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Rebecca Horn – Fata Morgana
In galleria, un percorso misterioso ci parlerà dell’amore come fata morgana; un’illusione impossibile da evitare, affascinante e al contempo pericolosa. Pietre, ali di piume irrigidite da un meccanismo che le fa muovere, un dipinto di grandi dimensioni e altri più piccoli segneranno un percorso poetico e al contempo drammatico.
Comunicato stampa
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La Fondazione Bevilacqua La Masa è lieta di ospitare nella sua sede di Piazza San Marco una mostra personale dell’artista tedesca Rebecca Horn (Michaelstadt 1944).
L’artista è una delle poche nel panorama attuale ad avere affrontato un numero impressionante di linguaggi artistici, dalla performance alla scultura alla poesia, fino al film e all’opera lirica. I temi che affronta sono di carattere universale: l’amore, la difficoltà di mantenere la salute fisica e psicologica, il senso della caducità delle cose. Con questa sua attitudine l’artista è stata una precorritrice importante sia delle pratiche performative, sia dell’installazione ambientale e di una scultura in relazione di dialogo con lo spazio, con la storia, con la politica.
In galleria, un percorso misterioso ci parlerà dell’amore come fata morgana; un’illusione impossibile da evitare, affascinante e al contempo pericolosa. Pietre, ali di piume irrigidite da un meccanismo che le fa muovere, un dipinto di grandi dimensioni e altri più piccoli segneranno un percorso poetico e al contempo drammatico. Tra le opere anche una nuova versione di Feather Fingers (Guanti di piume, 1972), incentrata sull'illusione del tatto e sulle mani. Una penna viene attaccata a ciascun dito con un anello di metallo, per far sì, nelle intenzioni dell'artista, che la mano diventi "simmetrica (e sensibile) come un'ala di uccello".
Secondo Rebecca Horn, in questa opera "è come se una mano, improvvisamente, diventasse disconnessa dall'altra, come se si trattasse di due esseri senza nessun collegamento”. Questa e altre opere sono debitrici del senso surrealista della macchina celibe e in generale dell’arte cinetica degli anni sessanta, rivisitata in modo da rendere esplicito l’aspetto di costrizione e ripetizione compulsiva che è proprio di ogni movimento meccanico. Una lente che ingrandisce la perla di una dama rinascimentale, alla ricerca della sua luce, guiderà il pubblico verso la comprensione della bellezza e della vanità delle cose.
Come nel caso di altri artisti che hanno avuto mostre personali presso la Bevilacqua La Masa (Grazia Toderi, Sooja Kim, William Kentridge, programma a cura di Francesca Pasini), anche la Horn esporrà contestualmente alla mostra anche un suo film sul sipario frangifuoco del Teatro La Fenice. Le proiezioni si terranno dal 4 al 7 giugno, durante l’apertura per la stampa della Biennale Arti Visive, e saranno precedute da una anteprima il 30 maggio alle ore 20.
L’opera proiettata sarà una rielaborazione del film Buster’s Bedroom girato nel 1990 con attori quali Valentina Cortese e Donald Sutherland. La nuova versione, espressamente studiata per questa occasione, sarà arricchita di immagini dell’artista mentre dipinge e di musiche di Hayden Chisholm.
La mostra sarà accompagnata da un catalogo edito da Charta, Milano.
Biografia
Rebecca Horn iniziò a disegnare in tenera età grazie all’insistenza di una governante. Questo modo di esprimersi e in generale il fare artistico, in ogni sua possibile declinazione, divenne presto un antidoto essenziale alle avversità della vita: l’artista racconta che dopo la fine della guerra si sentiva odiata perché tedesca. Si appassionò al disegno perché non doveva "disegnare in tedesco, francese o inglese", ma solo disegnare. A 19 anni lasciò gli studi di economia e si iscrisse all’Accademia di Belle Arti di Amburgo, che dovette lasciare quasi subito per una malattia ai polmoni. Nel 1964, mentre viveva a Barcellona, entrò dunque in una fase di malattia che coincise anche con la morte dei genitori. Seguì un anno di degenza in ospedale che la costrinse all’isolamento e a ritornare al disegno.
