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Francesco Sacco – Biodiversità Ritratta: un bacarozzo chiamato bacarozzo
La storia della scoperta di Akis bacarozzo – raccolto a Roma nel 1781 vicino al Colosseo – diventa occasione di riflessione sul nostro rapporto con la biodiversità attualizzato con l’esposizione di macrofotografie ad alta definizione e la presenza in vetrina di una piccola comunità di bacarozzi vivi
Comunicato stampa
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In questa esposizione estesa, immaginata per l’Umanità a più dimensioni posta da Mesia Space nel suo ultimo progetto, si rappresentano - per tratti allegorici - alcuni aspetti distintivi della nostra specie. In particolare, nell’ambito della cultura delle società europee in trasformazione nell’epoca dell’illuminismo, le apparenti antinomie Natura/Cultura, Arte/Scienza.
A partire da un atto di nomenclatura zoologica pubblicato verso la fine del 1700, con la descrizione di una specie di insetto fino a quel tempo sconosciuto alla scienza; un Coleottero Tenebrionide Pimeliino, che nell’ambito degli attuali studi zoologici viene indicato come Akis bacarozzo (Schrank, 1786: 22) sub Carabus bacarozzo.
Secondo le ricostruzioni indiziarie esposte in: Sacco F. 2025. Un bacarozzo chiamato bacarozzo: Akis bacarozzo (Schrank, 1786) (Coleoptera, Tenebrionidae, Pimeliini). Boll. Ass. Romana di Entomologia. N.S. 5 (1-4) (2025) - lavoro costitutivo di questa esposizione - la nuova specie fu raccolta a Roma nel 1781 nei pressi del Colosseo da un cattolico barone tedesco di Palatinato-Baviera.
Il singolare nome scientifico scelto dal descrittore (Schrank 1786) dell’esemplare di A. bacarozzo evoca, almeno ai romani, uno dei secolari problemi di forzata quanto rassegnata convivenza tra cittadini e natura. Il nome specifico dell’insetto, derivato dall’espressione dialettale “bacarozzo”, è ancora oggi comunemente usato per indicare genericamente un insetto nero o scuro di vari Ordini: Coleotteri, Blatte, persino Crostacei terrestri, etc. Inoltre, in senso figurato sempre a Roma, venivano così chiamati, bacarozzi, anche i preti per via della loro tonaca nera. Per ironia della vita tale fu il suo descrittore, Franz Paula von Schrank (1747 – 1835), un prete Gesuita, botanico ed entomologo tedesco di Baviera, dalla veste nera.
L’inventariazione scientifica degli esseri viventi per mezzo della tassonomia e della sistematica intese come discipline, è alla base di ogni considerazione dell’uomo sul mondo naturale, e sull’essenza della sua stessa specie. L’inizio della Nomenclatura zoologica ha per convenzione la data del 1° gennaio 1758, anno di pubblicazione dell’edizione. 10a del Systema Naturae che il botanico Carlo Linneo pubblicò in 2 volumi ad Holmia (Stoccolma). L’umanità è qui classificata come specie sotto Animalia, Mammalia, Primates, col binomio Homo sapiens.
Oggi sappiamo che i sapiens (Linnaeus 1758: 20) sono una specie pervasiva che nell’arco degli ultimi 80.000 anni si è diffusa su tutta la terra e dalla sua comparsa africana, circa 200.000 anni fa, ha occupato con la sua presenza -diretta o indiretta- quasi tutti gli ecosistemi della biosfera. Per la sua stessa sopravvivenza come specie ha dovuto risolvere, come ogni altra specie e come ogni altro singolo individuo vivente del Biota, problemi legati al suo rapporto col mondo fisico-chimico circostante e con gli altri viventi con cui era o veniva a mano a mano in contatto; con essi instaurando quel rapporto di coesistenza naturale che noi stessi cerchiamo di disvelare con la disciplina che abbiamo chiamato Ecologia, attraverso quel particolare procedimento di conoscenza e interpretazione del mondo fisico che è il metodo scientifico.
