Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Luca Leandri – Il morso in testa
La mostra ruota intorno ad un tema già affrontato in passato dall’artista sulla precarietà della vita umana e la centralità del pensiero come atto principale con cui l’anima percepisce, considera, riflette, immagina, giudica, ragiona. Un’esposizione di opere e installazioni in ceramica che alla maestria della tecnica e alla raffinata estetica riescono ad affiancare un alto valore intellettuale e spirituale
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Tre pomi egli gettò (e si salvò la vita) innanzi al passo più veloce di lei, immacolata Atalanta, che ogni avversario aveva eliminato. Al luccichio dell’oro, di cui essi erano fatti, lei si specchiò e rallentò la corsa. Lui, Ippomene, senza indugio superò l’amata rivale conquistando lei, trofeo di verginità.
Eran, quei pomi, gli stessi che Ercole aveva rubato alle “figlie della sera” dopo aver ucciso Ladone, la serpe, guardiano severo del melo esperidiano.
E ancora gli stessi, nel paese dell’Eden, appesi a quell’unico albero inspiegabilmente proibito i quali provocarono la tragica disobbedienza di Adamo che accettò l’invito del serpente a raccoglierne uno, semplicemente per offrirlo alla sua amata che tanta voglia di mela possedeva. (o la voglia era di lui ?)
Per non parlare ancora del pomo d’oro che Paride dovette assegnare alla più bella tra le tre più belle Dee dell’Olimpo che, in quel giorno del giudizio, gli si pararono di fronte in tutta la loro provocante nudità.
E questo è solo l’inizio della storia di questo carnoso frutto sempre in mezzo alle contese umane.
Sempre sensuale nelle sue carnose curve, succulenta quanto l’acquolina che provoca, eccitante al soffio delle labbra che accarezzano la sua pelle di velluto prima di morderla.
La mela è la femmina del desiderio e questo desiderio della femmina ancora oggi persiste e diventa città (New York), computer (la Apple), band musicale (the Beatles) e via dicendo.
In questa nuova esposizione di Luca Leandri il primo frutto del suo costante lavoro che ci presenta è proprio una mela antropomorfizzata. Dal candido muro, laggiù in fondo alla stanza, fa capolino, infatti, una piccola sfera dorata appena sopra ad una sedia vuota rivolta verso il muro.
Ci avviciniamo con decisione. (D'altronde cos’altro si può fare in questo vuoto silenzio che ci accoglie?)
Alternando i passi ripensiamo al titolo della mostra: “Il Morso in Testa” e ci chiediamo: sarà il morso che rode le sicurezze dell’artista nella sua prassi creativa? O il morso del baco che come un’ossessione lo costringe a produrre? Oppure, ancora, il morso dell’aggressione estetica? …
Ora, più vicini, distinguiamo il tutto: la sfera diventa mela con il suo picciolo rivolto verso l’alto e la mela diventa cranio di un volto rivolto verso il basso; il tutto lustrato di pelle dorata.
La scoperta gratifica l’azione, l’oggetto diventa subito familiare, vien voglia di toccarlo e di stringerlo tra le mani, la superficie specchiante nasconde il suo segreto sotto una patina trasparente che la rende cromaticamente più calda e matericamente più morbida.
Ma! Cos’è questa macchia, questa imperfezione nella zona parieto-occipitale-sinistra del frutto craniale?
È un buco rosicchiato, è un vero e proprio morso in testa lasciato dal protagonista di questa povera scena: il sedente-assente.
Chi, sedendo in questa sedia, ha afferrato la testa, ha avvicinato la bocca spalancata e ha aggredito con un morso la sua superficie perfetta? Per quale motivo? Con quale sentimento?
Già Leandri, in una mostra del 2005 dal titolo “e-senza”, in un lavoro esposto, aveva usato, in scala ridotta, gli elementi della mela e della sedia in un rapporto spaziale circoscritto ad una teca trasparente.
Ora, in tutt’altra proporzione, tutto torna attuale, solo che la mela nella sua metamorfosi indotta ci sta svelando una presenza dai lineamenti ancora abbozzati.
È l’immagine di un dialogo avvenuto tra a-senza e pre-senza, un dialogo che ha lasciato un segno, un segno, il morso, che non sembra indichi discordia, ma a-saggio, indagine, osservazione, prova, analisi … e-senzia … tutte dimensioni proprie della ricerca artistica.
Il percorso continua e, al piano superiore, torna l’immagine della testa in tre versioni differenti.
In queste l’artista non si è accontentato di rosicchiare le loro superfici, ma le ha completamente divise in due con un netto taglio longitudinale così da aprirle ai nostri sguardi. Con questa operazione ci invita, infatti, a guardarci dentro e a scoprire che l’una nasconde la forma di un’altra piccola testa, la mente della mente, nell’altra è impressa una mano, il fare consapevole, e nell’ultima un orecchio, antenna di vibrazioni sensoriali.
