nello spazio dell’arte, prende forma attraverso due installazioni: New look e Monellina.
Nella prima, colori pastello alle pareti ad effetto wallpaper, specchi e figurini di carta, appendiabiti con tanto di grucce sventolanti; tutti elementi che concorrono a disegnare un atelier per bambine cresciute. In questa installazione l’artista rivisita, con la scelta del titolo, la tendenza omonima promossa dallo stilista Dior negli anni Cinquanta in cui si enfatizzava il busto dando risalto alla vita stretta, ma costringendo al tempo stesso le donne a barbare torture fisiche pur di indossare il vestito di grido. A partire dalla rilettura del passato, l’atelier creato dall’artista è però la messa in scena in chiave parodica, e quindi critica, di quanto accade oggi. Se nella moda si parla di ‘ultimo grido’, è proprio un grido quello che si ode dalle labbra delle avventrici dell’atelier di Meloni: i suoi abiti di carta, forse adatti a quella bambola che neanche dentro di lei esiste più, sono sagome di due taglie più piccole del normale che gli spettatori cercano di indossare specchiandosi tra la folla dell’inaugurazione. In Spagna è stata abolita la taglia 38 dalle passerelle, in tutto il mondo occidentale donne diafane e senza forme sfilano sotto i riflettori, il culto della magrezza ‘skin and bones’ non fa altro che mettere a disagio tutte coloro, artista compresa, che non abitano e non intendono abitare quei corpi privi di vita.
In Monellina, il secondo progetto dell’artista, Cristina Meloni passa dall’allestimento di un atelier di alta sartoria di carta alla vetrina promozionale tipica di un supermercato in cui, tra verità e finzione, nove bamboline giacciono tra scatole e accessori, ma senza promoter vivente a sollecitarne la prova e l’acquisto. Rileggendo la storia personale di Cristina, quella bambola non è altro che lei stessa: “bambola”, infatti, era il nomignolo con cui veniva chiamata da bambina, è però anche il vezzeggiativo che oggi lei rifiuta, perché bambola, oltre a pupazzo, vuol significare donna attraente, inespressiva e priva di personalità.
Nell’operazione di Cristina Meloni, la tragica bambola si trasforma così in comica e arguta monella, pronta a soddisfare i desideri di chiunque si avvicini e la sfiori. Dotate di sensori, le monelline emettono suoni e gemiti; voci che simulano il piacere femminile a sottolineare quanto, e spesso, in situazioni di coppia la donna finga pur di non deludere il partner, annullandosi quindi a quella condizione di bambola. È un ennesimo gioco quello messo in scena da Meloni, ma il sentimento di libertà e appagamento da lei indagati nell’universo femminile, si traducono, alla fine, in testimonianze onanistiche del piacere che, nello spostamento del corpo dal reale alla sua manipolazione, dal naturale all'artificiale, rientrano in una sorta di disintegrazione dell'io dell'era cosiddetta Post-Human.
Tra sogno e favola, le situazioni e i personaggi creati da Cristina Meloni diventano simboli e manichini da modificare in uno spazio in cui, tra superficialità e profondità, la stanza dei giochi di Nora si trasforma nel luogo dove tutto è possibile. [Claudio Cravero]
26
maggio 2007
Cristina Meloni – 3×2
Dal 26 maggio al 05 giugno 2007
giovane arte
Location
SU PALATU ‘E SAS ISCOLAS
Villanova Monteleone, Via Roma, (SASSARI)
Villanova Monteleone, Via Roma, (SASSARI)
Orario di apertura
martedì – domenica 16:30 - 19:30
Vernissage
26 Maggio 2007, ore 18.30
Editore
SOTER
Ufficio stampa
CANTIERE48
Autore
Curatore