12 dicembre 2025

Il 3D è la mia argilla impossibile: intervista all’artista multimediale Aureia Harvey

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Pioniera della Net Art e protagonista delle avanguardie digitali, Auriea Harvey ci parla del rapporto tra creatività e tecnologia, a margine della consegna del premio Var Digital Art Award 2025

Auriea Harvey, mother/child, still
Auriea Harvey, mother/child, still

Nel paesaggio mutevole del contemporaneo, dove la tecnologia si fa sostanza sensibile e la percezione si trasforma in coscienza, Auriea Harvey modella il digitale come un materiale metafisico. Con l’opera mother/child, ispirata alla Pietà michelangiolesca ma concepita interamente nello spazio virtuale, l’artista ha vinto il Var Digital Art Award 2025, l’importante riconoscimento biennale di Var Digital Art by Var Group, curato da Davide Sarchioni e dedicato alle nuove frontiere tra arte, tecnologia digitale e impresa. Il premio è stato presentato a Rimini, il 23 e 24 ottobre, nell’ambito di Z!NG (Zone of Innovation & Growth), la due giorni sull’innovazione digitale organizzata da Var Group, dove speaker e imprenditori internazionali si sono dati appuntamento per esplorare la connessione tra le intelligenze — umana, artificiale e collettiva.

L’opera, concepita come ambiente tridimensionale interattivo, restituisce l’archetipo del legame tra madre e figlio ma lo trasfigura in energia luminosa, in dialogo tra corpo e codice, tra tempo e memoria. In questa fusione di scultura e calcolo, la creazione diviene un atto di rivelazione: un modo di ridare forma al sacro attraverso le coordinate della tecnologia.

Auriea Harvey, artista premiata, Var digital Art Award 2025

In mother/child la relazione primordiale tra creatrice e creatura sembra tradursi in un flusso di energia, più che in una scena. È ancora possibile, nell’era digitale, che la forma diventi un luogo di epifania?

«È un’immagine eternamente presente. Tuttavia, poiché il linguaggio del 3D è al contempo così recente eppure così istintivamente familiare, impiegarlo nel mio lavoro diventa un’occasione per trasfigurare la banalità in incanto. Rimane, ancora oggi, uno spazio necessario per la dimensione più contemplativa dell’arte scultorea. La scultura, d’altronde, è sempre stata dialogo con la tecnologia: un oggetto plasmato con sapienza continua a esercitare un fascino visivo, tattile e mentale sull’osservatore. La fusione di tutti questi elementi – l’antico e il nuovo, il gesto e la macchina, la materia e l’immagine – dice qualcosa di profondo su ciò che significa oggi fare scultura».

La materia di questa opera non è solida ma luminosa. È una scultura o una vibrazione? La luce, nel suo lavoro, sembra sostituire il marmo come nuovo principio plastico: un elemento che non modella il corpo ma lo evoca.

«Non è la luce il vero soggetto ma il modello tridimensionale: insieme solido e reale, eppure in fondo solo un’illusione di matematica scolpita. Amo la stampa 3D con materiali artificiali che evocano sostanze organiche — come il marmo o il legno. La scultura fisica è stampata in un filamento che ricorda la seta, e la luce la colpisce in modo straordinario. Ho cercato di imitare quella qualità luminosa nello sfumato del modello digitale interattivo: forse è proprio a questo che reagisci.

La narrazione materica del mio lavoro ruota attorno alla dialettica tra reale e artificiale, tra ciò che è povero e ciò che è prezioso. Nel virtuale posso simulare, ad esempio, l’oro, e indurti a riflettere su cosa significherebbe davvero vederlo impiegato nel mondo reale. E in che modo tutto questo eleva la scultura? I nastri che si animano nel modello interattivo compiono un gesto del tutto diverso da quello della scultura fisica: infondono un senso di vita attraverso l’interazione».

Auriea Harvey, mother/child,

La tecnologia, nel suo linguaggio, non appare come strumento ma come condizione dell’essere. Potremmo allora dire che la scultura digitale inaugura una nuova ontologia dell’immagine, in cui la sostanza coincide con la coscienza che la genera?

«Credo che le persone — persino gli artisti — spesso dimentichino che con il computer tutto è possibile. Non esistono regole prestabilite. Non è necessario limitarsi a usare un algoritmo preconfezionato per ottenere comportamenti banali e predefiniti: si può scrivere il proprio, costruire un mondo con proprietà e forme di vita dotate di una diversa coscienza. Ritengo che le grandi corporazioni abbiano interesse a impedire che la tecnologia venga utilizzata in modo autenticamente creativo, preferendo invece orientarla solo verso modalità da esse imposte — come accade, ad esempio, nei dataset di intelligenza artificiale basati su prompt».

La Pietà michelangiolesca rappresentava la quiete del dolore; la sua mother/child sembra, invece, suggerire la pulsazione della memoria. È possibile che la commozione, oggi, si manifesti non più come pathos ma come campo energetico?

«Nel momento in cui ho eseguito la scansione 3D di mia nipote e di suo figlio addormentati, ho pensato con tristezza al fatto di non aver mai avuto figli, e ai motivi di quella scelta…forse era la prima volta che me ne fossi mai pentita. Il mio sentimento iniziale fu di profonda commozione. Ma conoscevo lei: una personalità giovane, vivace…forse vedevo nel bambino una minaccia a quella parte così luminosa del suo carattere. In ogni caso, mi sono immedesimata nelle loro vite giovani e li ho rappresentati con tutta la luce che mi era possibile».

