28 settembre 2025

La parabola di Giorgio Armani, il Re delle contaminazioni

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Alcune riflessioni sul linguaggio e sugli approcci disegnativi di un personaggio che ha costruito, intorno al design dell’abito, un’immensa architettura estetica, accompagnata da una narrazione mediatica senza precedenti nel fashion system internazionale

Campaign Emporio Armani, ss1984

Dal 1975 a oggi, i riflettori sul lavoro di Giorgio Armani non si sono mai spenti. Anzi, lo sguardo della critica e la perfezione delle sue collezioni hanno decretato un successo inalterabile, costruito su coerenza e rigore, tanto nei risultati visivi quanto nella metodologia. Nel profluvio mediatico, il suo mondo estetico è stato sempre incasellato in alcune formule che da un lato hanno rappresentato, per il suo stile, una chiave di identificazione, ma che dall’altro sono talvolta scaduti nella semplificazione e perfino nei luoghi comuni: la giacca destrutturata, una moda confortevole, i cosiddetti “greige”. Nella civiltà dell’iperconsumo e della semantizzazione diffusa, lo stilista piacentino è comunque riuscito a conquistare, nel fashion system, una riconoscibilità senza precedenti, che altri suoi colleghi del passato e del presente hanno raggiunto solo grazie a pochi temi progettuali, divenuti poi “grandi classici” ma anche dei cliché tipologici. L’esempio più eclatante: la giacca di Chanel in tessuto bouclé.

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Campaign Giorgio Armani fw1984 (modella Antonia Dell’Atte ph. Aldo Fallai)

In occasione della scomparsa di Re Giorgio, avvenuta in una congiuntura temporale davvero suggestiva – cinquant’anni spaccati della fondazione dell’azienda e venti dal lancio della linea di alta moda – ci interroghiamo sui caratteri del suo percorso inventivo, ovvero su un aspetto che la critica della moda non ha mai affrontato in chiave analitica. La sua attività prende avvio a valle di impetuosi cambiamenti sociali e culturali, come il femminismo e il Sessantotto, con la sua loro forte componente antiborghese, e soprattutto dopo le ultime avanguardie nei campi della moda, delle arti visive, del design e della musica, maturate negli anni a cavallo tra i ‘60 e i ‘70.

Dopo quei fenomeni di frattura, l’abito di Armani appare come un fenomeno friendly, sussurrato, pragmatico. Ma egli attiva un’innovazione di tipo diverso, fatta di transfert e di manipolazione dell’esistente. Non ricerca forme astratte e visionarie, ma trascrive e reinterpreta. E talvolta ribalta le iconologie tradizionali. La prima operazione è stata quella di ibridare maschile e femminile, dando vita a un DNA di prodotto e d’immagine rimasto sostanzialmente invariato fino a tutti gli anni ’90. Occorre precisare che il vettore è stato prevalentemente unidirezionale: lo stile della donna ha recuperato il guardaroba dell’uomo, ma raramente è accaduto il contrario, almeno nei primi decenni… mentre quest’ultimo ha assorbito morfemi di ispirazione country, ripensati in chiave metropolitana, con incursioni anche nel workwear e nel mondo militare.

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Giorgio Armani ss1980

Inizia così una ricerca impostata sulle contaminazioni. Dopo quella di genere e di categoria sociale, sopraggiungono altri apparati linguistici, attinti dal passato, costantemente rintracciabili nelle sue creazioni, sia sul fronte dell’abito sia per tutte brand extension dell’azienda (Armani/Casa, hotel, ristorazione, eccetera), che Armani rielabora in sintesi del tutto personali e adatte ai tempi. La prima riguarda la tradizione dell’interior design giapponese, sfondo perfetto per un codice vestimentario dai tratti essenziali. A partire dai primi anni ’80, questo ensemble di linee pulite e di toni naturali informa l’immagine delle sue boutique in tutto il mondo e delle sue case: atmosfere rarefatte, discrete, accoglienti, perfettamente allineate all’identità del prodotto.

Alcuni elementi d’arredo Armani Casa 2021

In tempi successivi, questa sintassi viene integrata da abbondanti riferimenti agli anni ’30, che si riflettono in tempi sfalsati sul fashion (dal decennio ’80) e sul design d’arredo (diversi anni dopo la fondazione di Armani/Casa, datata 1999). Nel primo caso, questo interesse, visibile soprattutto nella linea maschile; nel secondo caso, talvolta strizza l’occhio al Déco, ma la matrice rimane italica, con la severità tipica di quella fase storica. Collezione dopo collezione, la sua sintassi si concede occasionalmente anche ispirazioni etnico-esotiche, come il mondo arabo, l’antica Cina e l’Africa, portate alla sublimazione. Questa ricchezza di citazioni e di relazioni semantiche provenienti dall’esistente ha comunque consentito allo stilista di elaborare un’idea di eleganza urbana dal sapore moderno, senza nostalgie o conservatorismi.

Emporio Armani a Milano

Partendo dall’abito, Giorgio Armani è stato capace di dar vita a una weltanschauung identitaria, ovvero a un’estetica integrale, che ha avvolto il corpo e lo spazio, in base a una precisa ricorsività di elementi grammaticali, di palette cromatiche e di atmosfere, in un bilanciamento tra vecchio e nuovo. Anche sotto questo profilo, una fenomenologia così unitaria non è mai stata raggiunta da alcun altro brand della moda, nemmeno da quelli sulla scena da un secolo. Attraverso la pratica del remix e della traslazione semantica, egli ha anticipato abbondantemente la cultura della contaminazione che plasma tanto design dei nostri giorni, ma ha anche riportato in primo piano il valore della memoria, affiorato costantemente dal mood androgino e tardo-femminista delle origini fino ad Armani Privé, espressione di una femminilità eterea e assoluta.

Un soggiorno delle Moscow Residences by Giorgio Almani
Un dettaglio della casa milanese di Giorgio Armani, in via Borgonuovo

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