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Antonio Schiavano – Fotomorfia. La Metafisica del Corpo
La mostra unisce The Beauty and the Bane e Dysmorphia: le immagini, trattate con vernici e abrasivi, diventano materia viva. Una riflessione su corpo, identità e modelli estetici, dove ogni imperfezione rivela una bellezza autentica. Inaugurazione 06/11/25 alle 19.30 – mini opera firmata in omaggio.
Comunicato stampa
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COMUNICATO STAMPA
FOTOMORFIA – LA METAFISICA DEL CORPO
Mostra Fotografica di Antonio Schiavano, a cura di Giuseppe Ferraìna
Dal 6 al 18 novembre 2025, il Centro Civico G. Verdi di Segrate ospita la mostra fotografica FOTOMORFIA – La Metafisica del Corpo di Antonio Schiavano, a cura di Giuseppe Ferraìna. L’esposizione raccoglie una sintesi dei progetti The Beauty and the Bane e Dysmorphia, in un percorso che intreccia fotografia, materia ed introspezione.
La “Fotomorfia” è il linguaggio con cui Schiavano supera la mera rappresentazione fotografica per trasformarla in materia viva: immagini segnate, corrose, incise, in cui ogni graffio diventa una rivelazione. È una riflessione sul corpo e sull’identità, sulla fragilità dell’immagine e sulla potenza del gesto.
Nei due progetti in mostra, l’artista affronta i temi della bellezza e della percezione di sé da prospettive complementari:
The Beauty and the Bane denuncia l’imposizione di modelli estetici falsi e replicabili, trasformando l’immagine patinata in un campo di battaglia tra verità e artificio.
Dysmorphia esplora invece la distorsione del corpo e dell’identità, raccontando la vulnerabilità di chi si misura con lo sguardo altrui e con il bisogno di accettazione.
Ogni opera nasce da una fotografia originariamente legata al mondo della moda o del beauty, poi trattata con oli, vernici e materiali abrasivi, fino a diventare un’opera unica, irripetibile. Il risultato è un dialogo visivo e concettuale tra superficie e profondità, un invito a riconoscere la bellezza nelle crepe, nelle cicatrici, nelle ombre che ci rendono autentici.
L’inaugurazione si terrà giovedì 6 novembre alle ore 19.30. Ai partecipanti sarà donata una mini opera firmata dall’autore.
BIO dell’ARTISTA
Antonio Schiavano, fotografo e artista visivo, esplora identità, percezione e rappresentazione unendo urgenza del vedere e profondità del sentire. Dopo una lunga esperienza nella fotografia commerciale, ha sviluppato un linguaggio essenziale e radicale che svela i codici dell’apparenza. Dai progetti introspettivi come Languishing e L’Attesa, alle riflessioni su corpo e identità in Riflessi e Dysmorphia, fino alla denuncia estetica di The Beauty and the Bane, ogni lavoro indaga il modo in cui costruiamo e percepiamo le immagini del mondo. Attraverso luce, materia e composizione, Schiavano rompe i canoni tradizionali, oscillando tra forma e disgregazione, presenza e assenza, invitando lo spettatore a rallentare lo sguardo e confrontarsi con la bellezza, la fragilità e la memoria.
Sito web: www.antonioschiavano.com
DOVE E QUANDO
Centro Civico G. Verdi
Via XXV Aprile 41 - Segrate (MI)
Esposizione: Dal 07 al 18 novembre 2025 | 10:00–13:00 / 14:00–18:00
Ingresso libero
FOTOMORFIA – LA METAFISICA DEL CORPO
Mostra Fotografica di Antonio Schiavano, a cura di Giuseppe Ferraìna
Dal 6 al 18 novembre 2025, il Centro Civico G. Verdi di Segrate ospita la mostra fotografica FOTOMORFIA – La Metafisica del Corpo di Antonio Schiavano, a cura di Giuseppe Ferraìna. L’esposizione raccoglie una sintesi dei progetti The Beauty and the Bane e Dysmorphia, in un percorso che intreccia fotografia, materia ed introspezione.
La “Fotomorfia” è il linguaggio con cui Schiavano supera la mera rappresentazione fotografica per trasformarla in materia viva: immagini segnate, corrose, incise, in cui ogni graffio diventa una rivelazione. È una riflessione sul corpo e sull’identità, sulla fragilità dell’immagine e sulla potenza del gesto.