Così, là dove scende il fiume che ha scavato il suo letto tra i sedimenti stratificati di pozzolane, tufi e basalti, creati nel corso di centinaia di migliaia di anni dalle eruzioni esplosive del Vulcano laziale e dalle colate di fango tracimate dai laghi dei suoi crateri, formando, per l’erosione di quei stratificati sedimenti da parte delle intemperie e delle sue brevi acque marane affluenti, una bella terra e varia di valli e colline, si è instaurata una millenaria, tacita convivenza tra Akis bacarozzo e Homo sapiens, due specie inconsapevolmente legate da un rapporto ecologico discreto e invisibile.
La convivenza con questo coleottero tenebrionide è stata certamente assai discontinua nei tempi per noi impercepibilmente lunghi della nostra preistoria, dovuta a immani cambiamenti climatici e sconvolgimenti geologici anche molto recenti. La distribuzione di questa specie, la cui origine evolutiva si perde nel più recente tempo profondo, è nel mondo limitata al Mediterraneo occidentale, con un areale che comprende la Francia meridionale, le Isole Baleari, la Corsica, la Sardegna, l'Arcipelago Toscano e l'Italia centrale (Toscana, Lazio, Abruzzo e Umbria). A Roma è stata segnalata in varie zone della città, quasi sempre legata a siti ruderali anche fortemente antropizzati.
Ci piace immaginare questi neri bacarozzi Pimeliini razzolare con circospezione in cerca di cibo tra gli insediamenti dei nostri assai prossimi sibling neandertal -primi romani- che 250.000 anni fa da Saccopastore e dalla Sedia del Diavolo, lungo il corso dell’antico Aniene, assistettero alla imponente colata lavica di Capo di Bove a Cecilia Metella. E dopo millenni e millenni i discendenti di quei bacarozzo nella stessa valle del Tevere prossima alla foce tra i nostri progenitori umani moderni -più genti diverse migranti- che sempre lì si insediarono a partire da alcune migliaia di anni fa della nostra passata, più recente preistoria. Fino ai nostri giorni insediati tra i ruderi della città antica.
Quella stessa che fu la città di adozione di Gaio Plinio Secondo il quale, comandante della flotta navale romana di stanza a Capo Miseno, trovò la morte nel soccorrere i cittadini in fuga durante l'eruzione del Vesuvio del 79 d.C. Solo un anno prima di quella storica catastrofe ambientale Plinio, uno dei massimi autori di formazione della cultura occidentale e primo enciclopedista, la cui profonda curiosità per le cose naturali e dell’uomo non fu certamente estranea alle cause della sua morte, nel libro XI della sua Historia Naturalis scriveva:
“Ma noi ci meravigliamo degli elefanti che sorreggono le torrette da guerra, delle spalle e del collo dei tori e della ferocia della loro carica, della predazione delle tigri, della criniera dei leoni, quando invece la natura delle cose non è mai più grandiosa che in quelle più piccole.”
Plinio prosegue poi con una esortazione, la pongo in epigrafe alla mostra per il suo valore universale:
“Chiedo quindi ai lettori che hanno repulsione per molti di questi esseri e disapprovano con fastidio anche le cose di cui sto parlando di considerare che nella natura nulla può essere visto come non necessario.”
Francesco Sacco
Franceco Sacco è nato a Roma nel 1946, architetto presso l’Istituto Centrale del Restauro, organo centrale del Ministero della cultura, per più di 30 anni a diretto contatto con insigni opere d’arte, si è occupato di Problemi di Conservazione del patrimonio storico-artistico, archeologico, monumentale.
A 15 anni ha iniziato a raccogliere e collezionare insetti. Cura una collezione specialistica di Coleotteri Apionidae di circa 20.000 esemplari e di altre varie specie di insetti che continua a raccogliere per scopi divulgativi e didattici.
Tra scienza e arte, da qualche anno fotografa minuscoli insetti conservati nelle collezioni di musei e private con particolare riguardo ai Typi, gli esemplari originali sui quali sono state descritte le specie. Le sue fotografie sono state esposte in alcune mostre e utilizzate in numerosi lavori scientifici.
