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Giovanni Colombo / Matteo Storer – Autobiografie di luoghi
AUTOBIOGRAFIE DI LUOGHI. Il castello ospita la doppia personale di Giovanni Colombo e Matteo Storer, dal titolo evocativo. La mostra è presentata dai testi di Micol Guffanti. L’esposizione presenta più di trenta lavori tra foto, stampe digitali e tecniche miste su tela e legno.
Comunicato stampa
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Così scrive Micol Guffanti:
La memoria dei luoghi e i luoghi della memoria, un chiasmo entro cui si situa la continuità tra le opere dei due artisti in mostra: Giovanni Colombo e Matteo Storer. Le tele e le fotografie, lo spazio naturale e quello urbano si incrociano nel concetto di autobiografia e nelle sue sfaccettature e ambiguità. Autobiografia è innanzitutto graphé, scrittura, segno o tratto fisico: l’opera d’arte è un grafema materiale, certo, ma materiali sono anche i luoghi che divengono la grafia di queste opere. Dunque, questa scrittura è una traccia solida e densa, fisica e materica. Ma è scrittura di un bíos, una vita, un fluire di eventi, storie, passioni e aspettative: fissazione, nella materialità statica della scrittura, di un contenuto fluidamente diveniente, condensazione della storia in un segno, pittorico o fotografico, che immortala lo scorrere dell’esistenza. Ma chi racconta questa vita, questa storia? E di chi è questa storia? Autós: lui stesso. Scrittura della propria vita, narrazione fatta da sé della propria vita: questa è la definizione di autobiografia.
Allora, chi è l’autós in questa mostra? In un gioco di specchi che l’arte ben conosce, luoghi e artista si scambiano di continuo i ruoli. Sono i luoghi stessi a raccontarsi, a prendersi la parola e, si direbbe, a guidare l’obiettivo e il pennello, quasi esprimendo l’urgenza di dirsi, di farsi cogliere e rappresentare, incombenti e ponderosi come le montagne che circondano il Lario. Dicono e raccontano con la loro muta presenza: narrano di ere geologiche, di millenni, ma condensano anche le storie di chi li ha attraversati e vissuti. I luoghi risuonano di tempi lontani, di rumori, odori, eventi che trattengono e trasudano. I luoghi non sono mai solo “spazi”, ma divengono pesanti, densi, infestati di spettri che hanno cose da dire. La rappresentazione, in tal senso, diventa mezzo con cui queste tracce si fanno, da fantasmatiche, percepibili. La memoria dei luoghi, di cui essi sono portatori, in essi compressa, condensata, incastrata è, nell’opera d’arte, portata allo scoperto. I luoghi divengono memorie solide, per questo inaggirabili: l’artista vi inciampa e deve, inesorabilmente, raccontarli.
Tuttavia, ciò che vediamo nelle opere esposte sono anche i luoghi della memoria, che in modi differenti i due artisti mettono in scena: luoghi che incarnano ricordi, pensieri, emozioni; luoghi scelti perché dicono del sé dell’artista che si racconta attraverso di essi, non tanto in una deriva narcisistica, ma suggerendo allo spettatore che è nei luoghi che ogni storia avviene e che ogni luogo può diventare luogo dell’anima, sede di un evento che segna e si segna nel luogo stesso. Le opere raccontano certamente qualcosa delle vite dei due artisti, ma invitano a immaginare storie e vite che trascorrono tra i monti, le rocce, le strade, i boschi e i parcheggi, perché un luogo non è meramente una porzione di spazio, ma diventa luogo se viene indicato da qualcuno che lo nomina e lo identifica, separandolo, come fa Colombo con dei riquadri, dal continuum del cosmo. Un luogo diventa luogo quando diventa parte di una mappa e quindi di una vita, bíos, che in esso si scrive e di esso scrive (graphé). I luoghi sono sempre luoghi per gli uomini, degli uomini, anche quando gli uomini, come nelle opere dei due artisti, sono quasi completamente assenti dalla rappresentazione.
Giovanni Colombo, (Como 1961), diplomato all’Accademia di Belle Arti di Brera. Alla ricerca artistica ha affiancato una lunga attività didattica come docente di discipline pittoriche presso il liceo artistico statale “Fausto Melotti” di Cantù. Pittore e incisore, ha allestito numerose mostre collettive e personali. Il suo ultimo catalogo, “Geometrie dello sguardo”, è stato pubblicato da Cortina Arte Edizioni. (immaginigiocolombo.altervista.org)
Matteo Storer, (Milano 1988) ha studiato Scenografia nel triennio all’Accademia di Brera, ha poi seguito Pittura nel biennio specialistico, concludendo con una tesi sulla Storia della fotografia.
Ha lavorato in una Galleria d’Arte a Parigi, rientrato in Italia ha iniziato a insegnare Arte e immagine in una scuola media a Como, dove è tuttora professore.
