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Quando le immagini in movimento raccontano il territorio: la mostra a Napoli
Arte contemporanea
di redazione
Il territorio è un’entità dinamica, stratificata, instabile e, per attraversarlo senza fissarlo in una natura morta, l’immagine in movimento è forse il linguaggio più adatto. La mostra Napoli, altrove nasce anche da questa consapevolezza, aggiungendo un riferimento poetico all’ubiquità di certi contesti – quell’altrove che rimanda a riflessi e suggestioni territoriali rintracciabili in altri luoghi inaspettati – e un ulteriore livello di senso nel momento in cui si sceglie come sede la storica Villa dei Pignatelli Monteleone a Barra, grande quartiere pianeggiante dell’area orientale di Napoli. Un’area spesso liquidata come periferica e che affonda le sue radici in vicende antropiche antichissime: già in epoca romana, qui sorgevano ville rustiche e insediamenti produttivi, in un paesaggio caratterizzato dal dialogo tra lavoro e natura.

Presentata nell’ambito di Art Days Napoli Campania e visitabile fino al 20 dicembre, la mostra – curata da Sonia Belfiore e organizzata da Attiva Cultural Projects – riunisce i lavori video di Nicola Baratto, Gaia De Megni, Daniele Di Girolamo, Valentina Furian ed Elena Mazzi, artisti appartenenti a generazioni e geografie diverse ma accomunati da una pratica che interroga il rapporto tra spazio, memoria e forme di abitare il presente. Promosso e finanziato dal Comune di Napoli all’interno della programmazione di arte contemporanea 2025 e realizzato in collaborazione con Antur, il progetto assume la forma di un dispositivo di indagine visiva.

La scelta del video come medium non è neutra. Le opere in mostra mettono in crisi la leggibilità pacificata del territorio, seguendone le fratture, i vuoti, le sopravvivenze. L’immagine in movimento diventa così uno strumento di attraversamento, per restituire la complessità di luoghi che non si lasciano ridurre a una narrazione lineare o a una retorica identitaria. In questo senso, Napoli, altrove lavora su una nozione di distanza che non rimanda alla mappatura ma a uno scarto percettivo: un modo di guardare da posizioni laterali, decentrate, spesso marginali.

L’allestimento si articola in cinque momenti distinti, che dialogano con l’architettura della villa. Disegnata da Ferdinando Sanfelice e completata da Ferdinando Fuga, Villa dei Pignatelli Monteleone porta inscritta nella propria struttura una duplice natura: residenza aristocratica e, successivamente, opificio industriale. Una biografia architettonica che rispecchia molte delle contraddizioni del territorio circostante e che oggi, grazie a un progetto di restauro e riqualificazione promosso da Antur, viene riattivata come spazio di sperimentazione culturale.

Nel loro insieme, i lavori di Baratto, De Megni, Di Girolamo, Furian e Mazzi costruiscono una costellazione di sguardi che oscillano tra indagine antropologica, attenzione ecologica e riflessione politica.

Con Poç, Elena Mazzi conduce lo spettatore in una comunità montana incastonata tra Alpi, boschi e acque turchesi, dove una piscina scavata nella roccia durante la Prima Guerra Mondiale viene curata collettivamente, anno dopo anno. Il film restituisce la dimensione rituale di questo gesto ripetuto, trasformando un’infrastruttura bellica in un luogo di protezione, socialità e memoria condivisa. In Presente, Valentina Furian lavora invece sull’apparizione e sulla sparizione. Una nebbia lattiginosa invade lo spazio, da cui emerge lentamente un’asina bianca che attraversa un museo in fase di allestimento. La figura dell’animale, sospesa tra sogno e realtà, si dissolve infine nella stessa foschia da cui era emersa, lasciando dietro di sé un senso di vulnerabilità e di temporanea convivenza tra mondi.

Lo sguardo è al centro anche di Birdwatching di Daniele Di Girolamo ma qui il dispositivo si ribalta completamente. Un piccione bagnato fissa la camera senza distogliere gli occhi, instaurando un confronto diretto e inquietante con lo spettatore. Quello che sembra uno sguardo giudicante si rivela presto come una proiezione: è l’osservatore a sentirsi osservato, messo a nudo.

Con Notturno, Gaia De Megni esplora la dimensione produttiva e manifatturiera scegliendo la notte come tempo privilegiato. Nel silenzio che segue l’attività diurna, il cantiere appare come un luogo in sospensione, carico di memorie operative e di possibilità latenti.

In Tears of Fog, Nicola Baratto fonde immagine e suono per restituire la nebbia come esperienza sensoriale complessa. Documentando il progetto di raccolta della nebbia della Fondazione Dar Si Hmad in Marocco, realizzato con la collaborazione dell’antropologa Jamila Bargach, Baratto intreccia scienza, memoria e percezione. La nebbia emerge come elemento vivo e ambivalente: aria e acqua, risorsa e sogno, fenomeno naturale e paesaggio mentale. Un materiale instabile che, come il territorio stesso, sfugge a definizioni univoche.

A margine della mostra, anche un public program, costruito in dialogo con l’Università degli Studi di Napoli Federico II e l’Accademia di Belle Arti di Napoli. Il talk inaugurale ha visto la curatrice Sonia Belfiore e l’artista Elena Mazzi confrontarsi con le docenti Daniela Savy e Carla Langella sul tema dell’ibridazione tra arte contemporanea, nuove tecnologie e patrimonio storico-architettonico, chiarendo uno degli assunti centrali del progetto: la valorizzazione dei luoghi passa attraverso forme di coinvolgimento attivo delle comunità e attraverso pratiche capaci di riattivare la memoria senza cristallizzarla.