Auriea Harvey, Faunette, 2025, Carrara marble, Photo courtesy of HEFT gallery, NYC

Le sue figure nascono da un processo di scansione, di traduzione e di rinascita. È forse in questa metamorfosi che risiede la nuova sacralità dell’arte contemporanea: nel gesto che ricrea ciò che è già stato creato?

«Nella tradizione figurativa del canone occidentale vi è sempre stato molto di tutto ciò. Se posso usare la tecnologia 3D per attingere a quelle estetiche, composizioni e idee premoderne, allora avrò dimostrato che è possibile trasmettere, attraverso la tecnologia, qualcosa di diverso dalla frammentarietà e dalla distruzione della nostra epoca contemporanea. La scansione 3D rappresenta per me la materia prima, la mia argilla o il mio blocco di marmo. Le scansioni in sé sono piuttosto imperfette — le realizzo con il telefono, senza preoccuparmene troppo — perché so che scolpirò su di esse o a partire da esse. La trasformazione che ne deriva non è fotografia, è scultura. Essa implica un lungo processo di traduzione, e una parte sostanziale di questo riguarda il significato».

Auriea Harvey, Minoriea v1-dv3, 2021, Digital sculpture, Photo courtesy of BuffaloAKG museum

L’uso del digitale implica una scomposizione del reale in dati. Tuttavia, nel suo lavoro, questi dati si ricompongono in un linguaggio di intimità. È dunque possibile un’arte che restituisca alla tecnica la dimensione della tenerezza?

«Il primo web era più vivo di qualsiasi altro luogo che io abbia mai abitato. Era popolato da menti che comunicavano e da mani che creavano. Vi era, allora, un’autentica intimità nel digitale, oggi perduta. L’arte è eterna, la tecnologia molto meno — e in ciò nutro i miei dubbi. Potrei usare strumenti tradizionali, e lo farò sempre se lo desidererò. Ma scelgo di non farlo, per una semplice coincidenza tra l’epoca della mia nascita e le circostanze della mia formazione. Per me è fondamentale utilizzare ciò che è disponibile: se tutto ciò che ho a disposizione è terra, allora di terra sarà fatta la mia opera».

Ogni sua opera sembra contenere un respiro nascosto, una tensione verso l’interiorità. Quale ruolo assume, oggi, l’invisibile nel processo artistico, quando tutto tende alla visibilità assoluta?

«Domanda eccellente! Forse la tecnologia può aiutarci a rendere visibili tutti i fantasmi nella macchina. Questo mondo ruota dentro un altro mondo…Esiste una dimensione soprannaturale in ogni cosa».

Auriea Harvey, This room is a sculpture called PROPHECY, 2025 Installation views, photo credit: Devika Bilimoria Courtesy of Arebyte gallery, London (Show is on view until December 21, 2025)

L’esperienza della Net Art, che ha inaugurato il suo percorso, nasceva dal desiderio di libertà e condivisione. Ora che la rete è divenuta un sistema di controllo, quale spazio resta all’immaginazione come atto sovversivo?

«Non lo so. Forse non ne resta alcuno».

Nei suoi lavori la figura umana appare sospesa tra incarnazione e dissoluzione. È questa ambiguità a rappresentare la vera condizione contemporanea: un’umanità che cerca se stessa nell’intervallo tra materia e informazione?

«Spero che le persone si risveglino dalla condizione contemporanea e comprendano ciò che conta davvero. La tecnologia non è il futuro: il futuro siamo noi.

Il motivo per cui le mie sculture possono sembrare non finite è che amo l’idea di una storia raccontata dal tempo e non dallo scultore. Forse, in esse, la tecnologia funge da sostituto del tempo».

Se la bellezza, in passato, era la manifestazione del divino nella forma sensibile, quale significato assume nel contesto digitale? È ancora un riflesso del trascendente, o diventa essa stessa una nuova forma di conoscenza?

«Può certamente essere riflesso del trascendente — se l’artista lo desidera. Spero che possiamo riscoprire che cosa sia davvero la bellezza».

Auriea Harvey, This room is a sculpture called PROPHECY, 2025 Installation views, photo credit: Devika Bilimoria Courtesy of Arebyte gallery, London (Show is on view until December 21, 2025)

Chi è Auriea Harvey

Auriea Harvey vive e lavora a Roma. Pioniera della Net Art, è stata protagonista delle avanguardie digitali attraverso i collettivi Entropy8Zuper!, Tale of Tales e Song of Songs, fondendo arte, interattività e riflessione antropologica sul corpo virtuale Le sue opere nascono da scansioni tridimensionali e modellazioni digitali che si concretano in materiali preziosi come bronzo e vetro.

Tra le sue serie più note figurano Gray Matter e The Mystery, in cui la forma attraversa il confine tra reale e virtuale, tra ciò che è tangibile e ciò che vive soltanto nella memoria. Le sue opere sono presenti in istituzioni internazionali come il Whitney Museum of American Art, il Walker Art Center e il Victoria & Albert Museum.

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