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07
gennaio 2008
fino al 15.I.2008 Adam Gillam Milano, Galleria Klerkx
milano
La galleria è disposta come un ostacolo. Tra scultura e pittura, l’arte scelta dalle cose si divide. E poi si assembla. Sculture di grandi dimensioni e collage re-interpretano un mondo che cade a pezzi e che a pezzi va ricostruito. A partire da albe, tramonti, ricordi e periferie urbane...
di Ginevra Bria
Nella sala principale, Adam Gillam (Kent, 1970; vive a Londra) modella sei sculture di dimensioni variabili e tre collage. I suoi lavori non sono solo forme, sono dispositivi che mettono in risalto variabili, corrispondenze e connessioni tra la scultura e la pittura (quel dipingere, cioè, implicato in una struttura autoportante). Ogni opera esposta è una combinazione di rese formali, in bilico tra improvvisazione e stasi. Fra astrattismo non replicabile e rappresentazione geometrica. I lavori dell’artista, assemblati in situ, sono la risultante tridimensionale di forme aguzze e slanciate, collegate tramite fili elettrici di recupero e spaghi a opere differenti (come A Common Confusion, Dizzy). Ciascuna è un cantiere aperto. Ogni scultura è una recinzione incompleta, un’impalcatura che fa dello spazio una delimitazione sottratta al vuoto.
Gillam ha lavorato nelle stanze della galleria mettendo in dialogo pezzi di materiali che,
a causa della composizione e delle misure, non sarebbero stati altrettanto sovrapponibili e a contatto, all’interno della realtà dalla quale provengono. Assi, mattoni, sbarre e casse sono stati presi da cantieri e da negozi specializzati per l’edilizia. Mentre i collage, applicati in superficie, mettono insieme brevi parole, composte da ritagli e scritte, che rimandano al significante di precise indicazioni spaziali (up, down, here) o fenomeni appercettivi (view, dizzy). Ad accompagnare le sue strutture, l’artista incolla fotografie che ritraggono il luogo nel quale ogni elemento è stato trovato. Per aumentare il senso di realtà dell’ambiente senza dimensione che racchiude la mostra, su ogni struttura è stato dipinto un tramonto, un’alba o una geometrizzazione nonsense di contesti architettonici.
Nella seconda sala, le opere di Gillam rapprendono, solidificano e fanno del proprio impianto estetico una realizzazione materica, resa dall’uso di mattoni e materiali fittili. Queste sculture, più corporee e di maggior volume rispetto alle prime, sono perlopiù distaccate e fredde. Ogni grumo di materia scalfisce lo sguardo e restituisce l’isolamento necessario a ricomporre un paesaggio che una volta, sotto un altro aspetto, faceva parte dello scenario urbano. Come fra le battute di un dialogo, che rimbalza senza urgenza, mattoni, legno, colori acrilici e spray, assieme ai materiali poveri, sono dei reperti. Delle testimonianze di una storia che fa del mondo un pezzo di mondo, un bilico insostenibile tra il quale si passeggia con cura, per viaggiare esclusi dal peso del carico.

L’apparente leggerezza e la fragilità imposta dalla materia sono dunque il tema di questa personale. Che non sceglie di mettere in scena lo spettacolo della scultura né l’evidenza della pittura. Preferendo un discorso astratto, che non segue le regole plastiche del concetto, rimanendo fra astrazione e antropomorfismo.
Gillam ha lavorato nelle stanze della galleria mettendo in dialogo pezzi di materiali che,
a causa della composizione e delle misure, non sarebbero stati altrettanto sovrapponibili e a contatto, all’interno della realtà dalla quale provengono. Assi, mattoni, sbarre e casse sono stati presi da cantieri e da negozi specializzati per l’edilizia. Mentre i collage, applicati in superficie, mettono insieme brevi parole, composte da ritagli e scritte, che rimandano al significante di precise indicazioni spaziali (up, down, here) o fenomeni appercettivi (view, dizzy). Ad accompagnare le sue strutture, l’artista incolla fotografie che ritraggono il luogo nel quale ogni elemento è stato trovato. Per aumentare il senso di realtà dell’ambiente senza dimensione che racchiude la mostra, su ogni struttura è stato dipinto un tramonto, un’alba o una geometrizzazione nonsense di contesti architettonici. Nella seconda sala, le opere di Gillam rapprendono, solidificano e fanno del proprio impianto estetico una realizzazione materica, resa dall’uso di mattoni e materiali fittili. Queste sculture, più corporee e di maggior volume rispetto alle prime, sono perlopiù distaccate e fredde. Ogni grumo di materia scalfisce lo sguardo e restituisce l’isolamento necessario a ricomporre un paesaggio che una volta, sotto un altro aspetto, faceva parte dello scenario urbano. Come fra le battute di un dialogo, che rimbalza senza urgenza, mattoni, legno, colori acrilici e spray, assieme ai materiali poveri, sono dei reperti. Delle testimonianze di una storia che fa del mondo un pezzo di mondo, un bilico insostenibile tra il quale si passeggia con cura, per viaggiare esclusi dal peso del carico.

L’apparente leggerezza e la fragilità imposta dalla materia sono dunque il tema di questa personale. Che non sceglie di mettere in scena lo spettacolo della scultura né l’evidenza della pittura. Preferendo un discorso astratto, che non segue le regole plastiche del concetto, rimanendo fra astrazione e antropomorfismo.
ginevra bria
mostra visitata il 5 dicembre 2007
dal 22 novembre 2007 al 10 gennaio 2008
Adam Gillam – I am definitely coming for longer if I come again
Galleria Klerkx
Via Massimiano, 25 (zona Ventura) – 20134 Milano
Orario: da martedì a sabato ore 13-19
Ingresso libero
Info: tel. +39 0221597763; fax +39 0221591507; info@manuelaklerkx.com; www.manuelaklerkx.com
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