Amo il materiale povero, quello che si trova rovistando nelle discariche, quello che la gente butta via perché non serve più, ingombra. E come se sentissi un lamento che richiama la mia attenzione. Mi immagino le discariche come le cave di marmo di Carrara che fornivano la pietra a Michelangelo. Lui stava giornate a osservare le pareti per scegliere il blocco da estrarre, io rovisto tra i rifiuti per trovare la materia per i miei lavori. Una porta di legno vecchia con i suoi cardini arrugginiti, cigolanti cerniere inutilizzabili, travi tarlate, maniglie ossidate, chiodi storti, pezzi di metallo corrosi…
In una discarica c’è tutto un mondo da scoprire e materia da lavorare e trasformare. Toccare un oggetto abbandonato, sentire le sue vibrazioni e, come un sensitivo, chiusi gli occhi, immaginare il suo “passato”, ascoltare la sua voce, la sua storia, il suo canto.
Dare un’anima e dignità alla materia reietta per riproporla, sotto altre spoglie, in bella mostra nei salotti delle case, nei saloni dei palazzi, nelle gallerie d’arte, insomma farla rivivere. Dal macero all’ opera d’arte, da brutto anatroccolo al cigno. Potenza dell’atto creativo!
Domare il materiale di risulta per forgiarlo, assecondando l’idea elaborata dalla mente, durante l’atto della creazione è uno scontro fisico. L’energia così sprigionata è racchiusa nell’opera e chi la osserva la percepisce: c’è qualcosa di magico, di magnetico, di esoterico che richiama la nostra attenzione, sazia lo spirito…e pensare che erano solo scarti!