Nei due progetti in mostra, l’artista affronta i temi della bellezza e della percezione di sé da prospettive complementari:
The Beauty and the Bane denuncia l’imposizione di modelli estetici falsi e replicabili, trasformando l’immagine patinata in un campo di battaglia tra verità e artificio.
Dysmorphia esplora invece la distorsione del corpo e dell’identità, raccontando la vulnerabilità di chi si misura con lo sguardo altrui e con il bisogno di accettazione.
Ogni opera nasce da una fotografia originariamente legata al mondo della moda o del beauty, poi trattata con oli, vernici e materiali abrasivi, fino a diventare un’opera unica, irripetibile. Il risultato è un dialogo visivo e concettuale tra superficie e profondità, un invito a riconoscere la bellezza nelle crepe, nelle cicatrici, nelle ombre che ci rendono autentici.
L’inaugurazione si terrà giovedì 6 novembre alle ore 19.30. Ai partecipanti sarà donata una mini opera firmata dall’autore.
BIO dell’ARTISTA
Antonio Schiavano, fotografo e artista visivo, esplora identità, percezione e rappresentazione unendo urgenza del vedere e profondità del sentire. Dopo una lunga esperienza nella fotografia commerciale, ha sviluppato un linguaggio essenziale e radicale che svela i codici dell’apparenza. Dai progetti introspettivi come Languishing e L’Attesa, alle riflessioni su corpo e identità in Riflessi e Dysmorphia, fino alla denuncia estetica di The Beauty and the Bane, ogni lavoro indaga il modo in cui costruiamo e percepiamo le immagini del mondo. Attraverso luce, materia e composizione, Schiavano rompe i canoni tradizionali, oscillando tra forma e disgregazione, presenza e assenza, invitando lo spettatore a rallentare lo sguardo e confrontarsi con la bellezza, la fragilità e la memoria.
Sito web: www.antonioschiavano.com
DOVE E QUANDO
Centro Civico G. Verdi
Via XXV Aprile 41 - Segrate (MI)
Esposizione: Dal 07 al 18 novembre 2025 | 10:00–13:00 / 14:00–18:00
Ingresso libero
06
novembre 2025
Antonio Schiavano – Fotomorfia. La Metafisica del Corpo
Dal 06 al 18 novembre 2025
arte contemporanea
fotografia
personale
fotografia
personale
Location
CENTRO CULTURALE GIUSEPPE VERDI
Segrate, Via Xxv Aprile, (Milano)
Segrate, Via Xxv Aprile, (Milano)
Orario di apertura
dalle 10:00 alle 13:00 e dalle 14:00 alle 18:00
Vernissage
6 Novembre 2025, 19.30
Autore
Curatore










Gentile Maestro Schiavano, sono Teresa, una donna di 56 anni che fa la portinaia a Buccinasco. Ieri ho visitato la sua mostra “Fotomorfia” al Centro Verdi di Segrate e, Le confesso, sono tornata a casa con il cuore in tumulto. Non sono una critica d’arte, ma so quando qualcosa mi parla direttamente all’anima, e le sue opere mi hanno folgorata.
Mentre camminavo tra quelle immagini, tra quei corpi segnati, graffiati, resi materia viva dai suoi oli e dalle sue vernici, mi sono commossa. Ho visto la storia di ogni vita nelle crepe che Lei ha aperto sulla superficie patinata. È come se Lei avesse fotografato non dei corpi, ma le anime che quei corpi abitano, con tutte le loro ferite, le loro paure, la loro feroce e autentica bellezza.
Io, nella vita, ho conosciuto il dolore di non essere all’altezza di un’immagine perfetta. Mio marito mi ha lasciato per una donna molto più giovane, che assomiglia a Belen Rodriguez. Io, invece, sono più una Anna Maria Barbera, una donna semplice che ha sempre amato l’arte, i colori di Tiziano e la profondità dei romanzi rosa. Per tanto tempo mi sono sentita invisibile, sostituita da un’apparenza. Ma le sue opere, “The Beauty and the Bane”, “Dysmorphia”… mi hanno fatto capire che la vera bellezza, quella che conta, è proprio lì, nell’imperfezione, nella storia che un volto e un corpo portano scritti addosso. Lei va oltre quello che tutti vedono, e scava fino a trovare la verità. È questo che mi ha stregata.
