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Tra memoria e materia, Ahmet Gunestekin porta l’odore del trauma nel cuore della classicità romana
Arte contemporanea
Fino al 28 settembre 2025, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma ospita YOKTUNUZ, la mostra personale dell’artista turco di origine curda Ahmet Güneştekin, a cura di Sergio Risaliti e Paola Marino, con la direzione organizzativa di Angelo Bucarelli. Sculture, dipinti e installazioni monumentali raccontano la storia, i miti e le leggende delle civiltà anatoliche, del Mediterraneo e della Mesopotamia, da cui Ahmet Güneştekin trae ispirazione. L’esposizione rappresenta un momento cardine sia per l’artista che per la Galleria; si tratta infatti del primo artista vivente turco che espone presso la GNAMC ed è uno dei pochissimi artisti ad aver avuto accesso alla Sala di Canova per una personale. La mostra romana, dunque, assurge a simbolo di consolidamento del legame dell’artista con l’Italia, Paese scelto come sede della sua Fondazione, che aprirà nel 2026 a Palazzo Gradenigo a Venezia. Due delle opere esposte, Il Sole dai sette occhi 2G e Sarcofagi dell’Alfabeto, entreranno a far parte della collezione permanente della GNAMC, suggellando ulteriormente questo rapporto di collaborazione culturale.

La mostra si configura come un articolato percorso che si sviluppa attraverso quattro sale e lega a doppio filo l’arte di Güneştekin ai capolavori della collezione permanente, instaurando un dialogo fra lo spazio e l’artista. Come sottolinea il curatore, Sergio Risaliti, «la sala di Ercole e Lidia rinasce. Si tratta di un’opera acclamata da subito come capolavoro, ma criticata al contempo per un freddo accademismo, che ora si riscalda e rinasce con l’opera che, fra l’altro, dà il nome alla mostra». Si genera quindi quella che lo stesso curatore definisce una «grande sinfonia», una sorta di mediazione che guida il visitatore durante il percorso e lo aiuta nel proprio personalissimo tentativo di apertura nei confronti di un’arte che siamo abituati a filtrare attraverso i linguaggi occidentali, ma che andrebbe piuttosto messa in dialogo con essi. «Le grandi installazioni esposte in dialogo con i capolavori di Antonio Canova sono opere potenti, che non richiedono solo contemplazione, distacco estetico, analisi formale e dei simboli. Esse coinvolgono di impatto e ci trascinano con forza emozionale, senza retorica, nel mezzo degli eventi, nel crogiolo della storia».
Una memoria attuale in dialogo
Il cuore concettuale della mostra risiede nell’installazione che dà il titolo all’intera esposizione, YOKTUNUZ, “eravate assenti”, in turco. L’opera, dalle dimensioni monumentali di 12 metri di base e 4,5 di altezza, si compone di centinaia di oggetti quotidiani, «tracce di esistenze penultime», raccolti tra le macerie di Diyarbakır, città patrimonio UNESCO teatro del conflitto turco-curdo, e dalle rovine delle abitazioni distrutte dal terremoto del 2023 nella provincia di Hatay. Un invito a non voltarsi dall’altra parte e a intendere la memoria non come fine a sé stessa, ma come resistenza culturale e politica.

Picco di memoria
Particolarmente significativa appare l’installazione Picco di memoria, collocata nel Salone delle Battaglie in dialogo con la Crocifissione di Renato Guttuso. L’opera, che avrebbe dovuto rappresentare una montagna di scarpe di gomma nere – testimoni inequivocabili di un’assenza – evoca tanto l’infanzia dell’artista, quanto le immagini dei minatori scomparsi a Soma, le famiglie in attesa a Roboski, l’esilio degli Yazıdı da Sinjar, il corpo senza vita di Hrant Dink con le scarpe strappate, i resti sepolti dal terremoto diventato disastro umano. «In questa installazione, l’oggetto non è solo un deposito di memoria ma diventa frammento di biografie spezzate, protesi dell’assenza, simboli di un’umanità interrotta. Le scarpe hanno ognuna la loro storia da raccontare e tramandare. Qui il cumulo si trasforma in una montagna di dolore».

Nei giorni immediatamente precedenti all’inaugurazione, l’opera è stata rimossa in seguito alle segnalazioni del personale museale, che lamentava un odore forte e persistente proveniente dai materiali impiegati. La scelta di Güneştekin è stata quella di incontrare questi lavoratori, spiegare loro il significato profondo dell’opera e rimuovere l’installazione. «È il nostro odore, l’odore del dolore, della povertà e della tortura. Questa è la nostra puzza». L’opera è stata pertanto trasformata, mantenendo esposte solo due paia di scarpe, di una mamma e di un bambino, e mettendo in scena quella che l’artista ha definito una «memoria della memoria».

Un linguaggio espressivo polifonico
YOKTUNUZ si configura come un’esperienza museale che trascende la semplice fruizione estetica per diventare un percorso di riflessione critica sulla storia contemporanea e sulle sue narrazioni ufficiali. Il linguaggio polifonico di Güneştekin, che riesce a coniugare rigore formale e impegno sociale, traduce in elemento materico quegli stessi universi sonori dei dengbêj – i narratori tradizionali curdi – in cui si trova immerso fin da bambino; l’artista riesce infatti a trasferire nelle sue opere quella stessa tecnica narrativa basata sulla ripetizione ritmica di suoni e parole, traducendola in un codice visivo di grande intensità emotiva. I cerchi ritornano in molte delle sue opere – Il sole dai sette occhi, La voce dei sette clown, Angeli buffi e Umano, per citarne alcune – quasi fossero portali di significanti aperti sulla memoria. E ancora Le porte secolari si stagliano come «strutture multifunzionali e configurazioni mitiche», trasportando il visitatore in una dimensione quasi sospesa, a metà tra mito e sogno.


I colori sgargianti e i riferimenti mitici riescono a condurre con immediatezza attraverso un vero e proprio viaggio geografico, e sembrano quasi entrare in contrasto con il nero di opere come YOKTUNUZ o Picco di Memoria. In realtà, la visione è unica e costituisce anche il punto di forza della mostra: Güneştekin punta il riflettore, per mezzo delle sue opere, su veri e propri spazi della memoria, universalizzando la memoria e ricongiungendo piccola e grande storia a temi attuali. I libri che compongono Sarcofagi dell’Alfabeto, o ancora i singoli oggetti che fanno parte di YOKTUNUZ – all’apparenza carbonizzati e in netto contrasto con il marmo di Canova – non sono altro che storie quotidiane e personali che si fanno Storia nelle opere dell’artista. La memoria diviene quindi un contenitore di memorie singole, non si appanna alcun confine o appiattisce la singola narrazione, ma il risultato che ne scaturisce è un dialogo assolutamente corale: fra colori e forme, fra le singole storie e la Storia di cui sono specchio, fra di loro con preziosi contrasti e illuminanti punti di congiunzione e, infine, con le opere della GNAMC. Come sottolinea la direttrice, Renata Cristina Mazzantini, «la straordinaria forza espressiva dei lavori di Güneştekin si eleva a potenza nel sapiente confronto con le opere storiche della collezione creando una mostra coinvolgente e di grande impatto».














