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Esistenze disperse nella liquidità di uno spazio indeterminato
CAR Gallery è lieta di annunciare la prima personale in Italia dell’artista originario del Marocco Omar Mahfoudi (Tangeri, 1981). Mahfoudi in occasione della sua prima mostra con CAR Gallery presenta una serie di opere che testimoniano la sintesi della ricerca degli ultimi anni.
Comunicato stampa
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CAR Gallery è lieta di annunciare la prima personale in Italia dell’artista originario del Marocco Omar Mahfoudi (Tangeri, 1981. Vive e lavora a Parigi). Mahfoudi in occasione della sua prima mostra con CAR Gallery presenta una serie di opere che testimoniano la sintesi della ricerca degli ultimi anni. Mostra a cura di Andrea Busto, in collaborazione con la galleria Afikaris di Parigi.
Esistenze disperse nella liquidità di uno spazio indeterminato Più sprofondo con lo sguardo nell’opera Pioggia, vapore e velocità di Joseph Mallord William Turner e più intravedo figure che svaniscono e sorgono dalle nebbie luminose care all’artista. La sua pennellata evanescente, soffusa e intrisa di rugiada trascolora nelle immensità dello spazio e dell’atmosfera, cela e rivela minuscoli corpi che danno vita a scenette insignificanti in cui una barca scivola nelle acque traslucide, persone si sbracciano sulla riva del fiume, buoi solcano il terreno con un aratro condotto da un contadino, una lepre corre sui binari per non essere travolta dal treno sbuffante di vapore. Personaggi, animali e cose sono invischiati nel sublime e romantico magma materico del colore steso sulla tela che, come una trappola, li imprigiona. Per poter mettere a fuoco la visione dell’opera indefinita e per poter cogliere quei frammenti di realtà – che altrimenti da lontano non coglieremmo e non percepiremmo perché sottilmente e diabolicamente confusi nella pittura
– l’artista ci induce a osservare la tela da vicino e noi, ipnotizzati, siamo indotti a sporgerci verso e dentro lo “spazio dipinto” venendo risucchiati in un vortice effimero, intangibile e impalpabile.
In una dimensione altrettanto romantica, ma più algida e descrittiva, dove i soggetti non sono suggeriti ma dipinti in ogni loro dettaglio, Caspar David Friederich ci induce a sostare frontalmente alle sue opere – nella stessa posa dei soggetti raffigurati di spalle che, come nel dipinto di Magritte La reproduction interdite, sdoppiano il soggetto e si triplicano nell’osservatore – sovrapponendoci e moltiplicandoci nella postura del soggetto stesso del quadro come attori della stessa commedia. Le misteriose figure, di cui non scorgiamo il volto, scrutano l’orizzonte e ci pongono nella condizione di osservatori dell’infinito. Come loro scrutiamo la tela/spazio divenendo eco dei personaggi rappresentati, condividiamo la stessa sensazione di angoscia di fronte all’immenso ignoto che non lascia scampo, scandagliamo l’etere per trovare un appiglio visivo che ci permetterebbe di dire che in quell’aldilà c’è qualcosa, guardiamo speranzosi i tramonti e le albe che trascolorano sublimemente nell’immensità del cielo terso e iridescente per dare un senso alla nostra presenza in Terra. Omar Mahfoudi predilige personaggi e figure distinguibili, fonde le tecniche, lo spirito e il senso del vuoto di Turner e Friederich, ci consegna allo sguardo tele in cui la pittura scivola e slavina verticalmente sulla tela per inglobare nel suo percorso i personaggi raffigurati che spesso ci guardano in modo interrogativo.
Soli luminosi, tondi e colanti come tuorli d’uovo bucati, si svuotano sulle teste dei soggetti irradiandoli di sbavature incandescenti. Il cielo turchino, il sole rosso e i personaggi di carne rosa, terrosi o blu indaco si fondono in lacrime di pura pittura e la tela si trasforma in un luogo di pioggia multicolore. Lo sciogliersi e il dilavarsi della materia crea una tensione nello spettatore che tenta, con lo sguardo, di azzerare questa procedura e cerca di fissare nella sua osservazione i pigmenti che scivolano verso il basso, per “salvare” in un processo di congelamento le figure che altrimenti sparirebbero. Questi personaggi, con sguardi interlocutori, ci chiedono intrinsecamente di fermare il disfacimento e il diluirsi del liquido di cui sono composti, per salvarli dalla dissoluzione imminente e noi, impotenti, come di fronte allo sgomento dei fantasmi che si dissolvono nell’aria, proviamo a decifrarli, percepirli ed empaticamente a corrispondere il loro sguardo un attimo prima della dissoluzione definitiva. Altri invece appaiono come minuscole silhouette affogate nel colore – pari a quelle di Turner inglobate nel magma della pittura – e raffigurati impercettibilmente e indefinitamente per portarci in uno spazio immenso e lontano in cui la vastità e la solitudine dei luoghi, siano mari, cieli o deserti, consegnano l’immagine di un imponderabile vuoto interiore pari solo a quello del pastore di leopardiana memoria.
