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Sante Monachesi – 1910-1991
La mostra al Museo della Fondazione Roma ripercorre, attraverso una selezione di circa 100 opere tra dipinti e sculture, il variegato percorso creativo di Sante Monachesi, artista futurista marchigiano (Macerata 1910-1991), mettendone in evidenza i momenti più originali e soprattutto la sua attenzione rivolta all’uso in chiave artistica di materiali frutto delle nuove tecnologie industriali.
Comunicato stampa
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La mostra al Museo della Fondazione Roma ripercorre, attraverso una selezione di circa 100 opere tra dipinti e sculture, il variegato percorso creativo di Sante Monachesi, artista futurista marchigiano (Macerata 1910-1991), mettendone in evidenza i momenti più originali e soprattutto la sua attenzione rivolta all’uso in chiave artistica di materiali frutto delle nuove tecnologie industriali.
Promossa dalla Fondazione Roma, cui si deve l’impulso alla realizzazione dell’evento a celebrazione del centenario della nascita dell’artista, grazie all’iniziativa del suo Presidente, il Prof. Avv. Emmanuele F.M. Emanuele, la mostra sarà aperta al pubblico dal 21 settembre con ingresso gratuito.
L’ARTISTA. La città marchigiana dove Sante Monachesi nacque nel 1910, Macerata, chiusa nel suo riserbo rinascimentale, appariva troppo angusta al giovane artista per soddisfare il suo desiderio di nuovo e il Futurismo sembrò allora rappresentare per lui l’occasione per evadere da quel mondo provinciale: la mostra allestita nell’estate del 1922 dal pittore Ivo Pannaggi presso il Convitto Nazionale era stata sufficiente ad innescare una bomba destinata a far deflagrare il sonnolento ambiente provinciale e la lettura del testo di Boccioni Pittura e Scultura Futurista fece il resto. Monachesi divenne futurista e lo fu per il resto dei suoi giorni: il capo storico del movimento futurista Filippo Tommaso Marinetti lo accolse a Roma, lo appoggiò presso il ministro Pavolini, lo introdusse nel vivace laboratorio culturale dell’Urbe e Monachesi corrispose a quanti avevano creduto in lui creando sculture metalliche e dipinti di impronta futurista, pronto però già nel 1941 ad abbandonare quelle sperimentazioni per navigare verso altri lidi.
Gli anni Cinquanta sono segnati dall’esperienza francese e dal successo incontrato dai suoi nuovi dipinti presso la galleria Silvagni di Parigi: visitando i sobborghi della capitale, ancora segnata dalle ferite lasciate dal secondo conflitto mondiale, Monachesi era rimasto impressionato dai grandi palazzi in costruzione ed elaborava la serie dei “Muri ciechi”, imponenti muraglie prive di finestre che attendevano di essere affiancate da altri edifici, rese dall’artista con ampie campiture di colore puro, rosso squillante, azzurro smaltato, bianco accecante, che si levano contro un cielo vaporoso e si fanno pura astrazione. Non è facile indicare i nomi dei pittori d’oltralpe alle cui opere guardò in quegli anni con più profitto: Utrillo, Marquet, Matisse e Dufy sono i primi che vengono alla mente, evidenziando così l’eclettismo e la capacità di rielaborazione del pittore marchigiano.
L’atmosfera inquieta e trasognata della metropoli francese, con la sua intensa vita notturna tornata a splendere dopo gli affanni della guerra, con i teatri e i caffè letterari, stimola in Monachesi il desiderio di elaborare opere nuove, animate da una gioia di vivere sincera: ecco allora nascere la serie dedicata alle clownnesses, procaci donne nude che indossano cappelli simili a quelli dei clowns o delle fate rappresentate nelle miniature tardogotiche, raffigurate dal pittore marchigiano nell’atto di danzare sospese nell’aria e sempre pronte a divertirsi, come le protagoniste di un eterno baccanale.
Anche le nature morte offrivano a Monachesi l’opportunità di esprimere la sua personale visione del colore, interpretato con una libertà di tocco e una rapidità che rasentano la stenografia di De Pisis: non sono certo le calibrate e severe nature morte care ai sodali del Novecento Italiano, ma sembrano piuttosto l’epilogo contemporaneo di un filone più esuberante e sensuale, quello delle turgide etalages degli specialisti barocchi che si ravvisa nelle tele madide di umori rugiadosi di Christian Berentz o piuttosto, per parlare di un artista presente in varie collezioni marchigiane, dello Spadino.