Le prime opere sono quelle che nascono come riflessione sul proprio corpo indebolito, in particolare progettando e creando estensioni del corpo ottenute con dei tessuti irrigiditi: tra queste Body Extensions, sempre indossate e filmate in super8, troviamo un cappello a cono appuntito e ispirato alla leggenda dell’Unicorno, una Pencil Mask (Maschera di matite) fatta di cinghie al cui incontro sono inserite delle matite, dei guanti per le dita (Finger Gloves) in cui la forma delle dita si estende grazie ad allungamenti in balsa e tessuto.
All’inizio degli anni settanta Rebecca Horn ha trasposto le sue esperienze in performance, sculture, poesie e film, dando luogo a un’attività sempre ai limiti tra linguaggi artistici differenti. Negli anni seguenti l’artista ha vissuto a New York, in California, a Parigi, a Venezia e a Berlino, ritornando solo nella maturità nel suo borgo natale. Sempre inserita nelle tendenze artistiche più rilevanti, ma mai inquadrata in un gruppo. Il suo talento si è espresso nelle maggiori mostre internazionali, tra cui Documenta (1992), Biennale di Venezia (1997), Skulptur Projekte (Muenster, 1987 e 1997).
Le sue opere hanno presto iniziato ad assumere il carattere di grandi installazioni ambientali, in cui, per esempio, una classe di scuola elementare veniva ribaltata e attaccata al soffitto come segno di protesta tardiva per un dissidio con il maestro; una torre in cui erano state eseguite torture viene colmata dal rumore di martelletti metallici e dallo sgocciolare insopportabile di un liquido (Muenster 1997); su una valanga di macerie si ergono trombe di metallo come quelle che l’iconografia attribuisce agli angeli (Biennale di Venezia, 1997); una serie di teschi per terra richiama i ragazzi pelati (carusi) che animavano Napoli in una commistione di vitalità e memento mori (Napoli 2002). Uno sviluppo recente del suo operato è l’impegno per il teatro d’opera: nel 2008, per il Festival di Salisburgo, ha messo in scena come regista e scenografa Luci mie silenziose di Nicola Sciarrino. L’opera viene presentata a Barcellona proprio nei giorni di inaugurazione della Biennale.
L’artista è una delle poche nel panorama attuale ad avere affrontato un numero impressionante di linguaggi artistici, dalla performance alla scultura alla poesia, fino al film e all’opera lirica. I temi che affronta sono di carattere universale: l’amore, la difficoltà di mantenere la salute fisica e psicologica, il senso della caducità delle cose. Con questa sua attitudine l’artista è stata una precorritrice importante sia delle pratiche performative, sia dell’installazione ambientale e di una scultura in relazione di dialogo con lo spazio, con la storia, con la politica.
In galleria, un percorso misterioso ci parlerà dell’amore come fata morgana; un’illusione impossibile da evitare, affascinante e al contempo pericolosa. Pietre, ali di piume irrigidite da un meccanismo che le fa muovere, un dipinto di grandi dimensioni e altri più piccoli segneranno un percorso poetico e al contempo drammatico. Tra le opere anche una nuova versione di Feather Fingers (Guanti di piume, 1972), incentrata sull'illusione del tatto e sulle mani. Una penna viene attaccata a ciascun dito con un anello di metallo, per far sì, nelle intenzioni dell'artista, che la mano diventi "simmetrica (e sensibile) come un'ala di uccello".
Secondo Rebecca Horn, in questa opera "è come se una mano, improvvisamente, diventasse disconnessa dall'altra, come se si trattasse di due esseri senza nessun collegamento”. Questa e altre opere sono debitrici del senso surrealista della macchina celibe e in generale dell’arte cinetica degli anni sessanta, rivisitata in modo da rendere esplicito l’aspetto di costrizione e ripetizione compulsiva che è proprio di ogni movimento meccanico. Una lente che ingrandisce la perla di una dama rinascimentale, alla ricerca della sua luce, guiderà il pubblico verso la comprensione della bellezza e della vanità delle cose.
Come nel caso di altri artisti che hanno avuto mostre personali presso la Bevilacqua La Masa (Grazia Toderi, Sooja Kim, William Kentridge, programma a cura di Francesca Pasini), anche la Horn esporrà contestualmente alla mostra anche un suo film sul sipario frangifuoco del Teatro La Fenice. Le proiezioni si terranno dal 4 al 7 giugno, durante l’apertura per la stampa della Biennale Arti Visive, e saranno precedute da una anteprima il 30 maggio alle ore 20.
