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Eliana Sevillano
Personale dell’artista venezuelana
Comunicato stampa
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La già lunga e complessa attività artistica di Eliana Sevillano, tra Venezuela ed Europa, tra impegno sociale svolto insieme al
Gruppo del Pez Dorado (Pol, Barboza, Gil, Ubide, Gonzalez) e progressiva “liberazione” verso un astrattismo di matrice naturalistica – e poi dirò perché - ci parla di un’indole curiosa,
inquieta, magari contraddittoria, ma di sicuro vissuta in primissima persona, certamente capace di non dover tener conto a nessuno delle proprie esperienze ideologiche, culturali e poetiche. E
soprattutto umane, che nel suo caso occupano un ruolo fondamentale.
Dico questo perché si avverte subito che la sua è una pittura che viene da lontananze fortemente individuali, perfino autobiografiche, là dove la pratica dell’arte si affida a quella “costanza della ragione” che sconfina nel versante etico del fare, per una responsabilità che si è assunti appunto oltre i territori stessi dell’arte. Un segnale, questo, iconoscibilissimo al primo sguardo, inconfondibile su tutti, anche dovesse essere sommerso da stratificazioni di apporti teoretici, concettuali e filosofici.
La pittura della Sevillano è insomma di la “grana”, oggi certamente rara, che riuscirebbe ad affiorare sempre, ogni volta
depurata dalla e nella sua stessa sostanza, a manifestare l’unico destino per il quale è arrivata fino a noi, malgrado le esperienze
e le inversioni di rotta di cui dicevo: il destino di essere osservata via via nello svolgersi della sua propria fenomenologia, nel suo apparire di “cosa” così totalmente e fisiologicamente “visiva” da rimetterci in sintonia con certi momenti irripetibili e, diciamolo, “veri”, della pittura.
Come dire che sto parlando di un’artista che prima ancora che per ammirazione ci sorprende per probità; quando al più che obsoleto termine si riconosca la qualità delle cose e dei valori
destinati a durare nel tempo.
Ma come e cosa ha fatto la Sevillano a sedurci fino a questo punto? Quale è la formula, se ce n’è una, dove sono i metodi, la “strategie” e le tecniche d’esecuzione che hanno reso il suo lavoro sempre così compatto, omogeneo e credibile, pur nelle frequenti variazioni “sul tema” e nella straordinaria ampiezza delle soluzioni inventive che la sua pittura continua a darci prova?
Per uno strutturalista di antica militanza, i segni emergono tutti e come: che non sono quelli che possono rimandare a evidenti ma in fondo subliminali affinità con Burri, o Rothko o Albers, cioè a quell’esprit de géométrie che ha connotato tanta pittura del dopoguerra impegnata ad operare tra materia, superficie e spazio e alle loro possibili convergenze e interferenze, Heidegger e Husserl, “docendo”.
Certamente anche la Sevillano è figlia del suo tempo, e ha tutte le proprie paternità culturali in regola, né il concetto e l’azione dello Zeitgeist può esserle estraneo: solo che la peculiarità del suo lavoro dovrà essere dirottata in una costante , che poi sono due, da cui in un certo senso tutto ha origine e a cui tutto ritorna.
Innanzitutto il quadrato, un incipit anche questo di illustre ascendenza – basti pensare a Malevic – che nel suo lavoro ricorre con allusiva ripetitività: a cominciare dal formato della tela o comunque dal modulo che riemerge anche nei dipinti rettangolari, a ribadire al di là degli incastri e della sovrimpressione delle strutture formali, la sua primarietà di icona.
Per quella “conoscenza della carne” che guida per così dire in absentia l’opera di un artista della sua sensibilità, la Sevillano “sa” che il quadrato esprime l’orientamento dell’uomo nello spazio e nell’ambito vitale. Come per la croce, anche nel caso del quadrato è fondamentale il desiderio di orizzontarsi mediante l’introduzione di direzioni e coordinate in un mondo che nella sua fase primordiale appare caotico. Come dire che la quadratura comporta un principio d’ordine che sembra innato nell’uomo e che, in un sistema dualistico si contrappone al cerchio, che rappresenta invece le potenze celesti. La leggendaria quadratura del cerchio, (propriamente la trasformazione di un cerchio in un quadrato di uguale superficie mediante procedimenti geometrici), simboleggia il desiderio di ricondurre l’elemento “terrestre” a quello “celeste”, a un ideale equilibrio (coincidentia oppositorum). In definitiva il quadrato, ancora secondo l’ampia letteratura simbolica di cui è oggetto, fungerebbe da immagine del cosmo “a misura d’uomo”, al centro del quale viene a trovarsi “l’arciere celeste” (l’axis mundi).
Di tutta questa mitografia esoterica la Sevillano assume istintivamente l’essenza, quello che più le serve a legittimare la propria scelta estetica: nel caso, facendo del quadrato il “recinto sacro” che per antonomasia designa la forma e la sua stabilità, di contro all’avanzante e incontenibile espansione dell’informe che dalle tendenze storiche del dopoguerra in poi si è espanso in direzioni che hanno finito per “rigettare” il dato formale al di fuori degli innumerevoli orientamenti estetici fino a renderlo superfluo, se non addirittura controproducente, alle nuove finalità perseguite dall’artista.
E se ormai da tempo la pittura della Sevillano segue una linea decisamente non oggettiva, “l’asse” di cui si diceva, il perno che sostiene il suo quoziente visivo, riporta invece sempre ad un ordine razionale geometrizzante, a una regola, a una norma senza le quali , e l’artista lo sa per prima, niente potrebbe stare in piedi.