Nei primi anni Quaranta, Monachesi compone nature morte dai colori densi e vibranti, trattati con pennellate corpose: gli ortaggi e gli oggetti della quotidianità sono disposti in un apparente disordine e si affollano sui piani dei tavoli, quasi ribaltandosi verso di noi. Con il passare del tempo, i colori si fanno più chiari e gli oggetti si articolano in composizioni più studiate, caratterizzate da mazzi floreali disposti entro altri vasi policromi. I fiori variopinti stilizzati da Monachesi non hanno certo l’aspetto rarefatto e fragile di un ikebana, ma piuttosto il sapore fragrante dei bouquets composti con i fiori trovati ai margini delle strade di campagna o nei campi: tese su steli rigidi come aste di bandiera, le corolle di Monachesi non svelano alcun interesse per l’appassire e il lento disfarsi, allegoria del mesto passare del tempo, ma sembrano piuttosto destinate a conservarsi fragranti per l’eternità, testimoniando così l’inesauribile vitalità del loro creatore. I colori puri, violenti, sempre più vivaci sugli sfondi che si vanno schiarendo nel corso degli anni fino a diventare bianchi, hanno il vigore primordiale di un approccio selvaggio e sensuale all’arte del dipingere, dominato dall’istinto e dalla passione, che è il tratto di tutta l’opera di Monachesi.
Instancabile promotore di nuovi movimenti artistici il pittore marchigiano nei primi anni Sessanta non rimase insensibile al progresso tecnologico e alla appassionante gara in corso fra l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti per la conquista dello spazio.
“ Nell’epoca dei satelliti artificiali, spiegava, mentre l’uomo si accinge a conquistare la luna è possibile continuare a dipingere gli stessi oggetti, o meglio, a dipingere con lo stesso intento di una volta?”: nasceva da queste considerazioni l’Astralismo, al quale faceva seguito nel 1962 un nuovo movimento “Agrà”, presentato nel 1964 in occasione della XIII Biennale di Venezia. “Non cadremo più”, dichiara Monachesi in quella circostanza, e gli oggetti fluttuano, come risucchiati in un gorgo cosmico che, superate le leggi della gravità, origina il comporsi di forme astrali dai colori vivaci, navicelle pronte ad affrontare il viaggio intersiderale alla ricerca del nuovo.
Ciò che accomuna le creazioni dell’artista marchigiano, nel suo spaziare dalla pittura alla scultura, dalla letteratura al cinema, è la coerenza interna alle sue opere: l’espressione libera da condizionamenti, di autonomia artistica, di desiderio sperimentale, persino di anticonformismo, che tutto accomuna nel suo divagante procedere creativo; una sorta di furor che caratterizza anche altri artisti che dalla piccola patria marchigiana si sono affacciati alla grande ribalta internazionale, scoprendosi desiderosi di sperimentare soluzioni nuove, talvolta senza nemmeno chiedersi se ciò fosse coerente con quanto realizzato in precedenza.
IL PERCORSO ESPOSITVO si apre e si chiude con le sculture ideate da Monachesi, proprio per mettere in rilievo il suo importante ruolo anche nell’ambito dell’arte plastica e prende avvio con gli “Allumini a luce mobile” che rivelano l’attenzione dell’artista verso l’interazione fra forma, materiale e luce che con la sua mobilità concorre a determinare i rilievi delle opere.
L’esposizione si conclude invece con le sculture realizzate negli anni Sessanta e Settanta, consentendo così di apprezzare la modernità della riflessione estetica di Monachesi che mostra di voler sfruttare per finalità artistiche i nuovi materiali plastici di produzione industriale: l’artista marchigiano è fra i primi a comprendere le potenzialità espressive legate all’uso del metacrilato con il quale modella ampie forme plastiche caratterizzate da colori intensi - gialli accesi, rossi squillanti, azzurri profondi - che contraddistinguono anche la sua pittura: il materiale trasparente attraversato dalla luce si smaterializza e la scultura acquista una leggerezza che ne contraddice la stessa essenza plastica.
Contemporaneamente, la sperimentazione di Monachesi si focalizza sulla scoperta della gommapiuma i cui grandi fogli divengono la materia prima per la creazione di opere plastiche, le Evelpiume, nate dalla semplice azione del “legare e sciogliere” che l’artista suggeriva di praticare anche a quanti visitavano le sue mostre.
