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Pace chiude la sede di Hong Kong: un altro segnale del ridimensionamento delle gallerie internazionali
Arte contemporanea
di redazione
Nel 2018 Hong Kong sembra proprio essere la città perfetta per incarnare l’idea di centro asiatico del mercato dell’arte. Ed è proprio nel 2018, appunto, che il gigante internazionale Pace Gallery apre uno spazio espositivo nel complesso di H Queen’s. L’edificio, progettato dall’architetto William Lim, nasceva infatti proprio con lo scopo di diventare un contenitore fisico per gallerie internazionali, tra cui David Zwirner e Hauser & Wirth.
Lo spazio prometteva di consolidare la centralità della città nella scena del collezionismo internazionale. Ora però arriva un segnale in controtendenza: Pace non rinnoverà il contratto di locazione per la sede di H Queen’s e chiuderà lo spazio espositivo a ottobre 2025, dopo la mostra di Alejandro Piñeiro Bello che si concluderà il 18 di questo mese. La galleria ha comunicato che manterrà comunque uffici a Hong Kong e a Pechino, ma senza più una sede dedicata alle mostre.
Una breve storia: da Pedder Building a H Queen’s
L’avventura di Pace a Hong Kong comincia in realtà già nel 2014 con uno spazio espositivo nel Pedder Building, altro simbolo della centralità commerciale e artistica della città. Nel 2018, la galleria si trasferisce a H Queen’s, seguendo un trend condiviso da molti player globali.
Oggi, però, quel modello sembra cominciare a mostrare le sue crepe. Dietro la scelta, pesano i fattori che stanno ridisegnando la geografia del mercato: rallentamento delle vendite, costi di gestione elevati, tensioni politiche e un flusso meno costante di collezionisti dalla Cina continentale.

Non solo Pace: un ridisegno globale
La chiusura della sede hongkonghese di Pace Gallery non appare come un caso isolato ma come parte di una più ampia riconfigurazione del sistema galleristico internazionale. In un mercato che da tempo mostra segni di saturazione tra costi esorbitanti, volatilità collezionistica e l’erosione del pubblico locale, molte gallerie stanno ridimensionando le proprie strutture.
È ad esempio il caso di CLEARING, che ha annunciato la chiusura simultanea degli spazi di New York e Los Angeles, definendo insostenibile il modello espositivo tradizionale basato su una presenza costante nelle capitali del mercato. Allo stesso modo, LA Louver, storica galleria californiana attiva dagli anni Settanta, ha deciso di chiudere il suo spazio di Venice Beach per dedicarsi a un modello più flessibile, fondato su mostre itineranti e private viewing.
Il trend racconta di una stagione di contrazione: l’idea di espansione globale che aveva definito l’ultimo ventennio del mercato dell’arte sta cedendo il passo a un ritorno alla misura. Non si tratta infatti solo un problema di affitti o di lease che scadono, ma di un vero e proprio cambiamento strutturale. Le gallerie devono ripensare cosa significhi “presenza internazionale” in un mondo in cui la visibilità digitale, le aste virtuali, gli uffici di rappresentanza e la partecipazione a fiere possono sostituire —almeno in parte— il modello del grande spazio permanente.