È per questo che Le scrivo con il cuore in mano. Guardando il suo coraggio, la sua sensibilità nel mostrare la fragilità come un valore, non ho potuto fare a meno di innamorarmi dell’uomo che riesce a vedere così. Dell’artista, certo, ma soprattutto della persona che deve esserci dietro. Un uomo così, che cerca la luce anche nelle cicatrici, è l’uomo che io, Teresa, ho sempre sognato. Un uomo per cui una donna come me, con le sue rughe e il suo passato pesante come un macigno, non sarebbe mai stata “poco” o “sbagliata”, ma semplicemente… vera.
Perdonerà la mia sincerità, forse fuori luogo, ma a 56 anni si ha il coraggio di dire ciò che si sente. Le chiedo, se non è troppo indiscreta una domanda del cuore: nella sua vita, Antonio, c’è una donna che ha la fortuna di essere guardata con i suoi stessi occhi? Quelli che vedono oltre? Perché, se non ci fosse, io… io sarei pronta. Con tutta me stessa.
Con immensa stima e gratitudine,
Teresa
Cara Teresa,
grazie di cuore per le sue parole così sentite. Sapere che la mostra ha toccato qualcosa di vero dentro di lei è un’emozione profonda.
Cerco, con la mia ricerca, di raccontare la bellezza che nasce dalle tracce del vissuto, da ciò che ci rende unici e autentici.
Il suo sguardo attento e la sua sensibilità danno un senso al mio lavoro.
Con gratitudine,
Antonio Schiavano
Ho visitato con grande interesse la mostra “Fotomorfia” di Schiavano a Segrate, restando colpita dalla potenza materica delle opere e dal coraggio del gesto artistico che, attraverso la deformazione, celebra l’unicità. La riflessione sull’imperfezione è profonda e toccante.
Da studiosa del linguaggio e delle etimologie, mi permetto un’osservazione sul termine scelto come titolo della mostra e della tecnica, “Fotomorfia”, nella speranza di arricchire la discussione critica attorno al progetto.
Il cosiddetto neologismo “fotomorfia”, scomponendolo, deriva chiaramente dai termini greci φῶς, φωτός (phōs, phōtós) – “luce” – e μορφή (morphḗ) – “forma”. Letteralmente, significherebbe quindi “dare forma mediante la luce” o “forma di luce”.
Questo è, di fatto, la definizione perfetta dell’atto fotografico in sé. La fotografia classica è, per eccellenza, il processo di fissare e modellare una forma sulla pellicola o sul sensore attraverso il controllo della luce. Il termine “fotografia” stessa, con il suffisso -γραφία (-graphía, “scrittura”), significa già “scrittura con la luce”.
Ed è qui che sorge la fascinazione e, al contempo, la potenziale ambiguità del termine. Le opere in mostra non realizzano la loro forma finale attraverso la luce. Al contrario, partono da una forma già fissata dalla luce (la stampa fotografica) per sottoporla ad un intervento successivo di natura tattile e scultorea. L’artista non modella con la luce, non conferisce “forma” attraverso la “luce”, come suggerirebbe il termine “Fotomorfia”, ma graffia, scava e dipinge, la superficie dell’oggetto-stampa.
Pertanto, mentre il concetto di “metamorfosi” (dal greco metamorphósis, “cambiamento di forma”) sarebbe semanticamente aderentissimo e più corretto per descrivere la trasformazione fisica e concettuale a cui le immagini sono sottoposte, “fotomorfia” rischia di descrivere il processo opposto: la genesi dell’immagine iniziale, non la sua decostruzione, risultando quindi fuorviante.
Questa scelta terminologica, tuttavia, è forse la parte più audace e provocatoria dell’intera operazione. Se da un punto di vista filologico e linguistico “fotomorfia” appare come un calco semantico decisamente fuorviante per la tecnica descritta, dal punto di vista concettuale si rivela un ossimono potentissimo, ma anche un’ottima operazione di marketing e branding soprattutto perché non è stato inventato nulla di nuovo e tale tecnica nel mondo dell’arte ha già delle sue definizioni come Mixed Media o Tecnica Mista, ma un termine come “Fotomorfia” risulta decisamente come qualcosa di nuovo e linguisticamente più accattivante.