Promossa dalla Fondazione Roma, cui si deve l’impulso alla realizzazione dell’evento a celebrazione del centenario della nascita dell’artista, grazie all’iniziativa del suo Presidente, il Prof. Avv. Emmanuele F.M. Emanuele, la mostra sarà aperta al pubblico dal 21 settembre con ingresso gratuito.
L’ARTISTA. La città marchigiana dove Sante Monachesi nacque nel 1910, Macerata, chiusa nel suo riserbo rinascimentale, appariva troppo angusta al giovane artista per soddisfare il suo desiderio di nuovo e il Futurismo sembrò allora rappresentare per lui l’occasione per evadere da quel mondo provinciale: la mostra allestita nell’estate del 1922 dal pittore Ivo Pannaggi presso il Convitto Nazionale era stata sufficiente ad innescare una bomba destinata a far deflagrare il sonnolento ambiente provinciale e la lettura del testo di Boccioni Pittura e Scultura Futurista fece il resto. Monachesi divenne futurista e lo fu per il resto dei suoi giorni: il capo storico del movimento futurista Filippo Tommaso Marinetti lo accolse a Roma, lo appoggiò presso il ministro Pavolini, lo introdusse nel vivace laboratorio culturale dell’Urbe e Monachesi corrispose a quanti avevano creduto in lui creando sculture metalliche e dipinti di impronta futurista, pronto però già nel 1941 ad abbandonare quelle sperimentazioni per navigare verso altri lidi.
Gli anni Cinquanta sono segnati dall’esperienza francese e dal successo incontrato dai suoi nuovi dipinti presso la galleria Silvagni di Parigi: visitando i sobborghi della capitale, ancora segnata dalle ferite lasciate dal secondo conflitto mondiale, Monachesi era rimasto impressionato dai grandi palazzi in costruzione ed elaborava la serie dei “Muri ciechi”, imponenti muraglie prive di finestre che attendevano di essere affiancate da altri edifici, rese dall’artista con ampie campiture di colore puro, rosso squillante, azzurro smaltato, bianco accecante, che si levano contro un cielo vaporoso e si fanno pura astrazione. Non è facile indicare i nomi dei pittori d’oltralpe alle cui opere guardò in quegli anni con più profitto: Utrillo, Marquet, Matisse e Dufy sono i primi che vengono alla mente, evidenziando così l’eclettismo e la capacità di rielaborazione del pittore marchigiano.
L’atmosfera inquieta e trasognata della metropoli francese, con la sua intensa vita notturna tornata a splendere dopo gli affanni della guerra, con i teatri e i caffè letterari, stimola in Monachesi il desiderio di elaborare opere nuove, animate da una gioia di vivere sincera: ecco allora nascere la serie dedicata alle clownnesses, procaci donne nude che indossano cappelli simili a quelli dei clowns o delle fate rappresentate nelle miniature tardogotiche, raffigurate dal pittore marchigiano nell’atto di danzare sospese nell’aria e sempre pronte a divertirsi, come le protagoniste di un eterno baccanale.
Anche le nature morte offrivano a Monachesi l’opportunità di esprimere la sua personale visione del colore, interpretato con una libertà di tocco e una rapidità che rasentano la stenografia di De Pisis: non sono certo le calibrate e severe nature morte care ai sodali del Novecento Italiano, ma sembrano piuttosto l’epilogo contemporaneo di un filone più esuberante e sensuale, quello delle turgide etalages degli specialisti barocchi che si ravvisa nelle tele madide di umori rugiadosi di Christian Berentz o piuttosto, per parlare di un artista presente in varie collezioni marchigiane, dello Spadino.
