Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Giorgio de Chirico / Aligi Sassu – Mito mediterraneo
Il Mito Mediterraneo è il tema che aleggia e si interseca dietro la storia di questi due grandi esponenti dell’arte contemporanea e delle avanguardie del secolo scorso. La mostra, che comprende circa 60 opere tra dipinti, sculture e grafiche, ha lo scopo di esplorare tale dimensione mitica e mediterranea dell’Arte di De Chirico e Sassu.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
La S.V. è invitata a partecipare mercoledì 16 settembre alle ore 18.30 presso Villa Siotto a Sarroch alla conferenza stampa di presentazione e inaugurazione della mostra Giorgio de Chirico & Aligi Sassu. Mito mediterraneo (curata da Silvia Pegoraro e Anna Chiara Ferrero). Intervengono l’artista Primo Pantoli, tra i massimi esponenti della contemporaneità in Sardegna, il sindaco Mauro Cois, l’assessore alla cultura Gianluigi Meloni, il preside della facoltà di lettere e filosofia Roberto Coroneo, Vicente Sassu Urbina, figlio dell’artista Aligi Sassu e la curatrice della mostra Silvia Pegoraro.
La mostra, promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Sarroch in collaborazione con l’associazione OfficinArt e la Pro Loco, sarà aperta al pubblico dal 17 settembre al 1 novembre 2009 tutti i giorni (tranne il lunedì) dalle ore 10 alle ore 12 e dalle ore 17 alle ore 19. (L’ingresso è gratuito per le scolaresche, per i minori di 12 anni e per i residenti).
Così l’amministrazione comunale prosegue il cammino intrapreso lo scorso anno con la straordinaria mostra di Francisco Goya. Ora Sarroch ospita un percorso espositivo su Giorgio De Chirico e Aligi Sassu: il Mito Mediterraneo è il tema che aleggia e si interseca dietro la storia di questi due grandi esponenti dell’arte contemporanea e delle avanguardie del secolo scorso. La mostra, che comprende circa 60 opere tra dipinti, sculture e grafiche, ha lo scopo di esplorare tale dimensione mitica e mediterranea dell’Arte di De Chirico e Sassu.
Quest’esposizione va a rafforzare l’impegno assunto dalla città di dare spazio a quelle forme di cultura che favoriscono lo scambio e l’innovazione ma che, allo stesso tempo, danno modo di riscoprire il passato e il suo profondo legame con un presente soltanto in apparenza lontano, come nel caso di Villa “Siotto”, la struttura fondamentale per le nostre iniziative artistiche e culturali che, grazie alle attività di restauro avviate dall’Amministrazione Comunale, può oggi ospitare queste iniziative in cui l’arte si libera delle convenzioni e lascia che tradizione e modernità si uniscano in una danza senza tempo….come le onde mediterranee. Tradizione modernità….sviluppo e ambiente….mai come oggi….i grandi temi da difendere e tutelare, il nostro passato e il nostro futuro. Il giorno dell’inaugurazione alle ore 21.30 ci sarà un evento integrato di arte e spettacolo “Storie parallele” con Catherine Spaak dedicato a Edith Piaf
GIORGIO DE CHIRICO & ALIGI SASSU
MITO MEDITERRANEO
a cura di Silvia Pegoraro con Anna Chiara Ferrero
IL MEDITERRANEO E LA CIVILTA’ OCCIDENTALE
Da sempre crocevia di mercanti, pirati, avventurieri, esploratori, il Mediterraneo è la culla della civiltà occidentale, specchio di antiche culture che qui si sono confrontate e relazionate, mescolando razze ed informazioni, contaminandosi ed aprendosi a proficui rapporti: ancor oggi, dalla Spagna alla Grecia, l'arco del Mediterraneo conserva tracce di antiche civiltà nelle numerose raffigurazioni rupestri, notevoli soprattutto nella penisola Iberica, a testimoniare la vitalità delle società preistoriche insediate ai margini delle sue acque, fonte di vita, di ricchezza e di prosperità.
Il Mediterraneo costituisce un indelebile imprinting ambientale, matrice intellettuale e psicologica fortemente identitaria per i popoli che vi si affacciano. L’aggettivo “mediterraneo” descrive la qualità di stare in mezzo alle terre, di essere racchiusi da determinate terre.
In questo senso, il mare Mediterraneo è uno specchio d’acqua salata definito da una sequenza di territori identificati e precisi. A differenza dei mari aperti e degli sconfinati oceani, gli antichi conoscevano quel particolare Mare, delimitato da terre facilmente raggiungibili, almeno quanto conoscevano le terre rivierasche. I Romani occuparono il centro geografico e culturale di quello specchio d’acqua e lo chiamarono addirittura “Mare Nostrum”, cioè tanto noto da essere considerato di loro esclusiva pertinenza.
Attorno al Mediterraneo si svilupparono viaggi e commerci, pesca e guerre; il Mediterraneo assistette alla nascita di Venere, alla perenne dialettica fra Scilla e Cariddi e a mitiche navigazioni.
Il Mediterraneo fu comunque, sempre, una “via d’acqua” attraverso la quale si potevano facilmente raggiungere i principali luoghi allora conosciuti. Non si trattava di una vera e propria strada, bensì di una superficie virtualmente solcata da strade, da un tessuto, da una trama fittissima di occasioni di scambio.
La centralità rispetto alle terre, ma anche la centralità della centralità, che prima Atene e poi Roma hanno occupato in quell’universo, fu privilegio di alcune popolazioni egemoni; fra l’altro, il concetto di “aurea mediocritas”, cioè di una equilibrata centralità, potrebbe derivare da quella esperienza assai influente su tutta la successiva cultura occidentale.
In un bacino come quello del Mediterraneo, il contorno, il bordo, il perimetro è connotato da una indefinita sequenza di varietà.
Mediterraneità non è solo condizione di centralità rispetto ad un gruppo di terre (la costellazione di luoghi umani raggiungibili enfatizza infatti la condizione di centralità e di medialità), ma anche opportunità di congiungimento fra molteplici diversità.
Il termine “mediterraneo” possiede la stessa radice del termine “mediazione”. E' assai facile dimostrare che quella parte del globo che fu teatro della nascita e dello sviluppo della filosofia ha posto altresì i fondamenti della politica, attraverso l’idea della medialità, della mezzanità e dell’interazione fra popoli diversi.
Nella cultura contemporanea il termine “medium” significa “mezzo” in quanto strumento, interfaccia. La mediterraneità non è solo la condizione del comunicare in senso geografico ma anche e soprattutto del trasmettere; mediterraneità è medium, è opportunità di confrontarsi. Mediterraneità è una condizione che si sviluppa sia all’interno di uno spazio fisico ben definito, sia in altri luoghi più immateriali come quelli della mente, il cui contorno è confine fra un “dentro” e un “fuori”. Il dentro è il luogo della mediazione, il luogo dell’intelligenza, dell’invenzione e dello scambio mentre l’esterno è il thesaurum, cioè la riserva delle diversità.
IL MEDITERRANEO E IL MITO NELL’ARTE. DE CHIRICO E SASSU
Il Mediterraneo è legato ai miti del divenire e del trascorrere. I suoi eroi sono perlopiù personaggi maschili, come Omero e Ulisse. La sua mitologia è spesso mitologia della contrapposizione e del dominio . La sua costante è l’alternanza, l’instabilità, il dualismo. Il suo essere è anfotero come l’apollineo e il dionisiaco, come la notte e il giorno, come la luce e l’ombra.
Al mito del Mediterraneo si collega il mito del Barocco, tra l’estenuazione parossistica delle forme gravitazionali e un sublime aereo e irraggiungibile, intravisto essenzialmente attraverso l’estasi delle sante, mentre il confronto tra interno ed esterno delle chiese produce l’artificio dello straniamento, tra il buio della notte e la luce assordante della solarità. Il mito della mediterraneità è anche il mito della perdita di un passato “mitico”, perciò si alimenta della memoria e fa della rimembranza il suo strumento esecutivo. L’epos è ispirato dal tempo e il mito è il suo quaderno di appunti e di annotazioni. La memoria è una catena di equazioni in immagini che legano, a coppie, l’ignoto col noto: il noto è la leggenda posta alla base della tradizione, mentre l’ignoto che si presenta ogni volta come nuovo è il momento attuale della cultura. Se il mito è forma aurorale di conoscenza della realtà, come racconto archetipico di un rito, di una norma morale o sociale che richiede la stipulazione di un principio originario, il ricorso ad esso tende ad eliminare la dicotomia tra spazio sacro e spazio profano, e tenta di ristabilire un legame tra il mondo del già vissuto e il mondo della possibilità. Il Mediterraneo diventa l'infanzia e la giovinezza dell'umanità.
