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L’arte è un lavoro ma quanto (e come) paga? Il welfare culturale nel mondo
Attualità
di Paola Pulvirenti e Zaira Carrer
Il recente Basic Income for the Arts avviato in Irlanda, che prevede per oltre duemila artisti un contributo mensile di circa 1300 euro, ha riacceso il dibattito sul valore economico del lavoro culturale e sulla necessità di politiche strutturali di sostegno. L’esperimento irlandese, però, non scaturisce dal nulla. In Europa, così come al di fuori di essa, esistono da decenni modelli di welfare culturale che tentano, in modi diversi, di riconoscere l’arte come professione e come bene pubblico.
Dalla intermittence du spectacle francese agli stipendi artistici norvegesi, fino ai sistemi contributivi tedeschi e alle borse competitive del Nord Europa, la mappa del sostegno alla creatività rivela tanto le priorità dei governi quanto la loro visione del ruolo sociale dell’artista.
Comunque emerge un dato in modo abbastanza chiaro: il lavoro artistico rimane sistemicamente fragile. La domanda di fondo non è solo economica ma ideologica: l’arte deve essere sostenuta come servizio pubblico o premiata come eccellenza individuale? I vari Paesi rispondono in modo diverso a tale quesito, con programmi che meglio si sposano – o provano a farlo – con le proprie esigenze e priorità.
Francia, l’artista professionista
Partiamo dalla Francia per comprendere le varie sfaccettature di come le istituzioni pubbliche possano sostenere chi, per lavoro, crea. In Francia l’artista è, prima di tutto, un professionista, come dimostrato dal sistema URSSAF Artistes-Auteurs, che ha riunito la Maison des Artistes e l’Agessa – le due associazioni nazionali di previdenza sociale e fiscale per gli artisti e gli autori – garantendo copertura sanitaria, previdenziale e diritto alla pensione con contributi ridotti.
Accanto a questo meccanismo esiste l’intermittence du spectacle, un sistema unico in Europa introdotto già negli anni Trenta e pensato per chi lavora nello spettacolo dal vivo e nel cinema con contratti discontinui. Gli artisti e tecnici che raggiungono una soglia minima di ore lavorative annuali (attualmente 507 in dodici mesi) accedono a un’indennità di disoccupazione specifica, che copre i periodi tra un ingaggio e l’altro.
È un meccanismo burocraticamente complesso ma fondato su un principio chiaro: la creazione è un mestiere, non un privilegio e lo Stato francese riconosce così la figura dell’artista come parte integrante dell’economia.

Germania, un sistema selettivo
Anche in Germania viene adottato un modello simile:lo Stato tedesco copre infatti circa la metà dei contributi sanitari e pensionistici di chi lavora nel campo delle arti visive, performative e letterarie, con l’altra metà del contributo a carico dell’artista. Si chiama Künstlersozialkasse (KSK) e l’accesso è regolato da criteri precisi: occorre dimostrare un reddito minimo e un’attività continuativa.
È senza dubbio un sistema efficiente ma, al tempo stesso, molto selettivo: molti artisti interdisciplinari o precari ne restano infatti esclusi. Tuttavia, la percezione pubblica è chiara: l’artista tedesco è un lavoratore indipendente, parte di un ecosistema culturale riconosciuto e sostenuto.
Paesi Bassi, il modello dell’imprenditore
Dal 1993, a seguito del Cultural Policy Act, il governo olandese si impegna formalmente a garantire un contributo finanziario a una vasta gamma di istituzioni e programmi culturali. Tra il 1998 e il 2002, l’imprenditorialità culturale entra nell’agenda politica e, dopo i tagli ai finanziamenti pubblici, diventa criterio per l’accesso ai fondi. Negli anni Duemila, in ogni caso, il Wet werk en inkomen kunstenaars – WW&IK dava agli artisti la possibilità di integrare il proprio reddito per quattro anni (al massimo), se si trovavano in difficoltà finanziarie. Il programma è stato abolito ormai più di un decennio fa, segnando la fine di un’epoca in cui l’arte era trattata come una forma di lavoro socialmente utile.
Oggi, il sistema olandese si basa su grant competitivi, distribuiti da fondazioni pubbliche come il Mondriaan Fonds o il Fonds Podiumkunsten. Si tratta di finanziamenti mirati a progetti, ricerca o sviluppo di carriera, e rappresentano un modello diffuso anche in altri Paesi europei: il sostegno va dunque all’artista come imprenditore culturale, più che come lavoratore tutelato. Si tratta del modello oggi prevalente nell’Unione Europea, ma rischia di escludere chi non ha già visibilità o capitale simbolico per competere.
Scozia, la sperimentazione sull’impatto sociale
Molto interessante è poi il caso della Scozia, che ha recentemente sperimentato, con un gruppo di artisti ristretto e pre-selezionato, il cosiddetto Basic Income for Artists Pilot (2022–2024): un reddito mensile garantito e indipendente dalla produzione di opere o risultati misurabili. Seppur limitato nel numero di partecipanti, il progetto ha spostato il discorso pubblico dal valore economico dell’artista all’impatto sociale e culturale che egli genera.
Corea del Sud, la competizione crea instabilità
Spostandoci poi per più di ottomila chilometri verso Est, approdiamo in Corea del Sud, dove il sostegno agli artisti si unisce all’innovazione tecnologica. Qui, l’Arts Council Korea – ARKO e la Seoul Foundation for Arts and Culture finanziano residenze, progetti e bandi competitivi, mentre l’agenzia governativa KOCCA promuove la convergenza tra arte, media e industria creativa.
L’artista è dunque percepito come un motore di sviluppo ma è doveroso sottolineare che la struttura del sistema — basata su finanziamenti temporanei e competitivi — genera una certa instabilità: il riconoscimento simbolico non coincide infatti con una reale sicurezza economica e la situazione può rivelarsi precaria per molti.