Non è nuovo, Leandri, a nascondere all’interno delle sue opere elementi di sorpresa, come nelle “Forme ermetiche” (2004), custodi di auree superfici, o in “Entroterra” (2004) col suo braciere mimetizzato da un fittile tappeto. Il nascondimento, simile all’ermeticità di quegli scrigni di luce che sono le chiese bizantine la cui povertà esteriore custodisce il tesoro dei mille colori interni avvolgenti ogni spazio, sottolinea l’invito dell’artista a non valutare l’opera d’arte solo per la materia preziosa di cui è spesso costituita, ma soprattutto per la sua forma estetico-significativa.
Di fronte a queste tre specie di monadi cefaliche (unità in-divise) una linea nera formata da un indefinito numero di carboniferi quadretti occupa l’intera parete: ci troviamo di fronte a “n neri”.
Sono, queste, piccole superfici di terra arrostita bloccata un attimo prima di esplodere, quando le crepe formatesi dalla spinta a tergo del gesto artistico sono lì lì per diventare ferita, sbrego, squarcio. Ognuna di esse, immagine della sua personale genesi, è testimone della propria tragedia esistenziale e, uscendo dal misero spazio che la piccola cornice concede loro, sembrano mandarci l’urlo afono della materia succube del fare umano.
L’umor nero che ci tinge lo sguardo in questa sequela di astratte impronte fossili trova il suo opposto in un candido gioco di scatole metafisiche costituenti l’opera “Teste di ricambio”. Infatti, sedici scaffali appesi con regolarità ad una parete della stanzetta adiacente ci propongono un inventario di vari oggetti riprodotti in ceramica. C’è una scarpa rotta, alcuni libri, dei fogli sparsi, un ombrello e un martello, poi tra loro torna il tema delle teste che, in diverse posizioni, occupano le scansie restanti.
Tutta l’opera vira verso un rassicurante bianco; solo dei grossi chiodi arrugginiti, trovati chissà dove, utili a bloccare le teche al muro, rompono l’armonica tonalità.
Siamo nel magazzino dell’artista: nei vari ripiani scopriamo la sua materia di studio, l’ordine e il disordine, il pensiero e la prassi, la provvigione e l’abbandono, il piacere e la sofferenza, realtà che per tutti noi è, e sarà sempre, impossibile evitare.
(se di Vita si vuol parlare)
Febbraio 2008
Antonio Pazzaglia
Eran, quei pomi, gli stessi che Ercole aveva rubato alle “figlie della sera” dopo aver ucciso Ladone, la serpe, guardiano severo del melo esperidiano.
E ancora gli stessi, nel paese dell’Eden, appesi a quell’unico albero inspiegabilmente proibito i quali provocarono la tragica disobbedienza di Adamo che accettò l’invito del serpente a raccoglierne uno, semplicemente per offrirlo alla sua amata che tanta voglia di mela possedeva. (o la voglia era di lui ?)
Per non parlare ancora del pomo d’oro che Paride dovette assegnare alla più bella tra le tre più belle Dee dell’Olimpo che, in quel giorno del giudizio, gli si pararono di fronte in tutta la loro provocante nudità.
E questo è solo l’inizio della storia di questo carnoso frutto sempre in mezzo alle contese umane.
Sempre sensuale nelle sue carnose curve, succulenta quanto l’acquolina che provoca, eccitante al soffio delle labbra che accarezzano la sua pelle di velluto prima di morderla.
La mela è la femmina del desiderio e questo desiderio della femmina ancora oggi persiste e diventa città (New York), computer (la Apple), band musicale (the Beatles) e via dicendo.
In questa nuova esposizione di Luca Leandri il primo frutto del suo costante lavoro che ci presenta è proprio una mela antropomorfizzata. Dal candido muro, laggiù in fondo alla stanza, fa capolino, infatti, una piccola sfera dorata appena sopra ad una sedia vuota rivolta verso il muro.
Ci avviciniamo con decisione. (D'altronde cos’altro si può fare in questo vuoto silenzio che ci accoglie?)
Alternando i passi ripensiamo al titolo della mostra: “Il Morso in Testa” e ci chiediamo: sarà il morso che rode le sicurezze dell’artista nella sua prassi creativa? O il morso del baco che come un’ossessione lo costringe a produrre? Oppure, ancora, il morso dell’aggressione estetica? …
Ora, più vicini, distinguiamo il tutto: la sfera diventa mela con il suo picciolo rivolto verso l’alto e la mela diventa cranio di un volto rivolto verso il basso; il tutto lustrato di pelle dorata.