Giorgio de Chirico e Aligi Sassu si distinguono tra gli artisti italiani del Novecento per la pervasività e la profondità dell’idea di mito e di Mediterraneo nella loro opera, per la forza e la costanza con cui hanno saputo esprimere e sviluppare quest’idea nel corso della loro ricerca artistica: il Mediterraneo come mito, come metafora, come “theatrum mundi”… La riflessione sul mito costituisce, in tutti e due i pittori, un ottimo esempio tematico di un’idea di arte che li accomuna, espressione di un pensiero articolato e raffinato, che si serve di immagini, immagini imbevute nello splendore della materia pittorica
Il lavoro dei due artisti costituisce un esempio affascinante di pensiero "mitico" come pensiero per immagini: il mito chiama in causa un potenziale visivo, un primato della visualità e dell'organizzazione spaziale. Racconta, ma fondandosi soprattutto sulla potenza di evocazione visiva. Possono forse dimostrarci che una fruizione autentica ed emozionale della mitologia sono ancora possibili nel nostro moderno mondo occidentale, sia come rilettura dell’antica mitologia fiorita all’alba della civiltà mediterranea, sia come possibilità di restituire un senso “mitico” ai luoghi e alle situazioni del contemporaneo. Questa mostra ha appunto lo scopo di esplorare questa dimensione “mitica” e “mediterranea” dell’arte di Giorgio de Chirico e di Aligi Sassu, attraverso un percorso che renda conto di tutto l’iter artistico dei due maestri, comprendente complessivamente circa 60 opere: mediamente 15 dipinti e 15 opere grafiche per ciascuno dei due artisti, più qualche piccola campionatura relativa all’ambito della scultura.
GIORGIO DE CHIRICO: LA BIOGRAFIA
Giorgio de Chirico nasce il 10 luglio 1888 a Volos, in Grecia, da Gemma Cervetto, genovese, ed Evaristo de Chirico, ingegnere proveniente da una nobile famiglia italiana di Dalmazia, impegnato nella costruzione della linea ferroviaria Atene-Salonicco. Nel 1891 nasce il fratello Andrea, che assumerà dal 1914 lo pseudonimo di Alberto Savinio per la sua attività di musicista, letterato e, in seguito, pittore. La famiglia nel 1899 si trasferisce ad Atene e Giorgio dal 1903 al 1906 frequenta il corso di disegno della sezione Belle Arti presso il Politecnico sotto la guida del professor Jacobidis, docente dell'Accademia di Monaco. Qui si esercita nella copia in bianco e nero di calchi di sculture greche e romane. Interrompe gli studi a causa della morte del padre (1905) e della conseguente decisione della madre di lasciare la Grecia. Alla fine dell'agosto 1906 la famiglia de Chirico (madre, Giorgio e il fratello Andrea) è in Italia, soggiornando a Firenze, poi a Venezia e a Milano, e visitando musei e gallerie d'arte. In autunno si trasferisce a Monaco di Baviera, dove il giovane Giorgio frequenta per circa due anni l'Accademia di Belle Arti, formando la propria personalità d'artista sui testi pittorici di Böcklin e Klinger e sugli scritti filosofici di Schopenhauer, Nietzsche e Weininger. Nel 1908 trascorre quattro mesi in Italia, dove sono ritornati la madre ed il fratello Andrea, che segue studi musicali. Dipinge le sue prime tele sotto l'influenza di Böcklin (ll Centauro ferito, La battaglia tra Opliti e Centauri, etc.). Nel 1910 Andrea parte per Parigi, mentre Giorgio raggiunge la madre a Firenze, dove rimane per circa un anno. Egli stesso ha scritto che allora il suo periodo böckliniano era terminato, e iniziava a dipingere soggetti ove cercava di tradurre quel sentimento misterioso e potente scoperto nei libri di Nietzsche: la malinconia delle belle giornate d'autunno, il pomeriggio nelle città italiane. In effetti, quadri come Enigma di un pomeriggio d'autunno, L'enigma dell'oracolo e, anche, il ritratto del fratello, datato 1910, fondono le citazioni di Böcklin con un'atmosfera che prelude alle più tarde Piazze d'Italia. Nel 1911 Giorgio raggiunge, con la madre, il fratello Andrea a Parigi, e vi rimarrà fino al 1915. Durante il viaggio si fermano qualche giorno a Torino, la città dove si era manifestata la follia di Nietzsche, e l' ambiente architettonico della città, come già quello di Monaco e quello di Firenze, esercita una profonda suggestione sull'immaginario del giovane de Chirico. Il 14 luglio arriva a Parigi. Qui la sua pittura, che finora ha elaborato le suggestioni dei pittori tedeschi da lui amati, si sviluppa in linguaggio autonomo. Dalla nostalgia dell'Italia e dal concetto di Stimmung (“stato d’animo”), nasceranno le ulteriori prove metafisiche. Nel 1912, su segnalazione di Pierre Laprade, è invitato al Salon d'Automne, dove espone tre tele: una Piazza d'Italia, un Autoritratto e L'enigma dell'oracolo, che ottengono un buon successo di critica.. L’anno successivo è invitato anche al Salon des Indépendants. Viene notato da Pablo Picasso e da Guillaume Apollinaire (di cui l’anno dopo dipingerà un famoso “Ritratto”), grazie al quale de Chirico stringe amicizia con Brancusi, Braque, Jacob, Soffici, Léger e Derain. Nell'autunno di quello stesso anno Apollinaire organizza nell'atelier dell'artista una mostra di trenta opere e recensisce de Chirico su "L' intransigeant", utilizzando il termine "metafisico". Tramite Apollinaire conosce anche Paul Guillaume, giovane mercante che si interessa della sua opera. Nell'abbondante produzione di questi anni de Chirico inventa ed elabora con straordinaria fantasia temi di misteriosa magia poetica: visioni architettoniche, piazze d'Italia, statue solitarie, oggetti incongruamente assemblati, inquietanti manichini. Realizza le sue prime nature morte. Nell'estate del 1915, entrata in guerra l’Italia, Giorgio de Chirico viene richiamato in patria, passa la visita a Firenze e viene destinato al 27° reggimento di fanteria di stanza a Ferrara. A causa della salute precaria, può svolgere un lavoro ausiliario e continuare a dipingere. Passa anche un periodo ricoverato per problemi neurologici nell’ospedale militare della città. Nel 1916 dipinge i suoi celebri Ettore e Andromaca e Le Muse inquietanti. Conosce Filippo De Pisis ed inizia una corrispondenza con Carrà, conosciuto durante il ricovero in ospedale. Carrà rimane affascinato dal mondo poetico e dai temi artistici di de Chirico, e dipinge una serie di opere di chiara matrice metafisica. Nasce la "pittura metafisica", teorizzata di lì a poco sulla rivista "Valori Plastici". Nell'inverno del 1918 de Chirico viene trasferito a Roma, dove alloggia con la madre al Park Hotel. Dipinge, fra l'altro, il doppio ritratto suo e della madre. Frequenta i musei d'arte antica, in particolare quello di Villa Borghese, dove copia Lorenzo Lotto, ed ha la grande rivelazione della grande pittura davanti a un quadro di Tiziano. Collabora alla rivista di Mario Broglio "Valori Plastici" (1918-1921), con articoli di notevole interesse teorico. Frequenta i letterati e gli artisti facenti capo alla rivista "La Ronda". Durante il soggiorno nella capitale il Caffè Aragno diventa luogo di frequentazione abituale: si incontra con Massimo Bontempelli, Mario ed Edita Broglio, Amerigo Bartoli, Francesco Trombadori e Nino Bertoletti, che gli fa un ritratto con bastone e cappello a cilindro. Gli anni Venti segnano una svolta importante nel suo lavoro: il periodo metafisico, iniziato nel 1910-11, cede a quello, giudicato spesso all'epoca in termini d'involuzione, della rivisitazione del museo. Dopo aver partecipato con Carrà ad una mostra nella sede del giornale "L'Epoca", de Chirico organizza una personale nella Galleria di via Condotti di proprietà dei fratelli Bragaglia, con opere del periodo metafisico di Ferrara, subendo una pesante stroncatura da parte di Roberto Longhi, in una recensione dal titolo Il dio ortopedico. Per l'occasione scrive Noi metafisici, e "Valori Plastici" pubblica un volume in cui sono riprodotte dodici sue opere commentate da giudizi critici di illustri scrittori ed artisti. Tra il 1920 il 1923, Giorgio de Chirico divide il suo tempo tra Roma, Firenze e Milano. Dipinge le serie delle Ville romane, del Figliol prodigo, degli Argonauti, e realizza una nuovo gruppo di nature morte. Rielabora, all'interno del nuovo spirito e della nuova tecnica, motivi metafisici