11 dicembre 2025

exibart prize incontra Alessia Gatti

di

Oggi il mio lavoro è guidato dai temi della memoria genealogica e dell’invisibile

Alessia Gatti

Come è iniziato il tuo percorso artistico? C’è un momento, un incontro o un’esperienza che ha segnato l’inizio della tua ricerca?

Il mio percorso artistico è iniziato in modo naturale, quasi inevitabile. Sono cresciuta in un ambiente creativo: in casa mia si respirava un’aria fertile, fatta di libertà e di curiosità. Mio padre è pittore, senza imporsi ha lasciato in me una predisposizione spontanea allo sguardo, al gesto, alla forma. L’inizio vero della mia ricerca è arrivato quando ho iniziato a raccogliere i cruciverba compilati da mia madre. Sono oggetti quotidiani, quasi banali ma per me custodiscono una memoria silenziosa: gesti ripetuti, frammenti di un tempo intimo che rischiava di andare perduto. In quelle tessere ho riconosciuto un DNA affettivo, qualcosa che parlava di radici, di trasmissione, di legami. Parallelamente, la mia formazione all’Accademia di Belle Arti ha consolidato questa sensibilità: lo studio, l’incontro con i grandi maestri del passato e con gli artisti contemporanei, il confronto con opere e mostre hanno affinato il mio sguardo e dato direzione alla mia ricerca che ora si fonda nella memoria intima che diventa racconto collettivo.

 

Quali temi o domande guidano il tuo lavoro oggi? Cosa ti spinge a sviluppare nuove opere?

Oggi il mio lavoro è guidato dai temi della memoria genealogica e dell’invisibile, ma anche da una riflessione più ampia sulle origini collettive, l’idea che siamo parte della stessa grande umanità, interconnessa, fatta di fili condivisi che attraversano il tempo e le generazioni. Mi accompagnano le domande: cosa resta di noi nel tempo? Quali tracce lasciamo e quali ereditiamo? Mi interessa ciò che rimane nascosto ma continua a influenzarci: dai legami familiari alle informazioni silenti che abitano gli oggetti. A spingermi a creare nuove opere è proprio questo: il momento in cui le persone riconoscono nei miei frammenti i loro frammenti, quando ciò che apparteneva alla mia storia si apre e diventa anche loro. È in quel riconoscimento reciproco, tra memoria mia e memoria altrui che sento il bisogno di proseguire, di continuare a costruire nuove narrazioni. Mi interessa ciò che è personale ma diventa codice universale, ciò che nasce da un frammento intimo e arriva a parlare a molti, una lingua condivisa.

 

Che ruolo giocano i materiali e le tecniche nella tua pratica? Come scegli gli strumenti espressivi con cui lavorare?

Nella mia pratica i materiali non sono solo strumenti ma veri e propri portatori di senso. A volte è la materia stessa a guidarmi: la fragilità della carta, il filo che delimita… È un dialogo continuo, un processo in cui il materiale non viene mai forzato, ma ascoltato. Scelgo ciò che ha già vissuto, che ha assorbito gesti e abitudini. Ogni materiale contiene una memoria e diventa parte attiva della narrazione. Tecniche come il collage, la pittura, il cucire e il ritagliare assumono per me valore simbolico: sono gesti di cura, di ricostruzione, di mappatura. Utilizzo anche il mezzo fotografico, mi consente di rafforzare il concetto di traccia e di memoria.

 

Puoi parlarci di un’opera o un progetto a cui sei particolarmente legata? Cosa rappresenta per te e quali sfide ha comportato?

Un progetto a cui sono profondamente legata è Spazio sacro verbum. È un’installazione che riproduce le misure fedeli dell’area occupata dalla mia cameretta d’infanzia, realizzata con un collage di cruciverba compilati da mia madre, raccolti, ritagliati e applicati su un
grande tappeto . Rappresenta un luogo mentale dove memoria e presenza si sovrappongono. La sfida più grande è stata emotiva: lavorare su uno spazio che non esiste più, riconoscere ciò che volevo custodire e ciò che volevo trasformare. È un’opera che continua a parlarmi e che ha definito in modo chiaro la direzione della mia ricerca.

 

Come affronti la fase di ricerca e sviluppo di un progetto? Segui un metodo o un processo specifico?

Il mio metodo è alchemico e meticoloso: seleziono e ricompongo. Raccolgo i materiali, li osservo, li archivio. Ascolto ciò che ha ancora da dire la materia. La mia ricerca è fatta di stratificazioni, tentativi, poi, a un certo punto, tutto si allinea e l’opera prende forma. Il tempo è parte della costruzione: lavoro in modo meditativo, lasciando che sia la materia a guidarmi.

 

Quali sono le principali sfide che incontri come artista oggi? E come cerchi di superarle?

Le sfide ci sono, come per ogni artista che si muove oggi in un panorama competitivo e in costante trasformazione. La prova è trovare equilibrio tra la necessità di creare e la gestione pratica della vita quotidiana: tempo, spazi, risorse. Un’altra difficoltà è mantenere autenticità in un sistema che spesso richiede velocità e visibilità costante. Ma non le vivo come ostacoli: supero le sfide tornando sempre al processo che è il cuore del mio fare artistico. Ogni volta che lavoro ritrovo il senso di ciò che faccio. E’ un modo per restare autentica e allo stesso tempo, pienamente dentro la sensibilità dell’arte contemporanea.

 

Spazio sacro verbum
Spazio sacro verbum

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