La memoria dei luoghi e i luoghi della memoria, un chiasmo entro cui si situa la continuità tra le opere dei due artisti in mostra: Giovanni Colombo e Matteo Storer. Le tele e le fotografie, lo spazio naturale e quello urbano si incrociano nel concetto di autobiografia e nelle sue sfaccettature e ambiguità. Autobiografia è innanzitutto graphé, scrittura, segno o tratto fisico: l’opera d’arte è un grafema materiale, certo, ma materiali sono anche i luoghi che divengono la grafia di queste opere. Dunque, questa scrittura è una traccia solida e densa, fisica e materica. Ma è scrittura di un bíos, una vita, un fluire di eventi, storie, passioni e aspettative: fissazione, nella materialità statica della scrittura, di un contenuto fluidamente diveniente, condensazione della storia in un segno, pittorico o fotografico, che immortala lo scorrere dell’esistenza. Ma chi racconta questa vita, questa storia? E di chi è questa storia? Autós: lui stesso. Scrittura della propria vita, narrazione fatta da sé della propria vita: questa è la definizione di autobiografia.
Allora, chi è l’autós in questa mostra? In un gioco di specchi che l’arte ben conosce, luoghi e artista si scambiano di continuo i ruoli. Sono i luoghi stessi a raccontarsi, a prendersi la parola e, si direbbe, a guidare l’obiettivo e il pennello, quasi esprimendo l’urgenza di dirsi, di farsi cogliere e rappresentare, incombenti e ponderosi come le montagne che circondano il Lario. Dicono e raccontano con la loro muta presenza: narrano di ere geologiche, di millenni, ma condensano anche le storie di chi li ha attraversati e vissuti. I luoghi risuonano di tempi lontani, di rumori, odori, eventi che trattengono e trasudano. I luoghi non sono mai solo “spazi”, ma divengono pesanti, densi, infestati di spettri che hanno cose da dire. La rappresentazione, in tal senso, diventa mezzo con cui queste tracce si fanno, da fantasmatiche, percepibili. La memoria dei luoghi, di cui essi sono portatori, in essi compressa, condensata, incastrata è, nell’opera d’arte, portata allo scoperto. I luoghi divengono memorie solide, per questo inaggirabili: l’artista vi inciampa e deve, inesorabilmente, raccontarli.
Tuttavia, ciò che vediamo nelle opere esposte sono anche i luoghi della memoria, che in modi differenti i due artisti mettono in scena: luoghi che incarnano ricordi, pensieri, emozioni; luoghi scelti perché dicono del sé dell’artista che si racconta attraverso di essi, non tanto in una deriva narcisistica, ma suggerendo allo spettatore che è nei luoghi che ogni storia avviene e che ogni luogo può diventare luogo dell’anima, sede di un evento che segna e si segna nel luogo stesso. Le opere raccontano certamente qualcosa delle vite dei due artisti, ma invitano a immaginare storie e vite che trascorrono tra i monti, le rocce, le strade, i boschi e i parcheggi, perché un luogo non è meramente una porzione di spazio, ma diventa luogo se viene indicato da qualcuno che lo nomina e lo identifica, separandolo, come fa Colombo con dei riquadri, dal continuum del cosmo. Un luogo diventa luogo quando diventa parte di una mappa e quindi di una vita, bíos, che in esso si scrive e di esso scrive (graphé). I luoghi sono sempre luoghi per gli uomini, degli uomini, anche quando gli uomini, come nelle opere dei due artisti, sono quasi completamente assenti dalla rappresentazione.
Giovanni Colombo, (Como 1961), diplomato all’Accademia di Belle Arti di Brera. Alla ricerca artistica ha affiancato una lunga attività didattica come docente di discipline pittoriche presso il liceo artistico statale “Fausto Melotti” di Cantù. Pittore e incisore, ha allestito numerose mostre collettive e personali. Il suo ultimo catalogo, “Geometrie dello sguardo”, è stato pubblicato da Cortina Arte Edizioni. (immaginigiocolombo.altervista.org)
Matteo Storer, (Milano 1988) ha studiato Scenografia nel triennio all’Accademia di Brera, ha poi seguito Pittura nel biennio specialistico, concludendo con una tesi sulla Storia della fotografia.
Ha lavorato in una Galleria d’Arte a Parigi, rientrato in Italia ha iniziato a insegnare Arte e immagine in una scuola media a Como, dove è tuttora professore.
13
settembre 2025
Giovanni Colombo / Matteo Storer – Autobiografie di luoghi
Dal 13 settembre al 31 ottobre 2025
arte contemporanea
Location
CASTEL BARADELLO
Como, Via Castel Baradello, (CO)
Como, Via Castel Baradello, (CO)
Biglietti
Ticket visita guidata standard (acquistabile online o in loco fino a disponibilità):
adulti €10, bambini 6-14 anni €7, fino a 5 anni gratuito, disabili con accompagnatore gratuito.
Sono attive convenzioni con EcoPlanetario di Tradate, Museo della Barca Lariana, Villa Bernasconi, Villa Carlotta e FAI.
Orario di apertura
Vernissage a partire dalle ore 18:00 del 13/09/2025
la mostra sarà visitabile fino al 31/10/2025 secondo i seguenti orari:
Tutte le domeniche e i festivi: apertura dalle 9.30 alle 18.00 (tour guidati ogni ora)
Tutti i sabati: tour serali ore 21.30 da Piazza Camerlata (con prenotazione)
Su richiesta: aperture riservate, con tour personalizzati (scrivere a info@slowlakecomo.com).
Vernissage
13 Settembre 2025, a partire dalle ore 18:00
Sito web
Ufficio stampa
Slow Lake Como / Slow Moon
Autore
Autore testo critico
Progetto grafico
Media partner
Produzione organizzazione
Patrocini