degli anni precedenti. Espone a Berlino in una mostra organizzata da "Valori Plastici". Nel 1921 tiene una personale a Milano, presso la Galleria Arte, suscitando scandalo; nel 1922 espone alla Fiorentina Primaverile e 55 quadri a Parigi, da Paul Guillaume; nel 1923 espone alla Biennale romana, visitata da Paul Eluard, che gli acquista diversi dipinti. Nel 1924 Giorgio de Chirico partecipa per la prima volta alla Biennale di Venezia, poi va a Parigi con la giovane Raissa Gurevič Kroll, conosciuta a Roma l’anno prima, che sposerà nel 1930. Qui, nel 1926 allestisce una personale alla Galleria Paul Guillaume, presentato dal collezionista di Filadelfia Albert C. Barnes, che acquisterà molte sue opere. E' il momento della rottura con il gruppo dei surrealisti guidato da André Breton, ma si tratta per de Chirico di un periodo tra i più felici, in cui elabora temi nuovi che ritorneranno spesso nel suo lavoro: Gladiatori, Archeologi, Mobili nella valle, Paesaggi nella stanza. Nel 1928 tiene le sue prime personali a New York, presso la Valentine Gallery, e a Londra. Pubblica nel ’29 il romanzo Hebdòmeros . In questi anni, oltre alla pittura, si dedica infatti alla scrittura, ma anche alle scenografie per spettacoli teatrali e balletti. Intanto la polemica iniziata con i Surrealisti raggiunge il suo acme, e quando de Chirico inaugura da Rosenberg una mostra di quadri recenti d'impronta classicheggiante, i Surrealisti allestiscono nella loro galleria una esposizione intitolata Opere antiche di Giorgio de Chirico, con dipinti metafisici, in buona parte provenienti dalla collezione personale di Breton. L'arte di Giorgio de Chirico é comunque riconosciuta dai massimi artisti dadaisti e surrealisti. Anche gli artisti tedeschi della "Nuova oggettività", del "Realismo magico” e del Bauhaus ne sono profondamente influenzati. E quindi anche le opere più recenti cominciano comunque a ottenere favorevoli consensi critici e sono oggetto di studio da parte del critico George Waldemar, molto vicino ai surrealisti. Giorgio de Chirico pubblica il Piccolo trattato di tecnica pittorica (1928) e realizza il frontespizio per la raccolta di poesie di Paul Eluard Défense de Savoir. A Roma, anche durante la sua assenza, i suoi quadri continuano a esercitare una grande attrazione su artisti di stampo purista come Donghi e Francalancia, e sui giovani espressionisti di Via Cavour: Sinisgalli ricorda le lunghe soste di Scipione davanti al quadro I pesci sacri, allora nella collezione Broglio. La crisi del 1929 crea una situazione difficile per il mercato dell'arte, e Giorgio de Chirico decide di ritornare in Italia, fissando la propria dimora a Roma. E' con lui Isabella Pakszwer Far, che, mentre il suo matrimonio era in crisi, ha conosciuto a Parigi proprio alla vigilia della partenza, e che resterà al suo fianco per tutto il resto della vita (la sposerà nel 1952).Tra il '30 e il '35 viaggia tra Parigi e l'Italia; nel 1934 è a Roma, e, durante l'estate, a Castiglioncello, dove prepara scene e costumi per La figlia di Jorio di D'Annunzio, per la regia di Luigi Pirandello, che va in scena al Teatro Argentina il 10 ottobre 1934. In questi anni nella sua opera si accavallano e interferiscono temi, tecniche ed elaborazioni fantastiche in cui è possibile rintracciare motivi metafisici e suggestioni teatrali. Nel 1935 dopo che la Quadriennale romana gli aveva dedicato una sala, Giorgio de Chirico si reca a New York dove rimane per diciotto mesi, ospite di Barnes a Merion, nei pressi di Filadelfia. In ottobre presenta una serie di opere datate 1908-1918 presso la galleria di Pierre Matisse, ed ottiene un buon successo di pubblico e critica. A Roma, nel 1938, espone alla Quadriennale I Bagni misteriosi, che colpiscono l'immaginario di giovani artisti, tra i quali, ad esempio, Giuseppe Capogrossi. Alla fine della guerra si stabilisce a Roma, vivendo tra la casa di Piazza di Spagna e il Caffè Greco (Guttuso lo ritrarrà in uno dei suoi più noti dipinti, dedicato allo storico locale). In questi anni rimane intatta la sua vis polemica e l'acrobatica energia creativa. Nel 1946 scoppia uno scandalo: Giorgio de Chirico dichiara falsi i dipinti degli anni '20 e '30 facenti parte della retrospettiva organizzata presso la galleria Allard di Parigi. E' profondamente infastidito dallo spaventoso numero di sue opere false che circolano, e soprattutto dall'atteggiamento della cultura artistica internazionale che tende a "beatificare" il momento metafisico ai danni dell'ulteriore svolgimento del lavoro, persistendo nella posizione inaugurata dai surrealisti. Nel 1949 organizza una mostra personale di oltre cento quadri alla Royal Society of British Artists di Londra, della quale é stato eletto membro nell'anno precedente. Contemporaneamente, la London Gallery espone deliberatamente solo sue opere metafisiche. Le opere dell'esposizione alla Royal Society saranno in seguito presentate a Venezia in contrapposizione con quelle selezionate per la rassegna organizzata dalla Biennale. Continua a dipingere contemporaneamente opere di atmosfera metafisica e opere di impianto “classico”. Nel 1970 viene pubblicato il primo volume del catalogo generale dei suoi dipinti. Nel 1975 Giorgio de Chirico viene nominato Accademico di Francia, ed espone al Museo Marmottan. Mentre la riabilitazione dal punto di vista critico si consolida sempre di più, l'ultimo periodo della sua vita risulta turbato da una serie di questioni giudiziarie che egli stesso aveva intentato per cercare di arginare il fenomeno dei falsi. Pochi mesi dopo il suo novantesimo compleanno, il 20 novembre 1978, Giorgio de Chirico muore a Roma. Le sue spoglie sono conservate nella Chiesa Monumentale di San Francesco a Ripa, a Roma. Nel 1986 nasce la Fondazione Giorgio e Isa de Chirico, per volontà di Isabella Far de Chirico, vedova del celebre pittore, con la direzione di Claudio Bruni Sakraischik, curatore del Catalogo Generale delle opere di de Chirico, per tutelare la personalità intellettuale e artistica di Giorgio de Chirico. Nel 1987 Isabella Far de Chirico dona allo Stato italiano le 24 opere dell'artista che sono entrate a far parte delle collezioni della Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma. Alla morte di Isabella Far, avvenuta a Roma nel novembre 1990, la Fondazione eredita la casa del pittore e la maggior parte del suo patrimonio artistico.
Nell'agosto 1991 si spegne a Los Angeles Claudio Bruni Sakraischik, lasciando alla Fondazione il suo Archivio di Giorgio de Chirico. Nel 1993 la Fondazione Giorgio e Isa de Chirico ottiene il riconoscimento della personalità giuridica e quindi l'autorizzazione ad accettare il patrimonio relitto. Attualmente la Fondazione è presieduta dal Prof. Paolo Picozza.Nel novembre 1998, a vent'anni dalla scomparsa di Giorgio de Chirico, la Fondazione ha aperto al pubblico la sua abitazione romana in Piazza di Spagna, nel seicentesco Palazzetto dei Borgognoni, come Casa Museo.
ALIGI SASSU: LA BIOGRAFIA
Pittore, ceramista, scultore, incisore, nasce a Milano il 17 luglio 1912, e muore a Pollença, in Spagna, il 17 luglio 2000. La madre, Linda Pedretti, era originaria di Parma, mentre il padre Antonio è stato, nel 1894, uno dei fondatori storici del Partito socialista di Sassari, trasferitosi a Milano nel 1896. Il padre, amico di Carlo Carrà, porta Aligi, a soli sette anni, alla prima mostra collettiva dei futuristi al Cova, nel 1919, periodo in cui il giovane Aligi scopre le qualità del colore e la sua predisposizione artistica. La famiglia, nel 1921, da Milano torna in Sardegna, a Thiesi, in provincia di Sassari, dove il padre Antonio avvia un’attività commerciale. Il giovane Aligi frequenta per tre anni la scuola elementare e le atmosfere dell’isola, i colori del paesaggio mediterraneo e i cavalli segneranno profondamente le sue impressioni. Di nuovo a Milano, nel 1925, Aligi è costretto, dalla difficoltà economiche in cui verte la famiglia, ad abbandonare gli studi, che tuttavia porterà a termine con la scuola serale. All’età di 14 anni inizia a lavorare come apprendista in un’officina litografica, la Pressa, e successivamente come aiutante decoratore murale.