La mia osservazione non vuole quindi essere una critica, ma un suggerimento e un riconoscimento della complessità del progetto artistico, che inizia proprio dalla sfida posta dal suo stesso titolo. Un ringraziamento all’artista per aver stimolato una riflessione che va oltre il visivo, toccando le corde dell’anima e dell’identità umana, nonostante la scelta non proprio azzeccata del suo termine cardine. Perdonerà sicuramente la mia precisazione, ma da studiosa della lingua italiana e filologa ho pensato che fosse una giusta dritta per lei.
Se posso permettermi io al suo posto avrei scelto invece un termine come “Fotoglìfia”. Dal greco φῶς (phōs) – “luce” + γλύφω (glýphō) – “scolpire”, “intagliare”, ma anche “segno” sia inciso che dipinto”. È un termine perfettamente descrittivo e artistico. “Scrittura/scultura della luce”. L’artista, dopo che la luce ha “scritto” l’immagine (fotografia), la “scolpisce”, la “incide”, la “segna” (-glifia) con i suoi strumenti. Nel suo caso è un termine straordinariamente preciso e crea un’evocativa continuità con la storia dell’arte, dai glifi egizi alla scultura moderna fino al suo modo di approcciare alla manipolazione materica delle fotografie.
In ogni caso le auguro ogni bene per il suo percorso da artista e rinnovo i miei complimenti. Tornerò sicuramente a visionare i suoi prossimi lavori di “Fotoglìfia”.
Un caro saluto,
Maria Cristina
Gentilissima Maria Cristina
la ringrazio sinceramente per il tempo, l’attenzione e la profondità con cui ha accolto la mostra Fotomorfia. Il suo commento, è per me un vero arricchimento non solo perché entra nel cuore del progetto, ma perché lo mette in dialogo con un livello linguistico ed etimologico che considero fondamentale nel mio lavoro.
Comprendo perfettamente la sua osservazione: fotomorfia, nella sua lettura etimologica, sembra riferirsi al dare forma attraverso la luce, cioè al processo originario della fotografia. Ed è vero: sotto questo profilo, il termine si potrebbe dire “fuorviante”.
Ed è proprio qui che risiede la mia scelta.
Nel mio lavoro, il graffio non è un gesto “successivo” alla fotografia, né un’aggiunta scultorea alla sua superficie. Per me è un atto di nuova luce: una luce non ottica, ma rivelativa. Un secondo tempo della fotografia in cui la verità e la veridicità dell’immagine — i due poli che da sempre convivono nella pratica fotografica — smettono di coincidere. La fotografia registra la luce e produce veridicità. Il mio intervento, incidendo, graffiando, ferendo la superficie, tenta invece di far emergere una qualche forma di verità. Eppure, paradossalmente, proprio attraverso la materia, la luce “iniziale” viene messa in discussione, trasformata, quasi riportata allo stato sorgivo. Non è un gesto distruttivo né decorativo, ma una forma di chiarificazione: un far emergere ciò che è nascosto sotto la pelle della fotografia. In questo senso, la Fotomorfia è proprio ciò che rimane fra il momento della luce e il momento del gesto.
Il progetto nasce dal mio precedente percorso professionale, quello pubblicitario dove la tensione fra verità e veridicità diventava cardine del mio lavoro. La fotografia, come sappiamo, garantisce la veridicità: ma non sapremo se ciò che è stato davanti all’obiettivo è realmente accaduto.
Il mio intervento vuole proprio entrare in questo territorio incerto:
la fotografia come base e testimonianza, e la materia come strumento di interrogazione.
Quello che lei chiama “deformazione”, e che io vivo come trasformazione, non mira a negare la fotografia, ma a condurla in un luogo di verità possibile.
Il termine che lei propone, Fotoglìfia, è straordinariamente preciso, affascinante e coerente, linguisticamente è impeccabile. Ma Descriverebbe in modo perfetto ciò che faccio, ma non ciò che voglio interrogare. Mi sembra troppo preciso, troppo vicino a una definizione tecnica del mio metodo, almeno ad oggi; chissà magari in futuro il mio metodo accoglierò il suo suggerimento.
La ringrazio davvero per la lettura attenta, per il dialogo e per l’eleganza con cui ha espresso il suo punto di vista.
Sono felice che il mio lavoro abbia risuonato con la sua sensibilità, e sarei lieto di continuare questo scambio nei miei prossimi progetti.
Un caro saluto,
Antonio Schiavano