A partire da un atto di nomenclatura zoologica pubblicato verso la fine del 1700, con la descrizione di una specie di insetto fino a quel tempo sconosciuto alla scienza; un Coleottero Tenebrionide Pimeliino, che nell’ambito degli attuali studi zoologici viene indicato come Akis bacarozzo (Schrank, 1786: 22) sub Carabus bacarozzo.
Secondo le ricostruzioni indiziarie esposte in: Sacco F. 2025. Un bacarozzo chiamato bacarozzo: Akis bacarozzo (Schrank, 1786) (Coleoptera, Tenebrionidae, Pimeliini). Boll. Ass. Romana di Entomologia. N.S. 5 (1-4) (2025) - lavoro costitutivo di questa esposizione - la nuova specie fu raccolta a Roma nel 1781 nei pressi del Colosseo da un cattolico barone tedesco di Palatinato-Baviera.
Il singolare nome scientifico scelto dal descrittore (Schrank 1786) dell’esemplare di A. bacarozzo evoca, almeno ai romani, uno dei secolari problemi di forzata quanto rassegnata convivenza tra cittadini e natura. Il nome specifico dell’insetto, derivato dall’espressione dialettale “bacarozzo”, è ancora oggi comunemente usato per indicare genericamente un insetto nero o scuro di vari Ordini: Coleotteri, Blatte, persino Crostacei terrestri, etc. Inoltre, in senso figurato sempre a Roma, venivano così chiamati, bacarozzi, anche i preti per via della loro tonaca nera. Per ironia della vita tale fu il suo descrittore, Franz Paula von Schrank (1747 – 1835), un prete Gesuita, botanico ed entomologo tedesco di Baviera, dalla veste nera.
L’inventariazione scientifica degli esseri viventi per mezzo della tassonomia e della sistematica intese come discipline, è alla base di ogni considerazione dell’uomo sul mondo naturale, e sull’essenza della sua stessa specie. L’inizio della Nomenclatura zoologica ha per convenzione la data del 1° gennaio 1758, anno di pubblicazione dell’edizione. 10a del Systema Naturae che il botanico Carlo Linneo pubblicò in 2 volumi ad Holmia (Stoccolma). L’umanità è qui classificata come specie sotto Animalia, Mammalia, Primates, col binomio Homo sapiens.
Oggi sappiamo che i sapiens (Linnaeus 1758: 20) sono una specie pervasiva che nell’arco degli ultimi 80.000 anni si è diffusa su tutta la terra e dalla sua comparsa africana, circa 200.000 anni fa, ha occupato con la sua presenza -diretta o indiretta- quasi tutti gli ecosistemi della biosfera. Per la sua stessa sopravvivenza come specie ha dovuto risolvere, come ogni altra specie e come ogni altro singolo individuo vivente del Biota, problemi legati al suo rapporto col mondo fisico-chimico circostante e con gli altri viventi con cui era o veniva a mano a mano in contatto; con essi instaurando quel rapporto di coesistenza naturale che noi stessi cerchiamo di disvelare con la disciplina che abbiamo chiamato Ecologia, attraverso quel particolare procedimento di conoscenza e interpretazione del mondo fisico che è il metodo scientifico.
Così, là dove scende il fiume che ha scavato il suo letto tra i sedimenti stratificati di pozzolane, tufi e basalti, creati nel corso di centinaia di migliaia di anni dalle eruzioni esplosive del Vulcano laziale e dalle colate di fango tracimate dai laghi dei suoi crateri, formando, per l’erosione di quei stratificati sedimenti da parte delle intemperie e delle sue brevi acque marane affluenti, una bella terra e varia di valli e colline, si è instaurata una millenaria, tacita convivenza tra Akis bacarozzo e Homo sapiens, due specie inconsapevolmente legate da un rapporto ecologico discreto e invisibile.