Si appassiona al movimento dei futuristi, raccogliendo riviste e testi del gruppo d’avanguardia e nel 1927 acquista “Pittura, scultura futurista (dinamismo plastico)” di Umberto Boccioni, e ha modo di vedere alcune sue opere in occasione di un’esposizione organizzata da Fedele Azari, segretario nazionale del movimento futurista. La produzione pittorica e i disegni di questo periodo, con temi dedicati agli animali e a figurine umane, sono chiaramente ispirati al futurismo. Tanto che con l’amico Bruno Munari, Aligi decide di recarsi all’Hotel Corso per conoscere Filippo Tommaso Marinetti che in quel luogo promuove degli incontri con il pubblico. In questa occasione Aligi mostra a Marinetti una cartella dei propri disegni dedicati a “Marfka, il futurista”, opera dello stesso Marinetti. Quest’ultimo, il giorno successivo e durante una manifestazione, indica Munari e Aligi come due promesse dell’arte italiana e invita Aligi Sassu ad esporre, nel 1928, due opere alla Biennale di Venezia ( “Nudo plastico” e “L’uomo che si abbevera alla sorgente”). Lo stesso anno, insieme a Munari, firma il “Manifesto della pittura: Dinamismo e riforma muscolare”, rimasto inedito fino al 1977. Partecipa a una importante mostra Futurista alla Galleria Pesaro di Milano, con il dipinto "La madre", oggi disperso.Tuttavia, nell’opera “Nudo plastico” presentata alla Biennale si delinea una maggiore attenzione allo spessore della materia cromatica che lo porterà, già dal 1929, a prendere distanze dal futurismo, e a calarsi nelle atmosfere compositive del primitivismo come nell’opera “I ciclisti”.
Lo stesso anno s’iscrive all’Accademia di Brera e conosce Lucio Fontana, che ritroverà poi ad Albisola nel laboratorio di ceramica. Dopo due anni, e ancora una volta per difficoltà economiche, Aligi abbandona l’Accademia inizia a frequentare l’Accademia Libera, avviata da Barbaroux, direttore della Galleria di Milano che, in cambio di cavalletti e modelli, pretende un quadro al mese. Sebbene quest’esperienza sia di breve durata, ha modo di legare amicizia con il gruppo dei giovani artisti Renato Birolli, Giacomo Manzù e Fiorenzo Tomea. Continua la sua attività in uno studio affittato con Manzù in piazza Susa a Milano. La sua ricerca ispirata a Masolino e Beato Angelico si pone in antitesi al gruppo Novecento. In questo periodo nasce l’opera “Uomini rossi”, in cui si definisce una sua personale ricerca pittorica connotata da una campitura compatta "à plat", con la quale traduce i dati della realtà attraverso evocazioni arcane e magiche. Nel 1932 espone in una mostra collettiva negli spazi della Galleria Il Milione.
Si reca a Parigi nel 1934 e ha modo di avvicinarsi alle opere di Henri Matisse e dei grandi artisti francesi dell’Ottocento quali Jean-Louis Théodore Géricault, Paul Cézanne, gli impressionisti, ma soprattutto Eugène Delacroix del quale legge i Diari. “In Delacroix, Sassu scopre, come in un’affinità elettiva, l’attitudine costruttiva, il comporsi armonico e insieme prepotente dei colori densi di luce. Con Delacroix abbraccia la complessità e i contrasti della storia degli uomini, il conflitto perenne tra energie in lotta per affermare la propria identità.” (Simona Campus). La capitale d’oltralpe ispirerà una serie di opere dedicate al tema dei caffè, luoghi molto frequentati, e ai quali seguono dipinti con soggetti tratti dalla realtà, con temi sociali o legati al mito sebbene trattati in chiave simbolica. In occasione del suo secondo soggiorno a Parigi, nel 1935, cresce in lui l’impegno politico, e manifesta la sua posizione antifranchista realizzando l’opera “Fucilazione delle Asturie”. Di ritorno a Milano, si unisce al pittore Raffaele De Grada per diffondere la stampa clandestina antifascista e prende contatto con gruppi antifascisti all’estero. Insieme a De Grada stende un manifesto che esalta all’insurrezione. Poco dopo, nell’aprile del 1937, la polizia segreta del Fascismo, l’Ovra, perquisisce la casa di Aligi, dove trova una bozza del manifesto e, con le accuse di complotto, lo rinchiude nel carcere di San Vittore. Dopo sei mesi viene trasferito a Roma nel carcere di Regina Coeli, e viene condannato a dieci anni di reclusione. Riesce a riprendere il disegno e la scrittura solo quando viene spostato nel carcere di Fossano e nell’arco della sua detenzione realizzerà oltre 400 disegni. Grazie all’intercessione di Marinetti e del dr. Veratti, conoscenti del Duce e avvertiti dal padre del pittore, nel luglio del 1938 ad Aligi viene concessa la grazia regia ed è subito liberato.
In quanto sorvegliato speciale dal regime, ad Aligi è proibito frequentare luoghi pubblici ed esporre le proprie opere. Realizza una serie di dipinti, ideati in carcere e che hanno per tema l’opposizione: “Spagna 1937” e “La morte di Cesare”. Dopo la scarcerazione Sassu è invitato dal ceramista Tullio Mazzotti nella sua dimora di Albisola, nei pressi di Savona, un luogo riservato agli artisti che si cimentano con la scultura ceramica, e dove tra gli altri risiedono Fontana e lo scultore toscano Agenore Fabbri.
Contemporaneamente a Milano nasce il movimento Corrente al quale si accosta Aligi Sassu che solo nel 1941, in una mostra organizzata nella Bottega di Corrente, potrà esporre la serie “Uomini rossi”. Lo stesso anno si sposa ma i rapporti con la moglie si deteriorano presto. Nel maggio 1944 la figlia di tre anni muore. Con l’avanzare della guerra Aligi, dopo aver collaborato con i partigiani di Montagna, si stabilisce a Zorzino, località in cui accoglie nel 1945 i giorni della Liberazione. Torna a Milano e nel 1947 si trasferisce a Castel Cabiaglio, nella provincia di Varese, dove con De Tullio si dedica alla ceramica sfruttando un'antica fornace del luogo e produce un centinaio di ceramiche.Negli anni Cinquanta si dedica alla ceramica ad Albisola e realizza una serie di pezzi unici.
Nel 1954, con Mazzotti e Fabbri si reca a Vallauris per conoscere Pablo Picasso, che incontrerà di nuovo nella villa La Californie a Cannes, due anni dopo, occasione in cui Picasso gli mostra le sculture che avrebbe esposto da li a poco al Museo di Antibes.
Sulla riviera di Albisola, nel 1959, incontra la soprano Maria Helena Olivares che suscita in lui la passione per la Spagna. Con Helena Olivares, che poco dopo diventa la sua seconda moglie, si stabilisce a Mallorca, in una casa a Cala San Vicente.
Nel 1966, sulle pareti dell’abside e nelle navate della Chiesa Santa Maria del Carmine a Cagliari realizza la più importante delle sue opere a mosaico, che narra la vicenda della Madonna del Carmine e dei suoi devoti. Vive tra Mallorca e l'Italia dove nel 1967 si trasferisce a Monticello Brianza. Nel 1969 dipinge a Ozieri "Il mito di Prometeo", trasformato nel 1998 in un mosaico. Nel 1973 realizza le scene e i costumi dei “Vespri Siciliani” per la riapertura del Teatro Reggio di Torino e nel 1977 due mosaici per la Chiesa Sant’Andrea di Pescara. Lo stesso anno si trasferisce da Cala San Vincente a Pollença sempre sull’isola di Mallorca, mentre nel 1981 da Monticello a Milano. Nel 1982 gli viene conferito il riconoscimento “Gli uomini che ha fatto grande Miano” e nel corso dell'anno presenta la sua serie di acquarelli realizzati nel 1943 sul tema dei “Promessi sposi” di Alessandro Manzoni. Dona alla città di Sassari, nel 1983, il grande affresco “Il mito di Prometeo”, poi trasportato su tela, e allestito su una delle pareti del Palazzo della Provincia.
Nel 1984 viene organizzata una prima mostra antologica a Palazzo dei Diamanti di Ferrara che raccoglie 111 opere. Seguono, nel 1986, le esposizioni a Palma di Mallorca, alla XI Quadriennale di Roma, alla Triennale di Milano e alla Casa del Mantenga a Mantova, mentre completa la serie di tavole dedicate alla “Divina Commedia” di Dante Alighieri, tre delle quali saranno acquistate dal Museo Puskin di Mosca. Nel 1992 viene organizzata una mostra itinerante con 80 dipinti in Sud America. Porta a termine, nel 1993, il murale in ceramica di 150 metri intitolato “I miti del Mediterraneo”, realizzato per la nuova sede del Parlamento Europeo a Bruxelles. Viene nominato "Cavaliere della Gran Croce", nel 1995, dal Presidente della Repubblica italiana Oscar Luigi Scalfaro. In occasione della donazione di ben 362 opere alla città di Lugano, nel 1996, è creata la Fondazione Aligi Sassu e Helenita Olivares, che realizzerà una serie di eventi espositivi dedicati ai periodi tematici attraversati da Sassu: dal "Futurismo" nel 1999 al "Primitivismo" nel 2000, dagli "Uomini rossi" nel 2001 al "Realismo di Sassu" nel 2003. Palazzo Strozzi di Firenze, per l’ottansettesimo compleanno di Aligi Sassu, presenta una grande mostra antologica. A distanza di un anno, Sassu scompare nella sua casa di Pollença. In merito al suo contributo artistico e culturale, il presidente Carlo Azeglio Ciampi, conferirà alla memoria del maestro il diploma di benemerenza di I classe (Medaglia d’oro) per la scuola, la cultura e l’arte per l’anno 2005.