Non è in effetti un momento tragico, inteso nel senso romantico del termine, ma vi è una presa di coscienza di una vanitas in cui si riverbera la celebre locuzione latina “sic transit gloria mundi”. Quindi l’opera, come un memento mori contemporaneo senza la tragicità della fine, non si estingue ma rivive in sé stessa autorigenerandosi nella propria dissoluzione, come se il Buddha incarnato ci presentasse, in un’altra forma, la realtà in cui nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto cambia, tutto muta in materia differente ma sempre attiva, viva e presente anche se diversa. Non credo sia necessario evocare artisti moderni per ritrovare le radici dell’opera di Mahfoudi, sono talmente evidenti che parrebbe un affronto allo spettatore/lettore enunciare i loro nomi, eppure uno fra loro mi è doveroso ricordarlo: Emil Nolde che, soprattutto con i suoi fiori e paesaggi all’acquarello espansi sulle carte in grandi e incontrollate sfocature
ed estensioni anarchiche, abbia, più di ogni altro, dato un impulso significativo alla creatività di Omar Mahfoudi. Egli stesso ci confessa in un’intervista: «Sono stato ispirato soprattutto dai libri che erano piccole finestre sul mondo esterno. Stavo scoprendo il passato dell’arte attraverso la storia dell’arte. Ero piuttosto affascinato dall’idea di espressione.
Mi piaceva molto l’Espressionismo tedesco. Qualcuno ha qualificato la mia arte come torturata perché viene dall’interno. Non mi ispiro all’esterno. Rifiuto qualsiasi ispirazione esterna per evitare una rappresentazione folkloristica orientalista che si ripete frequentemente nella pittura marocchina». La sua opera è quindi interiormente poetica, avulsa dalla realtà contingente anche se figurativa, i dettagli dei paesaggi non sono che pretesti per avviare una discussione
sui luoghi dell’anima, del sentire e dell’ispirazione. Termini astratti per parlare di realtà come sublimazione del vissuto attraverso piccole finestre affacciate sul mondo interiore, in spazi liquidi e indeterminati, oltre i confini del tempo contingente dell’oggi.
Esistenze disperse nella liquidità di uno spazio indeterminato Più sprofondo con lo sguardo nell’opera Pioggia, vapore e velocità di Joseph Mallord William Turner e più intravedo figure che svaniscono e sorgono dalle nebbie luminose care all’artista. La sua pennellata evanescente, soffusa e intrisa di rugiada trascolora nelle immensità dello spazio e dell’atmosfera, cela e rivela minuscoli corpi che danno vita a scenette insignificanti in cui una barca scivola nelle acque traslucide, persone si sbracciano sulla riva del fiume, buoi solcano il terreno con un aratro condotto da un contadino, una lepre corre sui binari per non essere travolta dal treno sbuffante di vapore. Personaggi, animali e cose sono invischiati nel sublime e romantico magma materico del colore steso sulla tela che, come una trappola, li imprigiona. Per poter mettere a fuoco la visione dell’opera indefinita e per poter cogliere quei frammenti di realtà – che altrimenti da lontano non coglieremmo e non percepiremmo perché sottilmente e diabolicamente confusi nella pittura
– l’artista ci induce a osservare la tela da vicino e noi, ipnotizzati, siamo indotti a sporgerci verso e dentro lo “spazio dipinto” venendo risucchiati in un vortice effimero, intangibile e impalpabile.
In una dimensione altrettanto romantica, ma più algida e descrittiva, dove i soggetti non sono suggeriti ma dipinti in ogni loro dettaglio, Caspar David Friederich ci induce a sostare frontalmente alle sue opere – nella stessa posa dei soggetti raffigurati di spalle che, come nel dipinto di Magritte La reproduction interdite, sdoppiano il soggetto e si triplicano nell’osservatore – sovrapponendoci e moltiplicandoci nella postura del soggetto stesso del quadro come attori della stessa commedia. Le misteriose figure, di cui non scorgiamo il volto, scrutano l’orizzonte e ci pongono nella condizione di osservatori dell’infinito. Come loro scrutiamo la tela/spazio divenendo eco dei personaggi rappresentati, condividiamo la stessa sensazione di angoscia di fronte all’immenso ignoto che non lascia scampo, scandagliamo l’etere per trovare un appiglio visivo che ci permetterebbe di dire che in quell’aldilà c’è qualcosa, guardiamo speranzosi i tramonti e le albe che trascolorano sublimemente nell’immensità del cielo terso e iridescente per dare un senso alla nostra presenza in Terra. Omar Mahfoudi predilige personaggi e figure distinguibili, fonde le tecniche, lo spirito e il senso del vuoto di Turner e Friederich, ci consegna allo sguardo tele in cui la pittura scivola e slavina verticalmente sulla tela per inglobare nel suo percorso i personaggi raffigurati che spesso ci guardano in modo interrogativo.
