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Epifania di un albero
I dieci artisti presenti in mostra non vogliono certo affidarsi ai “nidi sonori e favolosi di un tempo o naufragare in quelle lontananze in cui la natura era incontaminata” (Zanzotto)
Comunicato stampa
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Ha scritto Kandinskij che bisogna “imparare dagli alberi, perché essi fanno tesoro di ogni clima, di ogni terra, di ogni cielo”. Essi sono pieni di tempo e di inesauribili possibilità visive: soprattutto sono figure sciolte da ogni fissità fisica e trapassano le une nelle altre come elementi dinamici e vitali. Ma come può l’arte far presa su questo oggetto di natura, se proprio la natura oggi va sempre più perdendo peso, profondità, senso?
I dieci artisti presenti in mostra non vogliono certo affidarsi ai “nidi sonori e favolosi di un tempo o naufragare in quelle lontananze in cui la natura era incontaminata” (Zanzotto): non ci sono nella loro opera tracce di nostalgia e forse neppure indizi di utopia. Casomai un nuovo modo di vedere il mondo, di interrogarlo, di interpretarlo. Del resto, il titolo della rassegna, “Epifania di un albero”, più che a una dimensione contemplativa allude a una dimensione attiva, a qualcosa che ha a che fare con un evento (con un fatto che succede, fluisce), cambiando tutti i nostri abituali schemi percettivi. L’epifania infatti si rifà alla manifestazione di un essere occulto o spirituale. Per cui l’albero (inteso anche nell’accezione dilatata di vegetazione, paesaggio, natura) è assunto nella sua valenza intima di forza vitale, di fiato, di anima: di mito archetipico che ritorna, anche se come una sorta di “oggetto smarrito” e ritrovato o come un fantasma che riappare o addirittura come una entità che ci dice qualcosa di più della sua stessa presenza. Forse, come ci suggerisce Merleau-Ponty, qui è proprio l’opera che ci guarda, è l’immagine che ci fa segno, sono le materie che non solo si lasciano vedere, ma che anche ci fanno vedere (e capire).
Dall’argentina Karina Chechik, che nella sua videoinstallazione mette a confronto sintesi clorofilliana e sistema sanguigno del corpo, ai totem metamorfici di Chiara Castagna, dove la figura dell’albero pare abitata da forze arcane, ai progetti di Fabrizio Plessi che “giocano” tra rappresentazione e realtà amplificando l’elemento ligneo per mezzo di sottili interventi tecnologici, a Piero Gilardi che attraverso una serie di apparati informatizzati crea un “Vitigno danzante” che si anima, si accende, muove i rami alla minima sollecitazione, a Silvia Vendramel che realizza una specie di foresta di Birnam utilizzando un intrico di reperti di fusione; e ancora a Paolo Vallorz che dà conto di tronchi e radici con una pittura forte, vibrante, solida, a Mario Schifano con le sue Palme, “dove il colore diventa segno, il campo pittorico sagoma, la saturazione cromatica assenza”, a Fabio Grassi che mette in moto uno sguardo ravvicinato, facendo diventare la materia una sorta di calco di corteccia, a Pier Toffoletti con grandi foto che danno l’impressione di una emozionata immersione nel fitto del bosco, a Carlo Mattioli che esprime una poetica capace di tradurre l’affiorare alla coscienza di illuminazioni che vengono dall’osservazione di una natura infinitamente cangiante.
In tutti gli artisti presenti non si tratta mai di riprodurre il mondo com’è, ma di voler moltiplicare le investigazioni, di tentare, di esplorare. C’è un senso che lega tutte le opere, un senso che si nasconde, riappare. Riaffiora per trasformarsi. Si dissimula senza essere simulazione. Si altera senza con ciò perdersi. Un senso che si realizza in una nuova conoscenza e visione del mondo.
I dieci artisti presenti in mostra non vogliono certo affidarsi ai “nidi sonori e favolosi di un tempo o naufragare in quelle lontananze in cui la natura era incontaminata” (Zanzotto): non ci sono nella loro opera tracce di nostalgia e forse neppure indizi di utopia. Casomai un nuovo modo di vedere il mondo, di interrogarlo, di interpretarlo. Del resto, il titolo della rassegna, “Epifania di un albero”, più che a una dimensione contemplativa allude a una dimensione attiva, a qualcosa che ha a che fare con un evento (con un fatto che succede, fluisce), cambiando tutti i nostri abituali schemi percettivi. L’epifania infatti si rifà alla manifestazione di un essere occulto o spirituale. Per cui l’albero (inteso anche nell’accezione dilatata di vegetazione, paesaggio, natura) è assunto nella sua valenza intima di forza vitale, di fiato, di anima: di mito archetipico che ritorna, anche se come una sorta di “oggetto smarrito” e ritrovato o come un fantasma che riappare o addirittura come una entità che ci dice qualcosa di più della sua stessa presenza. Forse, come ci suggerisce Merleau-Ponty, qui è proprio l’opera che ci guarda, è l’immagine che ci fa segno, sono le materie che non solo si lasciano vedere, ma che anche ci fanno vedere (e capire).
Dall’argentina Karina Chechik, che nella sua videoinstallazione mette a confronto sintesi clorofilliana e sistema sanguigno del corpo, ai totem metamorfici di Chiara Castagna, dove la figura dell’albero pare abitata da forze arcane, ai progetti di Fabrizio Plessi che “giocano” tra rappresentazione e realtà amplificando l’elemento ligneo per mezzo di sottili interventi tecnologici, a Piero Gilardi che attraverso una serie di apparati informatizzati crea un “Vitigno danzante” che si anima, si accende, muove i rami alla minima sollecitazione, a Silvia Vendramel che realizza una specie di foresta di Birnam utilizzando un intrico di reperti di fusione; e ancora a Paolo Vallorz che dà conto di tronchi e radici con una pittura forte, vibrante, solida, a Mario Schifano con le sue Palme, “dove il colore diventa segno, il campo pittorico sagoma, la saturazione cromatica assenza”, a Fabio Grassi che mette in moto uno sguardo ravvicinato, facendo diventare la materia una sorta di calco di corteccia, a Pier Toffoletti con grandi foto che danno l’impressione di una emozionata immersione nel fitto del bosco, a Carlo Mattioli che esprime una poetica capace di tradurre l’affiorare alla coscienza di illuminazioni che vengono dall’osservazione di una natura infinitamente cangiante.
In tutti gli artisti presenti non si tratta mai di riprodurre il mondo com’è, ma di voler moltiplicare le investigazioni, di tentare, di esplorare. C’è un senso che lega tutte le opere, un senso che si nasconde, riappare. Riaffiora per trasformarsi. Si dissimula senza essere simulazione. Si altera senza con ciò perdersi. Un senso che si realizza in una nuova conoscenza e visione del mondo.
16
giugno 2007
Epifania di un albero
Dal 16 giugno al 05 agosto 2007
arte contemporanea
Location
PALAZZO PRETORIO
Cittadella, Via Guglielmo Marconi, 30, (Padova)
Cittadella, Via Guglielmo Marconi, 30, (Padova)
Orario di apertura
feriale 15,30-19,30; festivo 10,00-12,30 15,00-19,00; martedì chiuso
Vernissage
16 Giugno 2007, ore 18
Autore
Curatore