La mostra, promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Sarroch in collaborazione con l’associazione OfficinArt e la Pro Loco, sarà aperta al pubblico dal 17 settembre al 1 novembre 2009 tutti i giorni (tranne il lunedì) dalle ore 10 alle ore 12 e dalle ore 17 alle ore 19. (L’ingresso è gratuito per le scolaresche, per i minori di 12 anni e per i residenti).
Così l’amministrazione comunale prosegue il cammino intrapreso lo scorso anno con la straordinaria mostra di Francisco Goya. Ora Sarroch ospita un percorso espositivo su Giorgio De Chirico e Aligi Sassu: il Mito Mediterraneo è il tema che aleggia e si interseca dietro la storia di questi due grandi esponenti dell’arte contemporanea e delle avanguardie del secolo scorso. La mostra, che comprende circa 60 opere tra dipinti, sculture e grafiche, ha lo scopo di esplorare tale dimensione mitica e mediterranea dell’Arte di De Chirico e Sassu.
Quest’esposizione va a rafforzare l’impegno assunto dalla città di dare spazio a quelle forme di cultura che favoriscono lo scambio e l’innovazione ma che, allo stesso tempo, danno modo di riscoprire il passato e il suo profondo legame con un presente soltanto in apparenza lontano, come nel caso di Villa “Siotto”, la struttura fondamentale per le nostre iniziative artistiche e culturali che, grazie alle attività di restauro avviate dall’Amministrazione Comunale, può oggi ospitare queste iniziative in cui l’arte si libera delle convenzioni e lascia che tradizione e modernità si uniscano in una danza senza tempo….come le onde mediterranee. Tradizione modernità….sviluppo e ambiente….mai come oggi….i grandi temi da difendere e tutelare, il nostro passato e il nostro futuro. Il giorno dell’inaugurazione alle ore 21.30 ci sarà un evento integrato di arte e spettacolo “Storie parallele” con Catherine Spaak dedicato a Edith Piaf
GIORGIO DE CHIRICO & ALIGI SASSU
MITO MEDITERRANEO
a cura di Silvia Pegoraro con Anna Chiara Ferrero
IL MEDITERRANEO E LA CIVILTA’ OCCIDENTALE
Da sempre crocevia di mercanti, pirati, avventurieri, esploratori, il Mediterraneo è la culla della civiltà occidentale, specchio di antiche culture che qui si sono confrontate e relazionate, mescolando razze ed informazioni, contaminandosi ed aprendosi a proficui rapporti: ancor oggi, dalla Spagna alla Grecia, l'arco del Mediterraneo conserva tracce di antiche civiltà nelle numerose raffigurazioni rupestri, notevoli soprattutto nella penisola Iberica, a testimoniare la vitalità delle società preistoriche insediate ai margini delle sue acque, fonte di vita, di ricchezza e di prosperità.
Il Mediterraneo costituisce un indelebile imprinting ambientale, matrice intellettuale e psicologica fortemente identitaria per i popoli che vi si affacciano. L’aggettivo “mediterraneo” descrive la qualità di stare in mezzo alle terre, di essere racchiusi da determinate terre.
In questo senso, il mare Mediterraneo è uno specchio d’acqua salata definito da una sequenza di territori identificati e precisi. A differenza dei mari aperti e degli sconfinati oceani, gli antichi conoscevano quel particolare Mare, delimitato da terre facilmente raggiungibili, almeno quanto conoscevano le terre rivierasche. I Romani occuparono il centro geografico e culturale di quello specchio d’acqua e lo chiamarono addirittura “Mare Nostrum”, cioè tanto noto da essere considerato di loro esclusiva pertinenza.
Attorno al Mediterraneo si svilupparono viaggi e commerci, pesca e guerre; il Mediterraneo assistette alla nascita di Venere, alla perenne dialettica fra Scilla e Cariddi e a mitiche navigazioni.
Il Mediterraneo fu comunque, sempre, una “via d’acqua” attraverso la quale si potevano facilmente raggiungere i principali luoghi allora conosciuti. Non si trattava di una vera e propria strada, bensì di una superficie virtualmente solcata da strade, da un tessuto, da una trama fittissima di occasioni di scambio.
La centralità rispetto alle terre, ma anche la centralità della centralità, che prima Atene e poi Roma hanno occupato in quell’universo, fu privilegio di alcune popolazioni egemoni; fra l’altro, il concetto di “aurea mediocritas”, cioè di una equilibrata centralità, potrebbe derivare da quella esperienza assai influente su tutta la successiva cultura occidentale.
In un bacino come quello del Mediterraneo, il contorno, il bordo, il perimetro è connotato da una indefinita sequenza di varietà.
Mediterraneità non è solo condizione di centralità rispetto ad un gruppo di terre (la costellazione di luoghi umani raggiungibili enfatizza infatti la condizione di centralità e di medialità), ma anche opportunità di congiungimento fra molteplici diversità.
Il termine “mediterraneo” possiede la stessa radice del termine “mediazione”. E' assai facile dimostrare che quella parte del globo che fu teatro della nascita e dello sviluppo della filosofia ha posto altresì i fondamenti della politica, attraverso l’idea della medialità, della mezzanità e dell’interazione fra popoli diversi.
Nella cultura contemporanea il termine “medium” significa “mezzo” in quanto strumento, interfaccia. La mediterraneità non è solo la condizione del comunicare in senso geografico ma anche e soprattutto del trasmettere; mediterraneità è medium, è opportunità di confrontarsi. Mediterraneità è una condizione che si sviluppa sia all’interno di uno spazio fisico ben definito, sia in altri luoghi più immateriali come quelli della mente, il cui contorno è confine fra un “dentro” e un “fuori”. Il dentro è il luogo della mediazione, il luogo dell’intelligenza, dell’invenzione e dello scambio mentre l’esterno è il thesaurum, cioè la riserva delle diversità.
IL MEDITERRANEO E IL MITO NELL’ARTE. DE CHIRICO E SASSU
Il Mediterraneo è legato ai miti del divenire e del trascorrere. I suoi eroi sono perlopiù personaggi maschili, come Omero e Ulisse. La sua mitologia è spesso mitologia della contrapposizione e del dominio . La sua costante è l’alternanza, l’instabilità, il dualismo. Il suo essere è anfotero come l’apollineo e il dionisiaco, come la notte e il giorno, come la luce e l’ombra.
Al mito del Mediterraneo si collega il mito del Barocco, tra l’estenuazione parossistica delle forme gravitazionali e un sublime aereo e irraggiungibile, intravisto essenzialmente attraverso l’estasi delle sante, mentre il confronto tra interno ed esterno delle chiese produce l’artificio dello straniamento, tra il buio della notte e la luce assordante della solarità. Il mito della mediterraneità è anche il mito della perdita di un passato “mitico”, perciò si alimenta della memoria e fa della rimembranza il suo strumento esecutivo. L’epos è ispirato dal tempo e il mito è il suo quaderno di appunti e di annotazioni. La memoria è una catena di equazioni in immagini che legano, a coppie, l’ignoto col noto: il noto è la leggenda posta alla base della tradizione, mentre l’ignoto che si presenta ogni volta come nuovo è il momento attuale della cultura. Se il mito è forma aurorale di conoscenza della realtà, come racconto archetipico di un rito, di una norma morale o sociale che richiede la stipulazione di un principio originario, il ricorso ad esso tende ad eliminare la dicotomia tra spazio sacro e spazio profano, e tenta di ristabilire un legame tra il mondo del già vissuto e il mondo della possibilità. Il Mediterraneo diventa l'infanzia e la giovinezza dell'umanità.
Giorgio de Chirico e Aligi Sassu si distinguono tra gli artisti italiani del Novecento per la pervasività e la profondità dell’idea di mito e di Mediterraneo nella loro opera, per la forza e la costanza con cui hanno saputo esprimere e sviluppare quest’idea nel corso della loro ricerca artistica: il Mediterraneo come mito, come metafora, come “theatrum mundi”… La riflessione sul mito costituisce, in tutti e due i pittori, un ottimo esempio tematico di un’idea di arte che li accomuna, espressione di un pensiero articolato e raffinato, che si serve di immagini, immagini imbevute nello splendore della materia pittorica
Il lavoro dei due artisti costituisce un esempio affascinante di pensiero "mitico" come pensiero per immagini: il mito chiama in causa un potenziale visivo, un primato della visualità e dell'organizzazione spaziale. Racconta, ma fondandosi soprattutto sulla potenza di evocazione visiva. Possono forse dimostrarci che una fruizione autentica ed emozionale della mitologia sono ancora possibili nel nostro moderno mondo occidentale, sia come rilettura dell’antica mitologia fiorita all’alba della civiltà mediterranea, sia come possibilità di restituire un senso “mitico” ai luoghi e alle situazioni del contemporaneo. Questa mostra ha appunto lo scopo di esplorare questa dimensione “mitica” e “mediterranea” dell’arte di Giorgio de Chirico e di Aligi Sassu, attraverso un percorso che renda conto di tutto l’iter artistico dei due maestri, comprendente complessivamente circa 60 opere: mediamente 15 dipinti e 15 opere grafiche per ciascuno dei due artisti, più qualche piccola campionatura relativa all’ambito della scultura.