Soli luminosi, tondi e colanti come tuorli d’uovo bucati, si svuotano sulle teste dei soggetti irradiandoli di sbavature incandescenti. Il cielo turchino, il sole rosso e i personaggi di carne rosa, terrosi o blu indaco si fondono in lacrime di pura pittura e la tela si trasforma in un luogo di pioggia multicolore. Lo sciogliersi e il dilavarsi della materia crea una tensione nello spettatore che tenta, con lo sguardo, di azzerare questa procedura e cerca di fissare nella sua osservazione i pigmenti che scivolano verso il basso, per “salvare” in un processo di congelamento le figure che altrimenti sparirebbero. Questi personaggi, con sguardi interlocutori, ci chiedono intrinsecamente di fermare il disfacimento e il diluirsi del liquido di cui sono composti, per salvarli dalla dissoluzione imminente e noi, impotenti, come di fronte allo sgomento dei fantasmi che si dissolvono nell’aria, proviamo a decifrarli, percepirli ed empaticamente a corrispondere il loro sguardo un attimo prima della dissoluzione definitiva. Altri invece appaiono come minuscole silhouette affogate nel colore – pari a quelle di Turner inglobate nel magma della pittura – e raffigurati impercettibilmente e indefinitamente per portarci in uno spazio immenso e lontano in cui la vastità e la solitudine dei luoghi, siano mari, cieli o deserti, consegnano l’immagine di un imponderabile vuoto interiore pari solo a quello del pastore di leopardiana memoria.
Non è in effetti un momento tragico, inteso nel senso romantico del termine, ma vi è una presa di coscienza di una vanitas in cui si riverbera la celebre locuzione latina “sic transit gloria mundi”. Quindi l’opera, come un memento mori contemporaneo senza la tragicità della fine, non si estingue ma rivive in sé stessa autorigenerandosi nella propria dissoluzione, come se il Buddha incarnato ci presentasse, in un’altra forma, la realtà in cui nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto cambia, tutto muta in materia differente ma sempre attiva, viva e presente anche se diversa. Non credo sia necessario evocare artisti moderni per ritrovare le radici dell’opera di Mahfoudi, sono talmente evidenti che parrebbe un affronto allo spettatore/lettore enunciare i loro nomi, eppure uno fra loro mi è doveroso ricordarlo: Emil Nolde che, soprattutto con i suoi fiori e paesaggi all’acquarello espansi sulle carte in grandi e incontrollate sfocature
ed estensioni anarchiche, abbia, più di ogni altro, dato un impulso significativo alla creatività di Omar Mahfoudi. Egli stesso ci confessa in un’intervista: «Sono stato ispirato soprattutto dai libri che erano piccole finestre sul mondo esterno. Stavo scoprendo il passato dell’arte attraverso la storia dell’arte. Ero piuttosto affascinato dall’idea di espressione.
Mi piaceva molto l’Espressionismo tedesco. Qualcuno ha qualificato la mia arte come torturata perché viene dall’interno. Non mi ispiro all’esterno. Rifiuto qualsiasi ispirazione esterna per evitare una rappresentazione folkloristica orientalista che si ripete frequentemente nella pittura marocchina». La sua opera è quindi interiormente poetica, avulsa dalla realtà contingente anche se figurativa, i dettagli dei paesaggi non sono che pretesti per avviare una discussione
sui luoghi dell’anima, del sentire e dell’ispirazione. Termini astratti per parlare di realtà come sublimazione del vissuto attraverso piccole finestre affacciate sul mondo interiore, in spazi liquidi e indeterminati, oltre i confini del tempo contingente dell’oggi.
22
maggio 2025
Esistenze disperse nella liquidità di uno spazio indeterminato
Dal 22 maggio al 26 luglio 2025
arte contemporanea
Location
CAR Gallery
Bologna, Via Azzo Gardino, 14a, (BO)
Bologna, Via Azzo Gardino, 14a, (BO)
Orario di apertura
da martedì a sabato ore 10.30-13 e 15-19.30
Vernissage
22 Maggio 2025, dalle 17 alle 20,30
Sito web
Autore
Curatore