L’opera proiettata sarà una rielaborazione del film Buster’s Bedroom girato nel 1990 con attori quali Valentina Cortese e Donald Sutherland. La nuova versione, espressamente studiata per questa occasione, sarà arricchita di immagini dell’artista mentre dipinge e di musiche di Hayden Chisholm.
La mostra sarà accompagnata da un catalogo edito da Charta, Milano.
Biografia
Rebecca Horn iniziò a disegnare in tenera età grazie all’insistenza di una governante. Questo modo di esprimersi e in generale il fare artistico, in ogni sua possibile declinazione, divenne presto un antidoto essenziale alle avversità della vita: l’artista racconta che dopo la fine della guerra si sentiva odiata perché tedesca. Si appassionò al disegno perché non doveva "disegnare in tedesco, francese o inglese", ma solo disegnare. A 19 anni lasciò gli studi di economia e si iscrisse all’Accademia di Belle Arti di Amburgo, che dovette lasciare quasi subito per una malattia ai polmoni. Nel 1964, mentre viveva a Barcellona, entrò dunque in una fase di malattia che coincise anche con la morte dei genitori. Seguì un anno di degenza in ospedale che la costrinse all’isolamento e a ritornare al disegno.
Le prime opere sono quelle che nascono come riflessione sul proprio corpo indebolito, in particolare progettando e creando estensioni del corpo ottenute con dei tessuti irrigiditi: tra queste Body Extensions, sempre indossate e filmate in super8, troviamo un cappello a cono appuntito e ispirato alla leggenda dell’Unicorno, una Pencil Mask (Maschera di matite) fatta di cinghie al cui incontro sono inserite delle matite, dei guanti per le dita (Finger Gloves) in cui la forma delle dita si estende grazie ad allungamenti in balsa e tessuto.
All’inizio degli anni settanta Rebecca Horn ha trasposto le sue esperienze in performance, sculture, poesie e film, dando luogo a un’attività sempre ai limiti tra linguaggi artistici differenti. Negli anni seguenti l’artista ha vissuto a New York, in California, a Parigi, a Venezia e a Berlino, ritornando solo nella maturità nel suo borgo natale. Sempre inserita nelle tendenze artistiche più rilevanti, ma mai inquadrata in un gruppo. Il suo talento si è espresso nelle maggiori mostre internazionali, tra cui Documenta (1992), Biennale di Venezia (1997), Skulptur Projekte (Muenster, 1987 e 1997).
Le sue opere hanno presto iniziato ad assumere il carattere di grandi installazioni ambientali, in cui, per esempio, una classe di scuola elementare veniva ribaltata e attaccata al soffitto come segno di protesta tardiva per un dissidio con il maestro; una torre in cui erano state eseguite torture viene colmata dal rumore di martelletti metallici e dallo sgocciolare insopportabile di un liquido (Muenster 1997); su una valanga di macerie si ergono trombe di metallo come quelle che l’iconografia attribuisce agli angeli (Biennale di Venezia, 1997); una serie di teschi per terra richiama i ragazzi pelati (carusi) che animavano Napoli in una commistione di vitalità e memento mori (Napoli 2002). Uno sviluppo recente del suo operato è l’impegno per il teatro d’opera: nel 2008, per il Festival di Salisburgo, ha messo in scena come regista e scenografa Luci mie silenziose di Nicola Sciarrino. L’opera viene presentata a Barcellona proprio nei giorni di inaugurazione della Biennale.
31
maggio 2009
Rebecca Horn – Fata Morgana
Dal 31 maggio al 20 settembre 2009
arte contemporanea
Location
FONDAZIONE BEVILACQUA LA MASA – GALLERIA DI PIAZZA SAN MARCO
Venezia, Piazza San Marco, 71c, (VENEZIA)
Venezia, Piazza San Marco, 71c, (VENEZIA)
Orario di apertura
Da mercoledì a domenica dalle ore 10.30 alle ore 17.30
1 e 2 giugno ore 10.30 – 17.30
Dal 3 al 7 giugno ore 10.30 – 20.00
Vernissage
31 Maggio 2009, ore 18.00
Editore
CHARTA
Ufficio stampa
STUDIO PESCI
Autore
Curatore