GIORGIO DE CHIRICO: LA BIOGRAFIA
Giorgio de Chirico nasce il 10 luglio 1888 a Volos, in Grecia, da Gemma Cervetto, genovese, ed Evaristo de Chirico, ingegnere proveniente da una nobile famiglia italiana di Dalmazia, impegnato nella costruzione della linea ferroviaria Atene-Salonicco. Nel 1891 nasce il fratello Andrea, che assumerà dal 1914 lo pseudonimo di Alberto Savinio per la sua attività di musicista, letterato e, in seguito, pittore. La famiglia nel 1899 si trasferisce ad Atene e Giorgio dal 1903 al 1906 frequenta il corso di disegno della sezione Belle Arti presso il Politecnico sotto la guida del professor Jacobidis, docente dell'Accademia di Monaco. Qui si esercita nella copia in bianco e nero di calchi di sculture greche e romane. Interrompe gli studi a causa della morte del padre (1905) e della conseguente decisione della madre di lasciare la Grecia. Alla fine dell'agosto 1906 la famiglia de Chirico (madre, Giorgio e il fratello Andrea) è in Italia, soggiornando a Firenze, poi a Venezia e a Milano, e visitando musei e gallerie d'arte. In autunno si trasferisce a Monaco di Baviera, dove il giovane Giorgio frequenta per circa due anni l'Accademia di Belle Arti, formando la propria personalità d'artista sui testi pittorici di Böcklin e Klinger e sugli scritti filosofici di Schopenhauer, Nietzsche e Weininger. Nel 1908 trascorre quattro mesi in Italia, dove sono ritornati la madre ed il fratello Andrea, che segue studi musicali. Dipinge le sue prime tele sotto l'influenza di Böcklin (ll Centauro ferito, La battaglia tra Opliti e Centauri, etc.). Nel 1910 Andrea parte per Parigi, mentre Giorgio raggiunge la madre a Firenze, dove rimane per circa un anno. Egli stesso ha scritto che allora il suo periodo böckliniano era terminato, e iniziava a dipingere soggetti ove cercava di tradurre quel sentimento misterioso e potente scoperto nei libri di Nietzsche: la malinconia delle belle giornate d'autunno, il pomeriggio nelle città italiane. In effetti, quadri come Enigma di un pomeriggio d'autunno, L'enigma dell'oracolo e, anche, il ritratto del fratello, datato 1910, fondono le citazioni di Böcklin con un'atmosfera che prelude alle più tarde Piazze d'Italia. Nel 1911 Giorgio raggiunge, con la madre, il fratello Andrea a Parigi, e vi rimarrà fino al 1915. Durante il viaggio si fermano qualche giorno a Torino, la città dove si era manifestata la follia di Nietzsche, e l' ambiente architettonico della città, come già quello di Monaco e quello di Firenze, esercita una profonda suggestione sull'immaginario del giovane de Chirico. Il 14 luglio arriva a Parigi. Qui la sua pittura, che finora ha elaborato le suggestioni dei pittori tedeschi da lui amati, si sviluppa in linguaggio autonomo. Dalla nostalgia dell'Italia e dal concetto di Stimmung (“stato d’animo”), nasceranno le ulteriori prove metafisiche. Nel 1912, su segnalazione di Pierre Laprade, è invitato al Salon d'Automne, dove espone tre tele: una Piazza d'Italia, un Autoritratto e L'enigma dell'oracolo, che ottengono un buon successo di critica.. L’anno successivo è invitato anche al Salon des Indépendants. Viene notato da Pablo Picasso e da Guillaume Apollinaire (di cui l’anno dopo dipingerà un famoso “Ritratto”), grazie al quale de Chirico stringe amicizia con Brancusi, Braque, Jacob, Soffici, Léger e Derain. Nell'autunno di quello stesso anno Apollinaire organizza nell'atelier dell'artista una mostra di trenta opere e recensisce de Chirico su "L' intransigeant", utilizzando il termine "metafisico". Tramite Apollinaire conosce anche Paul Guillaume, giovane mercante che si interessa della sua opera. Nell'abbondante produzione di questi anni de Chirico inventa ed elabora con straordinaria fantasia temi di misteriosa magia poetica: visioni architettoniche, piazze d'Italia, statue solitarie, oggetti incongruamente assemblati, inquietanti manichini. Realizza le sue prime nature morte. Nell'estate del 1915, entrata in guerra l’Italia, Giorgio de Chirico viene richiamato in patria, passa la visita a Firenze e viene destinato al 27° reggimento di fanteria di stanza a Ferrara. A causa della salute precaria, può svolgere un lavoro ausiliario e continuare a dipingere. Passa anche un periodo ricoverato per problemi neurologici nell’ospedale militare della città. Nel 1916 dipinge i suoi celebri Ettore e Andromaca e Le Muse inquietanti. Conosce Filippo De Pisis ed inizia una corrispondenza con Carrà, conosciuto durante il ricovero in ospedale. Carrà rimane affascinato dal mondo poetico e dai temi artistici di de Chirico, e dipinge una serie di opere di chiara matrice metafisica. Nasce la "pittura metafisica", teorizzata di lì a poco sulla rivista "Valori Plastici". Nell'inverno del 1918 de Chirico viene trasferito a Roma, dove alloggia con la madre al Park Hotel. Dipinge, fra l'altro, il doppio ritratto suo e della madre. Frequenta i musei d'arte antica, in particolare quello di Villa Borghese, dove copia Lorenzo Lotto, ed ha la grande rivelazione della grande pittura davanti a un quadro di Tiziano. Collabora alla rivista di Mario Broglio "Valori Plastici" (1918-1921), con articoli di notevole interesse teorico. Frequenta i letterati e gli artisti facenti capo alla rivista "La Ronda". Durante il soggiorno nella capitale il Caffè Aragno diventa luogo di frequentazione abituale: si incontra con Massimo Bontempelli, Mario ed Edita Broglio, Amerigo Bartoli, Francesco Trombadori e Nino Bertoletti, che gli fa un ritratto con bastone e cappello a cilindro. Gli anni Venti segnano una svolta importante nel suo lavoro: il periodo metafisico, iniziato nel 1910-11, cede a quello, giudicato spesso all'epoca in termini d'involuzione, della rivisitazione del museo. Dopo aver partecipato con Carrà ad una mostra nella sede del giornale "L'Epoca", de Chirico organizza una personale nella Galleria di via Condotti di proprietà dei fratelli Bragaglia, con opere del periodo metafisico di Ferrara, subendo una pesante stroncatura da parte di Roberto Longhi, in una recensione dal titolo Il dio ortopedico. Per l'occasione scrive Noi metafisici, e "Valori Plastici" pubblica un volume in cui sono riprodotte dodici sue opere commentate da giudizi critici di illustri scrittori ed artisti. Tra il 1920 il 1923, Giorgio de Chirico divide il suo tempo tra Roma, Firenze e Milano. Dipinge le serie delle Ville romane, del Figliol prodigo, degli Argonauti, e realizza una nuovo gruppo di nature morte. Rielabora, all'interno del nuovo spirito e della nuova tecnica, motivi metafisici degli anni precedenti. Espone a Berlino in una mostra organizzata da "Valori Plastici". Nel 1921 tiene una personale a Milano, presso la Galleria Arte, suscitando scandalo; nel 1922 espone alla Fiorentina Primaverile e 55 quadri a Parigi, da Paul Guillaume; nel 1923 espone alla Biennale romana, visitata da Paul Eluard, che gli acquista diversi dipinti. Nel 1924 Giorgio de Chirico partecipa per la prima volta alla Biennale di Venezia, poi va a Parigi con la giovane Raissa Gurevič Kroll, conosciuta a Roma l’anno prima, che sposerà nel 1930. Qui, nel 1926 allestisce una personale alla Galleria Paul Guillaume, presentato dal collezionista di Filadelfia Albert C. Barnes, che acquisterà molte sue opere. E' il momento della rottura con il gruppo dei surrealisti guidato da André Breton, ma si tratta per de Chirico di un periodo tra i più felici, in cui elabora temi nuovi che ritorneranno spesso nel suo lavoro: Gladiatori, Archeologi, Mobili nella valle, Paesaggi nella stanza. Nel 1928 tiene le sue prime personali a New York, presso la Valentine Gallery, e a Londra. Pubblica nel ’29 il romanzo Hebdòmeros . In questi anni, oltre alla pittura, si dedica infatti alla scrittura, ma anche alle scenografie per spettacoli teatrali e balletti. Intanto la polemica iniziata con i Surrealisti raggiunge il suo acme, e quando de Chirico inaugura da Rosenberg una mostra di quadri recenti d'impronta classicheggiante, i Surrealisti allestiscono nella loro galleria una esposizione intitolata Opere antiche di Giorgio de Chirico, con dipinti metafisici, in buona parte provenienti dalla collezione personale di Breton. L'arte