Nei primi anni Quaranta, Monachesi compone nature morte dai colori densi e vibranti, trattati con pennellate corpose: gli ortaggi e gli oggetti della quotidianità sono disposti in un apparente disordine e si affollano sui piani dei tavoli, quasi ribaltandosi verso di noi. Con il passare del tempo, i colori si fanno più chiari e gli oggetti si articolano in composizioni più studiate, caratterizzate da mazzi floreali disposti entro altri vasi policromi. I fiori variopinti stilizzati da Monachesi non hanno certo l’aspetto rarefatto e fragile di un ikebana, ma piuttosto il sapore fragrante dei bouquets composti con i fiori trovati ai margini delle strade di campagna o nei campi: tese su steli rigidi come aste di bandiera, le corolle di Monachesi non svelano alcun interesse per l’appassire e il lento disfarsi, allegoria del mesto passare del tempo, ma sembrano piuttosto destinate a conservarsi fragranti per l’eternità, testimoniando così l’inesauribile vitalità del loro creatore. I colori puri, violenti, sempre più vivaci sugli sfondi che si vanno schiarendo nel corso degli anni fino a diventare bianchi, hanno il vigore primordiale di un approccio selvaggio e sensuale all’arte del dipingere, dominato dall’istinto e dalla passione, che è il tratto di tutta l’opera di Monachesi.
Instancabile promotore di nuovi movimenti artistici il pittore marchigiano nei primi anni Sessanta non rimase insensibile al progresso tecnologico e alla appassionante gara in corso fra l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti per la conquista dello spazio.
“ Nell’epoca dei satelliti artificiali, spiegava, mentre l’uomo si accinge a conquistare la luna è possibile continuare a dipingere gli stessi oggetti, o meglio, a dipingere con lo stesso intento di una volta?”: nasceva da queste considerazioni l’Astralismo, al quale faceva seguito nel 1962 un nuovo movimento “Agrà”, presentato nel 1964 in occasione della XIII Biennale di Venezia. “Non cadremo più”, dichiara Monachesi in quella circostanza, e gli oggetti fluttuano, come risucchiati in un gorgo cosmico che, superate le leggi della gravità, origina il comporsi di forme astrali dai colori vivaci, navicelle pronte ad affrontare il viaggio intersiderale alla ricerca del nuovo.
Ciò che accomuna le creazioni dell’artista marchigiano, nel suo spaziare dalla pittura alla scultura, dalla letteratura al cinema, è la coerenza interna alle sue opere: l’espressione libera da condizionamenti, di autonomia artistica, di desiderio sperimentale, persino di anticonformismo, che tutto accomuna nel suo divagante procedere creativo; una sorta di furor che caratterizza anche altri artisti che dalla piccola patria marchigiana si sono affacciati alla grande ribalta internazionale, scoprendosi desiderosi di sperimentare soluzioni nuove, talvolta senza nemmeno chiedersi se ciò fosse coerente con quanto realizzato in precedenza.
IL PERCORSO ESPOSITVO si apre e si chiude con le sculture ideate da Monachesi, proprio per mettere in rilievo il suo importante ruolo anche nell’ambito dell’arte plastica e prende avvio con gli “Allumini a luce mobile” che rivelano l’attenzione dell’artista verso l’interazione fra forma, materiale e luce che con la sua mobilità concorre a determinare i rilievi delle opere.
L’esposizione si conclude invece con le sculture realizzate negli anni Sessanta e Settanta, consentendo così di apprezzare la modernità della riflessione estetica di Monachesi che mostra di voler sfruttare per finalità artistiche i nuovi materiali plastici di produzione industriale: l’artista marchigiano è fra i primi a comprendere le potenzialità espressive legate all’uso del metacrilato con il quale modella ampie forme plastiche caratterizzate da colori intensi - gialli accesi, rossi squillanti, azzurri profondi - che contraddistinguono anche la sua pittura: il materiale trasparente attraversato dalla luce si smaterializza e la scultura acquista una leggerezza che ne contraddice la stessa essenza plastica.
Contemporaneamente, la sperimentazione di Monachesi si focalizza sulla scoperta della gommapiuma i cui grandi fogli divengono la materia prima per la creazione di opere plastiche, le Evelpiume, nate dalla semplice azione del “legare e sciogliere” che l’artista suggeriva di praticare anche a quanti visitavano le sue mostre.
20
settembre 2010
Sante Monachesi – 1910-1991
Dal 20 settembre al 24 ottobre 2010
arte contemporanea
Location
FONDAZIONE ROMA MUSEO – PALAZZO CIPOLLA
Roma, Via Del Corso, 320, (Roma)
Roma, Via Del Corso, 320, (Roma)
Biglietti
intero: Euro 6,00; Ridotto Euro 4,00
Vernissage
20 Settembre 2010, ore 18
Editore
DE LUCA EDITORI D'ARTE
Ufficio stampa
CIVITA GROUP
Autore
Curatore