La convivenza con questo coleottero tenebrionide è stata certamente assai discontinua nei tempi per noi impercepibilmente lunghi della nostra preistoria, dovuta a immani cambiamenti climatici e sconvolgimenti geologici anche molto recenti. La distribuzione di questa specie, la cui origine evolutiva si perde nel più recente tempo profondo, è nel mondo limitata al Mediterraneo occidentale, con un areale che comprende la Francia meridionale, le Isole Baleari, la Corsica, la Sardegna, l'Arcipelago Toscano e l'Italia centrale (Toscana, Lazio, Abruzzo e Umbria). A Roma è stata segnalata in varie zone della città, quasi sempre legata a siti ruderali anche fortemente antropizzati.
Ci piace immaginare questi neri bacarozzi Pimeliini razzolare con circospezione in cerca di cibo tra gli insediamenti dei nostri assai prossimi sibling neandertal -primi romani- che 250.000 anni fa da Saccopastore e dalla Sedia del Diavolo, lungo il corso dell’antico Aniene, assistettero alla imponente colata lavica di Capo di Bove a Cecilia Metella. E dopo millenni e millenni i discendenti di quei bacarozzo nella stessa valle del Tevere prossima alla foce tra i nostri progenitori umani moderni -più genti diverse migranti- che sempre lì si insediarono a partire da alcune migliaia di anni fa della nostra passata, più recente preistoria. Fino ai nostri giorni insediati tra i ruderi della città antica.
Quella stessa che fu la città di adozione di Gaio Plinio Secondo il quale, comandante della flotta navale romana di stanza a Capo Miseno, trovò la morte nel soccorrere i cittadini in fuga durante l'eruzione del Vesuvio del 79 d.C. Solo un anno prima di quella storica catastrofe ambientale Plinio, uno dei massimi autori di formazione della cultura occidentale e primo enciclopedista, la cui profonda curiosità per le cose naturali e dell’uomo non fu certamente estranea alle cause della sua morte, nel libro XI della sua Historia Naturalis scriveva:
“Ma noi ci meravigliamo degli elefanti che sorreggono le torrette da guerra, delle spalle e del collo dei tori e della ferocia della loro carica, della predazione delle tigri, della criniera dei leoni, quando invece la natura delle cose non è mai più grandiosa che in quelle più piccole.”
Plinio prosegue poi con una esortazione, la pongo in epigrafe alla mostra per il suo valore universale:
“Chiedo quindi ai lettori che hanno repulsione per molti di questi esseri e disapprovano con fastidio anche le cose di cui sto parlando di considerare che nella natura nulla può essere visto come non necessario.”
Francesco Sacco
Franceco Sacco è nato a Roma nel 1946, architetto presso l’Istituto Centrale del Restauro, organo centrale del Ministero della cultura, per più di 30 anni a diretto contatto con insigni opere d’arte, si è occupato di Problemi di Conservazione del patrimonio storico-artistico, archeologico, monumentale.
A 15 anni ha iniziato a raccogliere e collezionare insetti. Cura una collezione specialistica di Coleotteri Apionidae di circa 20.000 esemplari e di altre varie specie di insetti che continua a raccogliere per scopi divulgativi e didattici.
Tra scienza e arte, da qualche anno fotografa minuscoli insetti conservati nelle collezioni di musei e private con particolare riguardo ai Typi, gli esemplari originali sui quali sono state descritte le specie. Le sue fotografie sono state esposte in alcune mostre e utilizzate in numerosi lavori scientifici.
10
dicembre 2025
Francesco Sacco – Biodiversità Ritratta: un bacarozzo chiamato bacarozzo
Dal 10 al 20 dicembre 2025
arte contemporanea
fotografia
fotografia
Location
MESIA SPACE ARTE CONTEMPORANEA
Roma, Largo Mesia, 3, (Roma)
Roma, Largo Mesia, 3, (Roma)
Orario di apertura
da martedì a sabato ore 11.00 – 20.00
Lo spazio di Via Vulci apre dalle 16.30 alle 18.30
Vernissage
10 Dicembre 2025, Ore 17.30 - 20.00 | Alle 18.00, per presentare il progetto, l’attore Fabio Traversa leggerà un testo di Francesco Sacco
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Autore
Patrocini