di Giorgio de Chirico é comunque riconosciuta dai massimi artisti dadaisti e surrealisti. Anche gli artisti tedeschi della "Nuova oggettività", del "Realismo magico” e del Bauhaus ne sono profondamente influenzati. E quindi anche le opere più recenti cominciano comunque a ottenere favorevoli consensi critici e sono oggetto di studio da parte del critico George Waldemar, molto vicino ai surrealisti. Giorgio de Chirico pubblica il Piccolo trattato di tecnica pittorica (1928) e realizza il frontespizio per la raccolta di poesie di Paul Eluard Défense de Savoir. A Roma, anche durante la sua assenza, i suoi quadri continuano a esercitare una grande attrazione su artisti di stampo purista come Donghi e Francalancia, e sui giovani espressionisti di Via Cavour: Sinisgalli ricorda le lunghe soste di Scipione davanti al quadro I pesci sacri, allora nella collezione Broglio. La crisi del 1929 crea una situazione difficile per il mercato dell'arte, e Giorgio de Chirico decide di ritornare in Italia, fissando la propria dimora a Roma. E' con lui Isabella Pakszwer Far, che, mentre il suo matrimonio era in crisi, ha conosciuto a Parigi proprio alla vigilia della partenza, e che resterà al suo fianco per tutto il resto della vita (la sposerà nel 1952).Tra il '30 e il '35 viaggia tra Parigi e l'Italia; nel 1934 è a Roma, e, durante l'estate, a Castiglioncello, dove prepara scene e costumi per La figlia di Jorio di D'Annunzio, per la regia di Luigi Pirandello, che va in scena al Teatro Argentina il 10 ottobre 1934. In questi anni nella sua opera si accavallano e interferiscono temi, tecniche ed elaborazioni fantastiche in cui è possibile rintracciare motivi metafisici e suggestioni teatrali. Nel 1935 dopo che la Quadriennale romana gli aveva dedicato una sala, Giorgio de Chirico si reca a New York dove rimane per diciotto mesi, ospite di Barnes a Merion, nei pressi di Filadelfia. In ottobre presenta una serie di opere datate 1908-1918 presso la galleria di Pierre Matisse, ed ottiene un buon successo di pubblico e critica. A Roma, nel 1938, espone alla Quadriennale I Bagni misteriosi, che colpiscono l'immaginario di giovani artisti, tra i quali, ad esempio, Giuseppe Capogrossi. Alla fine della guerra si stabilisce a Roma, vivendo tra la casa di Piazza di Spagna e il Caffè Greco (Guttuso lo ritrarrà in uno dei suoi più noti dipinti, dedicato allo storico locale). In questi anni rimane intatta la sua vis polemica e l'acrobatica energia creativa. Nel 1946 scoppia uno scandalo: Giorgio de Chirico dichiara falsi i dipinti degli anni '20 e '30 facenti parte della retrospettiva organizzata presso la galleria Allard di Parigi. E' profondamente infastidito dallo spaventoso numero di sue opere false che circolano, e soprattutto dall'atteggiamento della cultura artistica internazionale che tende a "beatificare" il momento metafisico ai danni dell'ulteriore svolgimento del lavoro, persistendo nella posizione inaugurata dai surrealisti. Nel 1949 organizza una mostra personale di oltre cento quadri alla Royal Society of British Artists di Londra, della quale é stato eletto membro nell'anno precedente. Contemporaneamente, la London Gallery espone deliberatamente solo sue opere metafisiche. Le opere dell'esposizione alla Royal Society saranno in seguito presentate a Venezia in contrapposizione con quelle selezionate per la rassegna organizzata dalla Biennale. Continua a dipingere contemporaneamente opere di atmosfera metafisica e opere di impianto “classico”. Nel 1970 viene pubblicato il primo volume del catalogo generale dei suoi dipinti. Nel 1975 Giorgio de Chirico viene nominato Accademico di Francia, ed espone al Museo Marmottan. Mentre la riabilitazione dal punto di vista critico si consolida sempre di più, l'ultimo periodo della sua vita risulta turbato da una serie di questioni giudiziarie che egli stesso aveva intentato per cercare di arginare il fenomeno dei falsi. Pochi mesi dopo il suo novantesimo compleanno, il 20 novembre 1978, Giorgio de Chirico muore a Roma. Le sue spoglie sono conservate nella Chiesa Monumentale di San Francesco a Ripa, a Roma. Nel 1986 nasce la Fondazione Giorgio e Isa de Chirico, per volontà di Isabella Far de Chirico, vedova del celebre pittore, con la direzione di Claudio Bruni Sakraischik, curatore del Catalogo Generale delle opere di de Chirico, per tutelare la personalità intellettuale e artistica di Giorgio de Chirico. Nel 1987 Isabella Far de Chirico dona allo Stato italiano le 24 opere dell'artista che sono entrate a far parte delle collezioni della Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma. Alla morte di Isabella Far, avvenuta a Roma nel novembre 1990, la Fondazione eredita la casa del pittore e la maggior parte del suo patrimonio artistico.
Nell'agosto 1991 si spegne a Los Angeles Claudio Bruni Sakraischik, lasciando alla Fondazione il suo Archivio di Giorgio de Chirico. Nel 1993 la Fondazione Giorgio e Isa de Chirico ottiene il riconoscimento della personalità giuridica e quindi l'autorizzazione ad accettare il patrimonio relitto. Attualmente la Fondazione è presieduta dal Prof. Paolo Picozza.Nel novembre 1998, a vent'anni dalla scomparsa di Giorgio de Chirico, la Fondazione ha aperto al pubblico la sua abitazione romana in Piazza di Spagna, nel seicentesco Palazzetto dei Borgognoni, come Casa Museo.
ALIGI SASSU: LA BIOGRAFIA
Pittore, ceramista, scultore, incisore, nasce a Milano il 17 luglio 1912, e muore a Pollença, in Spagna, il 17 luglio 2000. La madre, Linda Pedretti, era originaria di Parma, mentre il padre Antonio è stato, nel 1894, uno dei fondatori storici del Partito socialista di Sassari, trasferitosi a Milano nel 1896. Il padre, amico di Carlo Carrà, porta Aligi, a soli sette anni, alla prima mostra collettiva dei futuristi al Cova, nel 1919, periodo in cui il giovane Aligi scopre le qualità del colore e la sua predisposizione artistica. La famiglia, nel 1921, da Milano torna in Sardegna, a Thiesi, in provincia di Sassari, dove il padre Antonio avvia un’attività commerciale. Il giovane Aligi frequenta per tre anni la scuola elementare e le atmosfere dell’isola, i colori del paesaggio mediterraneo e i cavalli segneranno profondamente le sue impressioni. Di nuovo a Milano, nel 1925, Aligi è costretto, dalla difficoltà economiche in cui verte la famiglia, ad abbandonare gli studi, che tuttavia porterà a termine con la scuola serale. All’età di 14 anni inizia a lavorare come apprendista in un’officina litografica, la Pressa, e successivamente come aiutante decoratore murale.
Si appassiona al movimento dei futuristi, raccogliendo riviste e testi del gruppo d’avanguardia e nel 1927 acquista “Pittura, scultura futurista (dinamismo plastico)” di Umberto Boccioni, e ha modo di vedere alcune sue opere in occasione di un’esposizione organizzata da Fedele Azari, segretario nazionale del movimento futurista. La produzione pittorica e i disegni di questo periodo, con temi dedicati agli animali e a figurine umane, sono chiaramente ispirati al futurismo. Tanto che con l’amico Bruno Munari, Aligi decide di recarsi all’Hotel Corso per conoscere Filippo Tommaso Marinetti che in quel luogo promuove degli incontri con il pubblico. In questa occasione Aligi mostra a Marinetti una cartella dei propri disegni dedicati a “Marfka, il futurista”, opera dello stesso Marinetti. Quest’ultimo, il giorno successivo e durante una manifestazione, indica Munari e Aligi come due promesse dell’arte italiana e invita Aligi Sassu ad esporre, nel 1928, due opere alla Biennale di Venezia ( “Nudo plastico” e “L’uomo che si abbevera alla sorgente”). Lo stesso anno, insieme a Munari, firma il “Manifesto della pittura: Dinamismo e riforma muscolare”, rimasto inedito fino al 1977. Partecipa a una importante mostra Futurista alla Galleria Pesaro di Milano, con il dipinto "La madre", oggi disperso.Tuttavia, nell’opera “Nudo plastico” presentata alla Biennale si delinea una maggiore attenzione allo spessore della materia cromatica che lo porterà, già dal 1929, a prendere distanze dal futurismo, e a calarsi nelle atmosfere compositive del primitivismo come nell’opera “I ciclisti”.