Gruppo del Pez Dorado (Pol, Barboza, Gil, Ubide, Gonzalez) e progressiva “liberazione” verso un astrattismo di matrice naturalistica – e poi dirò perché - ci parla di un’indole curiosa,
inquieta, magari contraddittoria, ma di sicuro vissuta in primissima persona, certamente capace di non dover tener conto a nessuno delle proprie esperienze ideologiche, culturali e poetiche. E
soprattutto umane, che nel suo caso occupano un ruolo fondamentale.
Dico questo perché si avverte subito che la sua è una pittura che viene da lontananze fortemente individuali, perfino autobiografiche, là dove la pratica dell’arte si affida a quella “costanza della ragione” che sconfina nel versante etico del fare, per una responsabilità che si è assunti appunto oltre i territori stessi dell’arte. Un segnale, questo, iconoscibilissimo al primo sguardo, inconfondibile su tutti, anche dovesse essere sommerso da stratificazioni di apporti teoretici, concettuali e filosofici.
La pittura della Sevillano è insomma di la “grana”, oggi certamente rara, che riuscirebbe ad affiorare sempre, ogni volta
depurata dalla e nella sua stessa sostanza, a manifestare l’unico destino per il quale è arrivata fino a noi, malgrado le esperienze
e le inversioni di rotta di cui dicevo: il destino di essere osservata via via nello svolgersi della sua propria fenomenologia, nel suo apparire di “cosa” così totalmente e fisiologicamente “visiva” da rimetterci in sintonia con certi momenti irripetibili e, diciamolo, “veri”, della pittura.
Come dire che sto parlando di un’artista che prima ancora che per ammirazione ci sorprende per probità; quando al più che obsoleto termine si riconosca la qualità delle cose e dei valori
destinati a durare nel tempo.
Ma come e cosa ha fatto la Sevillano a sedurci fino a questo punto? Quale è la formula, se ce n’è una, dove sono i metodi, la “strategie” e le tecniche d’esecuzione che hanno reso il suo lavoro sempre così compatto, omogeneo e credibile, pur nelle frequenti variazioni “sul tema” e nella straordinaria ampiezza delle soluzioni inventive che la sua pittura continua a darci prova?
Per uno strutturalista di antica militanza, i segni emergono tutti e come: che non sono quelli che possono rimandare a evidenti ma in fondo subliminali affinità con Burri, o Rothko o Albers, cioè a quell’esprit de géométrie che ha connotato tanta pittura del dopoguerra impegnata ad operare tra materia, superficie e spazio e alle loro possibili convergenze e interferenze, Heidegger e Husserl, “docendo”.
Certamente anche la Sevillano è figlia del suo tempo, e ha tutte le proprie paternità culturali in regola, né il concetto e l’azione dello Zeitgeist può esserle estraneo: solo che la peculiarità del suo lavoro dovrà essere dirottata in una costante , che poi sono due, da cui in un certo senso tutto ha origine e a cui tutto ritorna.
Innanzitutto il quadrato, un incipit anche questo di illustre ascendenza – basti pensare a Malevic – che nel suo lavoro ricorre con allusiva ripetitività: a cominciare dal formato della tela o comunque dal modulo che riemerge anche nei dipinti rettangolari, a ribadire al di là degli incastri e della sovrimpressione delle strutture formali, la sua primarietà di icona.
Per quella “conoscenza della carne” che guida per così dire in absentia l’opera di un artista della sua sensibilità, la Sevillano “sa” che il quadrato esprime l’orientamento dell’uomo nello spazio e nell’ambito vitale. Come per la croce, anche nel caso del quadrato è fondamentale il desiderio di orizzontarsi mediante l’introduzione di direzioni e coordinate in un mondo che nella sua fase primordiale appare caotico. Come dire che la quadratura comporta un principio d’ordine che sembra innato nell’uomo e che, in un sistema dualistico si contrappone al cerchio, che rappresenta invece le potenze celesti. La leggendaria quadratura del cerchio, (propriamente la trasformazione di un cerchio in un quadrato di uguale superficie mediante procedimenti geometrici), simboleggia il desiderio di ricondurre l’elemento “terrestre” a quello “celeste”, a un ideale equilibrio (coincidentia oppositorum). In definitiva il quadrato, ancora secondo l’ampia letteratura simbolica di cui è oggetto, fungerebbe da immagine del cosmo “a misura d’uomo”, al centro del quale viene a trovarsi “l’arciere celeste” (l’axis mundi).
Di tutta questa mitografia esoterica la Sevillano assume istintivamente l’essenza, quello che più le serve a legittimare la propria scelta estetica: nel caso, facendo del quadrato il “recinto sacro” che per antonomasia designa la forma e la sua stabilità, di contro all’avanzante e incontenibile espansione dell’informe che dalle tendenze storiche del dopoguerra in poi si è espanso in direzioni che hanno finito per “rigettare” il dato formale al di fuori degli innumerevoli orientamenti estetici fino a renderlo superfluo, se non addirittura controproducente, alle nuove finalità perseguite dall’artista.
E se ormai da tempo la pittura della Sevillano segue una linea decisamente non oggettiva, “l’asse” di cui si diceva, il perno che sostiene il suo quoziente visivo, riporta invece sempre ad un ordine razionale geometrizzante, a una regola, a una norma senza le quali , e l’artista lo sa per prima, niente potrebbe stare in piedi.
13
ottobre 2007
Eliana Sevillano
Dal 13 ottobre al 13 novembre 2007
arte contemporanea
Location
GALLERIA IMMAGINARIA
Firenze, Via Guelfa, 22/a, (Firenze)
Firenze, Via Guelfa, 22/a, (Firenze)
Orario di apertura
9.30-13.00 e 15.30-19.30. Domenica 16.30-19.30
Vernissage
13 Ottobre 2007, ore 17:00
Autore
Curatore