Paesi nordici: Norvegia e Finlandia, i sistemi più strutturati
Nel Nord Europa, la tradizione di sostegno pubblico alla cultura si esprime negli strumenti più strutturati e continuativi del Continente.
Da decenni, la Norvegia offre ai propri artisti stipendi pubblici annuali o pluriennali, veri e propri redditi statali per la ricerca artistica, non legati a progetti specifici. Questi fondi, assegnati da commissioni indipendenti ma finanziati dal Ministero della Cultura, incarnano un’idea chiara: l’arte è un lavoro di interesse collettivo e va sostenuta con la stessa dignità di una funzione pubblica. Kulturrådet – Arts Council distribuisce anche fondi per progetti, organizzazioni, produzioni, festival e altre iniziative. Molti artisti ricorrono, comunque, a sistemi di entrate miste.
La provenienza dei fondi è principalmente divisa in due parti: una deriva dal budget centrale dello Stato ed è distribuita tramite il ministero, mentre una larga percentuale deriva invece da una tassa particolare, in quanto il 5% dell’IVA da qualsiasi transazione interna all’arte viene posta in una cassa a sostegno della creazione contemporanea. Inoltre, l’1% dei fondi spesi per l’edilizia pubblica viene usato per interventi di arte pubblica nella zona del progetto commissionato.
I criteri di assegnazione dei grant sono pensati per rispecchiare la qualità dell’opera e della ricerca degli artisti ma tiene conto anche delle mostre svolte durante l’anno precedente. La giuria che assegna i contributi è composta da delegati dei vari sindacati, artisti esperti e personale selezionato dal ministero. Kulturrådet include anche una giuria popolare di persone al di fuori del mondo dell’arte, in modo da dare una voce al consenso generale del potenziale pubblico nazionale. Infine, la maggior parte degli artisti, in Norvegia, usa il proprio schema fiscale chiamato “Næringsoppgave for Billedkunstnere”, ossia “schema economico per gli artisti”.
In Finlandia, il sistema è molto simile: l’Arts Promotion Centre Finland – Taike assegna borse e sussidi mensili, da sei mesi a cinque anni, a chi dimostra continuità e qualità nella propria pratica. È un sistema meritocratico ma radicato in un’idea di cittadinanza culturale: sostenere un artista equivale a sostenere la salute democratica del Paese. L’artista finlandese – come quello norvegese – non è perciò visto come un precario da salvare ma un cittadino da responsabilizzare.
La formula dei finanziamenti competitivi
Anche al di fuori dei casi citati, diversi Paesi stanno esplorando nuove modalità di sostegno economico e istituzionale agli artisti. In Austria e Svizzera, per esempio, il supporto arriva soprattutto attraverso borse di ricerca, residenze retribuite e premi periodici, che di fatto garantiscono un reddito temporaneo. Città come Vienna e Zurigo hanno strutturato nel tempo programmi pubblici che finanziano non solo progetti ma anche il mantenimento della pratica artistica.
In Svezia, l’Arts Grants Committee – Konstnärsnämnden assegna da decenni sovvenzioni statali di varia durata per artisti, con importi e tassazione differenti a seconda della durata del finanziamento. Si tratta di un modello meno conosciuto ma fra i più stabili d’Europa, che combina finanziamenti a lungo termine e grant specifici per discipline.
Nel Regno Unito, pur senza un reddito garantito, enti come Arts Council England gestiscono fondi pubblici competitivi che includono forme di sostegno alla professionalizzazione, dalle spese di studio agli investimenti in ricerca e sviluppo artistico.
Fuori dall’Europa, anche Canada, Australia e Nuova Zelanda mantengono tradizioni consolidate di grant pubblici strutturali, spesso concepiti come parte integrante della politica culturale nazionale. In Quebec, per esempio, il Conseil des arts et des lettres offre programmi ricorrenti di sostegno al reddito per artisti in attività, mentre l’Australia, pur tra tagli e controversie, ha introdotto negli ultimi anni schemi di supporto attraverso programmi governativi, come Artbank, che acquista opere da artisti australiani per sostenere le arti visive.















Un sbagliato,
il BIA é era in Irlanda non esiste nella Scozia!!