Lo stesso anno s’iscrive all’Accademia di Brera e conosce Lucio Fontana, che ritroverà poi ad Albisola nel laboratorio di ceramica. Dopo due anni, e ancora una volta per difficoltà economiche, Aligi abbandona l’Accademia inizia a frequentare l’Accademia Libera, avviata da Barbaroux, direttore della Galleria di Milano che, in cambio di cavalletti e modelli, pretende un quadro al mese. Sebbene quest’esperienza sia di breve durata, ha modo di legare amicizia con il gruppo dei giovani artisti Renato Birolli, Giacomo Manzù e Fiorenzo Tomea. Continua la sua attività in uno studio affittato con Manzù in piazza Susa a Milano. La sua ricerca ispirata a Masolino e Beato Angelico si pone in antitesi al gruppo Novecento. In questo periodo nasce l’opera “Uomini rossi”, in cui si definisce una sua personale ricerca pittorica connotata da una campitura compatta "à plat", con la quale traduce i dati della realtà attraverso evocazioni arcane e magiche. Nel 1932 espone in una mostra collettiva negli spazi della Galleria Il Milione.
Si reca a Parigi nel 1934 e ha modo di avvicinarsi alle opere di Henri Matisse e dei grandi artisti francesi dell’Ottocento quali Jean-Louis Théodore Géricault, Paul Cézanne, gli impressionisti, ma soprattutto Eugène Delacroix del quale legge i Diari. “In Delacroix, Sassu scopre, come in un’affinità elettiva, l’attitudine costruttiva, il comporsi armonico e insieme prepotente dei colori densi di luce. Con Delacroix abbraccia la complessità e i contrasti della storia degli uomini, il conflitto perenne tra energie in lotta per affermare la propria identità.” (Simona Campus). La capitale d’oltralpe ispirerà una serie di opere dedicate al tema dei caffè, luoghi molto frequentati, e ai quali seguono dipinti con soggetti tratti dalla realtà, con temi sociali o legati al mito sebbene trattati in chiave simbolica. In occasione del suo secondo soggiorno a Parigi, nel 1935, cresce in lui l’impegno politico, e manifesta la sua posizione antifranchista realizzando l’opera “Fucilazione delle Asturie”. Di ritorno a Milano, si unisce al pittore Raffaele De Grada per diffondere la stampa clandestina antifascista e prende contatto con gruppi antifascisti all’estero. Insieme a De Grada stende un manifesto che esalta all’insurrezione. Poco dopo, nell’aprile del 1937, la polizia segreta del Fascismo, l’Ovra, perquisisce la casa di Aligi, dove trova una bozza del manifesto e, con le accuse di complotto, lo rinchiude nel carcere di San Vittore. Dopo sei mesi viene trasferito a Roma nel carcere di Regina Coeli, e viene condannato a dieci anni di reclusione. Riesce a riprendere il disegno e la scrittura solo quando viene spostato nel carcere di Fossano e nell’arco della sua detenzione realizzerà oltre 400 disegni. Grazie all’intercessione di Marinetti e del dr. Veratti, conoscenti del Duce e avvertiti dal padre del pittore, nel luglio del 1938 ad Aligi viene concessa la grazia regia ed è subito liberato.
In quanto sorvegliato speciale dal regime, ad Aligi è proibito frequentare luoghi pubblici ed esporre le proprie opere. Realizza una serie di dipinti, ideati in carcere e che hanno per tema l’opposizione: “Spagna 1937” e “La morte di Cesare”. Dopo la scarcerazione Sassu è invitato dal ceramista Tullio Mazzotti nella sua dimora di Albisola, nei pressi di Savona, un luogo riservato agli artisti che si cimentano con la scultura ceramica, e dove tra gli altri risiedono Fontana e lo scultore toscano Agenore Fabbri.
Contemporaneamente a Milano nasce il movimento Corrente al quale si accosta Aligi Sassu che solo nel 1941, in una mostra organizzata nella Bottega di Corrente, potrà esporre la serie “Uomini rossi”. Lo stesso anno si sposa ma i rapporti con la moglie si deteriorano presto. Nel maggio 1944 la figlia di tre anni muore. Con l’avanzare della guerra Aligi, dopo aver collaborato con i partigiani di Montagna, si stabilisce a Zorzino, località in cui accoglie nel 1945 i giorni della Liberazione. Torna a Milano e nel 1947 si trasferisce a Castel Cabiaglio, nella provincia di Varese, dove con De Tullio si dedica alla ceramica sfruttando un'antica fornace del luogo e produce un centinaio di ceramiche.Negli anni Cinquanta si dedica alla ceramica ad Albisola e realizza una serie di pezzi unici.
Nel 1954, con Mazzotti e Fabbri si reca a Vallauris per conoscere Pablo Picasso, che incontrerà di nuovo nella villa La Californie a Cannes, due anni dopo, occasione in cui Picasso gli mostra le sculture che avrebbe esposto da li a poco al Museo di Antibes.
Sulla riviera di Albisola, nel 1959, incontra la soprano Maria Helena Olivares che suscita in lui la passione per la Spagna. Con Helena Olivares, che poco dopo diventa la sua seconda moglie, si stabilisce a Mallorca, in una casa a Cala San Vicente.
Nel 1966, sulle pareti dell’abside e nelle navate della Chiesa Santa Maria del Carmine a Cagliari realizza la più importante delle sue opere a mosaico, che narra la vicenda della Madonna del Carmine e dei suoi devoti. Vive tra Mallorca e l'Italia dove nel 1967 si trasferisce a Monticello Brianza. Nel 1969 dipinge a Ozieri "Il mito di Prometeo", trasformato nel 1998 in un mosaico. Nel 1973 realizza le scene e i costumi dei “Vespri Siciliani” per la riapertura del Teatro Reggio di Torino e nel 1977 due mosaici per la Chiesa Sant’Andrea di Pescara. Lo stesso anno si trasferisce da Cala San Vincente a Pollença sempre sull’isola di Mallorca, mentre nel 1981 da Monticello a Milano. Nel 1982 gli viene conferito il riconoscimento “Gli uomini che ha fatto grande Miano” e nel corso dell'anno presenta la sua serie di acquarelli realizzati nel 1943 sul tema dei “Promessi sposi” di Alessandro Manzoni. Dona alla città di Sassari, nel 1983, il grande affresco “Il mito di Prometeo”, poi trasportato su tela, e allestito su una delle pareti del Palazzo della Provincia.
Nel 1984 viene organizzata una prima mostra antologica a Palazzo dei Diamanti di Ferrara che raccoglie 111 opere. Seguono, nel 1986, le esposizioni a Palma di Mallorca, alla XI Quadriennale di Roma, alla Triennale di Milano e alla Casa del Mantenga a Mantova, mentre completa la serie di tavole dedicate alla “Divina Commedia” di Dante Alighieri, tre delle quali saranno acquistate dal Museo Puskin di Mosca. Nel 1992 viene organizzata una mostra itinerante con 80 dipinti in Sud America. Porta a termine, nel 1993, il murale in ceramica di 150 metri intitolato “I miti del Mediterraneo”, realizzato per la nuova sede del Parlamento Europeo a Bruxelles. Viene nominato "Cavaliere della Gran Croce", nel 1995, dal Presidente della Repubblica italiana Oscar Luigi Scalfaro. In occasione della donazione di ben 362 opere alla città di Lugano, nel 1996, è creata la Fondazione Aligi Sassu e Helenita Olivares, che realizzerà una serie di eventi espositivi dedicati ai periodi tematici attraversati da Sassu: dal "Futurismo" nel 1999 al "Primitivismo" nel 2000, dagli "Uomini rossi" nel 2001 al "Realismo di Sassu" nel 2003. Palazzo Strozzi di Firenze, per l’ottansettesimo compleanno di Aligi Sassu, presenta una grande mostra antologica. A distanza di un anno, Sassu scompare nella sua casa di Pollença. In merito al suo contributo artistico e culturale, il presidente Carlo Azeglio Ciampi, conferirà alla memoria del maestro il diploma di benemerenza di I classe (Medaglia d’oro) per la scuola, la cultura e l’arte per l’anno 2005.
16
settembre 2009
Giorgio de Chirico / Aligi Sassu – Mito mediterraneo
Dal 16 settembre al primo novembre 2009
arte contemporanea
Location
VILLA SIOTTO
Sarroch, Via Siotto, (Cagliari)
Sarroch, Via Siotto, (Cagliari)
Orario di apertura
tutti i giorni (tranne il lunedì) dalle ore 10 alle ore 12 e dalle ore 17 alle ore 19.
Vernissage
16 Settembre 2009, ore 18.30
Editore
SILVANA EDITORIALE
Autore
Curatore