La scoperta gratifica l’azione, l’oggetto diventa subito familiare, vien voglia di toccarlo e di stringerlo tra le mani, la superficie specchiante nasconde il suo segreto sotto una patina trasparente che la rende cromaticamente più calda e matericamente più morbida.
Ma! Cos’è questa macchia, questa imperfezione nella zona parieto-occipitale-sinistra del frutto craniale?
È un buco rosicchiato, è un vero e proprio morso in testa lasciato dal protagonista di questa povera scena: il sedente-assente.
Chi, sedendo in questa sedia, ha afferrato la testa, ha avvicinato la bocca spalancata e ha aggredito con un morso la sua superficie perfetta? Per quale motivo? Con quale sentimento?
Già Leandri, in una mostra del 2005 dal titolo “e-senza”, in un lavoro esposto, aveva usato, in scala ridotta, gli elementi della mela e della sedia in un rapporto spaziale circoscritto ad una teca trasparente.
Ora, in tutt’altra proporzione, tutto torna attuale, solo che la mela nella sua metamorfosi indotta ci sta svelando una presenza dai lineamenti ancora abbozzati.
È l’immagine di un dialogo avvenuto tra a-senza e pre-senza, un dialogo che ha lasciato un segno, un segno, il morso, che non sembra indichi discordia, ma a-saggio, indagine, osservazione, prova, analisi … e-senzia … tutte dimensioni proprie della ricerca artistica.
Il percorso continua e, al piano superiore, torna l’immagine della testa in tre versioni differenti.
In queste l’artista non si è accontentato di rosicchiare le loro superfici, ma le ha completamente divise in due con un netto taglio longitudinale così da aprirle ai nostri sguardi. Con questa operazione ci invita, infatti, a guardarci dentro e a scoprire che l’una nasconde la forma di un’altra piccola testa, la mente della mente, nell’altra è impressa una mano, il fare consapevole, e nell’ultima un orecchio, antenna di vibrazioni sensoriali.
Non è nuovo, Leandri, a nascondere all’interno delle sue opere elementi di sorpresa, come nelle “Forme ermetiche” (2004), custodi di auree superfici, o in “Entroterra” (2004) col suo braciere mimetizzato da un fittile tappeto. Il nascondimento, simile all’ermeticità di quegli scrigni di luce che sono le chiese bizantine la cui povertà esteriore custodisce il tesoro dei mille colori interni avvolgenti ogni spazio, sottolinea l’invito dell’artista a non valutare l’opera d’arte solo per la materia preziosa di cui è spesso costituita, ma soprattutto per la sua forma estetico-significativa.
Di fronte a queste tre specie di monadi cefaliche (unità in-divise) una linea nera formata da un indefinito numero di carboniferi quadretti occupa l’intera parete: ci troviamo di fronte a “n neri”.
Sono, queste, piccole superfici di terra arrostita bloccata un attimo prima di esplodere, quando le crepe formatesi dalla spinta a tergo del gesto artistico sono lì lì per diventare ferita, sbrego, squarcio. Ognuna di esse, immagine della sua personale genesi, è testimone della propria tragedia esistenziale e, uscendo dal misero spazio che la piccola cornice concede loro, sembrano mandarci l’urlo afono della materia succube del fare umano.
L’umor nero che ci tinge lo sguardo in questa sequela di astratte impronte fossili trova il suo opposto in un candido gioco di scatole metafisiche costituenti l’opera “Teste di ricambio”. Infatti, sedici scaffali appesi con regolarità ad una parete della stanzetta adiacente ci propongono un inventario di vari oggetti riprodotti in ceramica. C’è una scarpa rotta, alcuni libri, dei fogli sparsi, un ombrello e un martello, poi tra loro torna il tema delle teste che, in diverse posizioni, occupano le scansie restanti.
Tutta l’opera vira verso un rassicurante bianco; solo dei grossi chiodi arrugginiti, trovati chissà dove, utili a bloccare le teche al muro, rompono l’armonica tonalità.
Siamo nel magazzino dell’artista: nei vari ripiani scopriamo la sua materia di studio, l’ordine e il disordine, il pensiero e la prassi, la provvigione e l’abbandono, il piacere e la sofferenza, realtà che per tutti noi è, e sarà sempre, impossibile evitare.
(se di Vita si vuol parlare)
Febbraio 2008
Antonio Pazzaglia
08
marzo 2008
Luca Leandri – Il morso in testa
Dall'otto marzo al 07 aprile 2008
arte contemporanea
Location
TREBISONDA CENTRO PER LE ARTI VISIVE
Perugia, Via Donato Bramante, 26, (Perugia)
Perugia, Via Donato Bramante, 26, (Perugia)
Orario di apertura
venerdì/sabato/domenica: 16-19
Vernissage
8 Marzo 2008, ore 17
Autore
Curatore