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Che cosa significa essere una galleria internazionale? Risponde Dirimart
Mercato
Un hub capace di raccogliere artisti turchi e internazionali, per favorire il dialogo critico e lo scambio culturale. Con queste premesse, nel 2002, Hazer Özil fondava Dirimart: la apriva a Istanbul, qualche anno più tardi moltiplicava con un secondo spazio in città, e da allora ha collezionato una bella sfilza di nomi nelle sale della galleria – vedi Ayşe Erkmen, İnci Eviner, Shirin Neshat, ma anche l’artista britannico-americana Sarah Morris e il giapponese Tomokazu Matsuyama. Oltre alla partecipazione a fiere ed eventi in giro per il globo, inclusi Photo London, Frieze, La Biennale di Venezia, Art Cologne, ART SG e The Armory Show. Adesso, la notizia: il 9 settembre, Dirimart debutta con una nuova sede a Mayfair, al numero 23 di Princes Street. Le radici bene impiantate in Turchia, ma le aspirazioni più che mai globali, e sceglie Londra – «è il palcoscenico ideale» – come cassa di risonanza transgeografica e intergenerazionale. Ne abbiamo parlato con Levent Özmen, Senior Director della galleria.
Partiamo dalle origini, la Turchia. Dirimart nasce nel 2002 e per oltre 20 anni stringe il suo legame con il territorio, ma con una vocazione sempre più spiccatamente internazionale. Come siete cambiati, rispetto agli inizi? E che cosa è rimasto uguale?
«Dal 2002, la Turchia ha vissuto un enorme cambiamento sociale ed economico. In questo contesto che richiede grande adattabilità, l’orientamento internazionale di Dirimart, credo, le abbia garantito stabilità e un focus chiaro. Molte crisi e ambiguità hanno spinto il programma della galleria a essere più eclettico, spesso portando a rivisitare gli artisti rappresentati con maggiore frequenza del solito. D’altra parte, fin dalla sua nascita, la galleria ha costantemente perseguito la sua passione per affermarsi come uno spazio di standard internazionali».
In questi due decenni di storia, nel frattempo, come è mutato il sistema dell’arte intorno a voi?
«Il mondo dell’arte in Turchia è sempre stato ricco in termini numerici di artisti che producono attivamente arte. Contribuiscono spesso ai dibattiti su temi contemporanei, e così facendo incoraggiano le prossime generazioni e offrono sfide e opportunità a mercanti d’arte, gallerie, collezionisti e istituzioni. Tra il 2010 e il 2015 il mercato dell’arte in Turchia ha registrato un boom, che tuttavia si è interrotto a causa della mancanza di centri di ricerca e istituzioni. Purtroppo, il numero di musei rimane limitato e l’interesse dei curatori per la scena artistica contemporanea turca è scemato per un certo periodo – indubbiamente influenzato dai cambiamenti nei centri d’arte globali e periferici».

In questo contesto, all’inizio del 2025, avete annunciato la nuova sede nel quartiere di Mayfair. E dire che per molti Londra sembra quasi controcorrente oggi – o perlomeno viene spesso contrapposta a Parigi. Voi perché l’avete scelta?
«Dirimart crede fermamente che la sua forza risieda nel promuovere dialoghi interculturali, geografici e generazionali attraverso le sue mostre e pubblicazioni. Più ampio è il pubblico che raggiungete, più ricchi diventano questi dialoghi. Con questo in mente, abbiamo deciso che Londra è il palcoscenico ideale, dove molti professionisti dell’arte, appassionati, critici e collezionisti hanno sede – e, in ogni caso, è una città che viene visitata da ogni parte del mondo. A Londra, vogliamo mostrare ciò che abbiamo fatto a Istanbul negli ultimi 23 anni attraverso le nostre pubblicazioni, oltre a continuare a creare mostre che diventino punti fermi significativi per gli artisti con cui collaboriamo».
Quindi, che cosa vedremo a Londra, dal 9 settembre?
«La nostra mostra inaugurale è I still Insist di Ayşe Erkmen. Ayşe è un’artista di spicco, le cui opere uniche e straordinarie sorprendono continuamente sia i suoi fan di lunga data che chi le ammira per la prima volta. Fin dall’inizio della nostra collaborazione con Erkmen nel 2016, le nostre mostre con lei hanno riguardato il significato fisico e metaforico di una galleria contemporanea “white cube”. Considerando sia gli aspetti architettonici che quelli sociali, Ayşe Erkmen utilizza la galleria come materiale di lavoro. Che effetto ha uno spazio espositivo sul quartiere in cui si trova? Cosa significa una galleria per un artista, i suoi dipendenti e la scena artistica?».

Domande che risuonano bene con la nuova apertura…
«Esattamente. Questo suo approccio ci ha portato a dar vita a un progetto che si basa e dialoga con la precedente mostra di Erkmen, I insist, tenutasi a Istanbul nel 2022. A Londra, con I still insist, Erkmen ripropone queste domande, ma stavolta le rivolge a Dirimart, che apre il suo primo spazio all’estero. Verrà esposto per la prima volta un nuovo corpus di opere scultoree, accompagnato da opere sonore e video che esplorano i temi dell’artigianato, della gentrificazione e dell’estetica contemporanea».
La programmazione di Londra e quella di Istanbul saranno in qualche modo collegate?
«Continueremo a presentare un programma internazionale a Londra come facciamo a Istanbul. Il nostro programma espositivo comprenderà artisti turchi e non turchi, attualmente poco rappresentati nel panorama artistico londinese. Abbiamo ipotizzato che alcune mostre potessero avere due tappe (una a Istanbul e l’altra a Londra), ma è troppo presto per prevedere come saranno collegati i programmi. Tuttavia, immaginiamo che entrambe le gallerie crescano insieme in modo organico, grazie alla collaborazione dei team di Istanbul e Londra».

Settembre è un mese bello denso per Dirimart: oltre all’apertura londinese avete preso parte la scorsa settimana a Frieze Seoul e a The Armory Show. Continuo sul fronte del “profilo internazionale”: come declinate le vostre selezioni in fiera a seconda delle varie città in giro per il mondo?
«Ci sentiamo fortunati a lavorare con così tanti artisti di talento provenienti da background e generazioni diverse. Durante le visite in studio, discutiamo dei loro progetti futuri, il che ci spinge a valutare attentamente il contesto e la location più adatti per ogni opera. Partecipare a fiere come Frieze Seoul e The Armory Show ci permette di comprendere meglio le dinamiche uniche di ogni città e di adattare le nostre selezioni in modo che siano in sintonia con i diversi pubblici internazionali».
Per concludere, o per iniziare: cosa significa essere una galleria internazionale, nel 2025?
«A mio parere, significa avere un team di persone dedicate a condividere le idee degli artisti oltre ogni confine. Riflettere sulle possibilità di traduzione culturale e su come le opere dello stesso artista risuonino in modo diverso nelle varie parti del mondo: questo riassume la mia idea di cosa rappresenti una galleria internazionale nel 2025».














