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Vuoti abitati
Vuoti abitati esplora il vuoto come spazio sempre abitato da tracce e gesti quotidiani. Le opere di sei artisti mostrano assenze che diventano presenza potenziale, trasformando interni, oggetti e paesaggi in frammenti di un paesaggio interiore che invita a osservare e riflettere.
Comunicato stampa
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Vivere è passare da uno spazio all’altro cercando di non farsi male. (Georges Perec)
Vuoti abitati nasce da una domanda che attraversa il pensiero dell’autore Georges Perec in Specie di spazi: come descrivere uno spazio senza dimenticare che lo spazio è sempre abitato, anche quando appare vuoto?
Una stanza disabitata non è puro volume, ma un deposito di gesti, passaggi di corpi, abitudini sedimentate. Anche quando sembra privo di eventi, uno spazio custodisce silenziosamente presenze minime, tracce, vibrazioni. Per Perec, il compito della scrittura è far emergere questa densità nascosta: Ciò che accade ogni giorno e ritorna, il banale, l’ovvio, l’usuale, il comune, l’ordinario, l’infra-ordinario, il rumore di fondo, l’abituale.
Di questa forza emersiva sono capaci le opere in mostra in Vuoti abitati: sei artisti che attraverso diversi linguaggi affrontano il vuoto non come mancanza, ma come condizione di relazione. Oggetti, paesaggi naturali, cieli notturni e interni di appartamenti appaiono come in attesa di una presenza che li completi e la loro intensità si manifesta nell’apertura che offrono allo sguardo dell’osservatore. L’assenza diventa possibilità di dialogo. L’artista dispone lo spazio e ne trattiene le sonorità, l’osservatore vi proietta i propri interrogativi. Ogni lavoro in mostra è infatti un frammento di un paesaggio interiore, in cui qualcosa è sparito, ma l’eco resta e invita a sostare, a misurarsi con l’invisibile. Un maglione, un albero, un pianoforte, delle schegge di piatti rotti sono ritratti di quell’assenza che si svela grazie al gesto artistico.
Dalla storica pittura di Giacomo Balla, che ha guidato la costruzione della mostra, ai video di Susanne Kutter, che rappresentano il momento in cui l’ordine si incrina e si apre una frattura, ai fantasmi domestici di Alexandra Barth, l’osservatore è invitato a ripercorre il suo vissuto per leggere i lavori. Così, in Non siamo mai soli di Luca Vitone lo spazio si materializza in una trama di presenze invisibili, dove voci, odori e memorie fanno emergere le dimensioni più silenziose dell’abitare. Così anche nei lavori di Alain Urrutia, dove i soggetti affiorano da superfici oscure e l’osservarli si trasforma in un atto di ricostruzione. Storie collettive e individuali che si intrecciano con il territorio, come sulle vette delle montagne innevate e apparentemente inaccessibili dell’artista kazako Yerbossyn Meldibekov, che svelano le tracce degli esploratori che le hanno scalate, dei contemplatori che le hanno raccontate, dei politici che le hanno utilizzate per tracciare un confine, nominate e rinominate per celebrare un evento, un periodo storico, un presunto eroe.
Vuoti abitati nasce da una domanda che attraversa il pensiero dell’autore Georges Perec in Specie di spazi: come descrivere uno spazio senza dimenticare che lo spazio è sempre abitato, anche quando appare vuoto?
Una stanza disabitata non è puro volume, ma un deposito di gesti, passaggi di corpi, abitudini sedimentate. Anche quando sembra privo di eventi, uno spazio custodisce silenziosamente presenze minime, tracce, vibrazioni. Per Perec, il compito della scrittura è far emergere questa densità nascosta: Ciò che accade ogni giorno e ritorna, il banale, l’ovvio, l’usuale, il comune, l’ordinario, l’infra-ordinario, il rumore di fondo, l’abituale.
Di questa forza emersiva sono capaci le opere in mostra in Vuoti abitati: sei artisti che attraverso diversi linguaggi affrontano il vuoto non come mancanza, ma come condizione di relazione. Oggetti, paesaggi naturali, cieli notturni e interni di appartamenti appaiono come in attesa di una presenza che li completi e la loro intensità si manifesta nell’apertura che offrono allo sguardo dell’osservatore. L’assenza diventa possibilità di dialogo. L’artista dispone lo spazio e ne trattiene le sonorità, l’osservatore vi proietta i propri interrogativi. Ogni lavoro in mostra è infatti un frammento di un paesaggio interiore, in cui qualcosa è sparito, ma l’eco resta e invita a sostare, a misurarsi con l’invisibile. Un maglione, un albero, un pianoforte, delle schegge di piatti rotti sono ritratti di quell’assenza che si svela grazie al gesto artistico.
Dalla storica pittura di Giacomo Balla, che ha guidato la costruzione della mostra, ai video di Susanne Kutter, che rappresentano il momento in cui l’ordine si incrina e si apre una frattura, ai fantasmi domestici di Alexandra Barth, l’osservatore è invitato a ripercorre il suo vissuto per leggere i lavori. Così, in Non siamo mai soli di Luca Vitone lo spazio si materializza in una trama di presenze invisibili, dove voci, odori e memorie fanno emergere le dimensioni più silenziose dell’abitare. Così anche nei lavori di Alain Urrutia, dove i soggetti affiorano da superfici oscure e l’osservarli si trasforma in un atto di ricostruzione. Storie collettive e individuali che si intrecciano con il territorio, come sulle vette delle montagne innevate e apparentemente inaccessibili dell’artista kazako Yerbossyn Meldibekov, che svelano le tracce degli esploratori che le hanno scalate, dei contemplatori che le hanno raccontate, dei politici che le hanno utilizzate per tracciare un confine, nominate e rinominate per celebrare un evento, un periodo storico, un presunto eroe.
04
dicembre 2025
Vuoti abitati
Dal 04 dicembre 2025 al 13 febbraio 2026
arte contemporanea
Location
MAAB GALLERY – VIA NERINO
Milano, Via Nerino, 3, (Milano)
Milano, Via Nerino, 3, (Milano)
Orario di apertura
da lunedì a venerdì ore 10.30-18
Vernissage
4 Dicembre 2025, ore 18
Sito web
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