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Lenz Geerk – Pears & Pearls
mostra personale
Comunicato stampa
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Ciò che sfugge allo sguardo è verità non ancora raccontata, miope ricordo di qualcosa che è andato perso o che non si è mai posseduto in primo luogo.
Lo sguardo esercita la sua pressione e il suo controllo nello spazio del visibile, l’intervallo in cui si delineano le scene del sapere e del potere – come direbbe Michel de Certeau.
Tuttavia, l’aspetto visibile di un oggetto comporta sempre una parte di Dinzione. La verità che racconta è inganno e la sua insidia una forma di conforto, che riconosce la sua legittimazione nella fedeltà manifesta di ciò che alla vista si presenta. L’invisibile è la trama interna del visibile, il nascosto che lo sostiene e che si svela occultato. Elemento discordante tra spazio sociale e privato, si manifesta in quel confronto solitario che soggiace alla natura segreta delle emozioni. E quel segreto è tensione, che svanisce sotto i nostri occhi annichilendosi nel proprio mistero.
Il sentire è un indicatore di memoria che si dirige al di là del visibile immediato per attingere la visione di una realtà invisibile. Il lavoro di Lenz Geerk (*1988) non mette in scena un evento, ma piuttosto una condizione. Colore, segno e linguaggio del corpo convergono nel contorno stilizzato di Digure dalla grande carica espressiva, fermando sulla tela quello che inevitabilmente scivolerebbe via: un sentimento o uno stato d’animo, riconoscibili al punto che l’esperienza estetica si fa esperienza condivisa, universale e collettiva.
Nelle sue Digure l’idea complessa si risolve nella semplicità della forma, il cui segno è inizio e Dine. “La semplicità non è altro che una complessità risolta” -‐ si potrebbe rimarcare traslando il pensiero brancusiano.
In esse i tratti Disiognomici vengono ridotti all’essenziale, a favore di altri tratti distintivi. Gli occhi, spesso socchiusi, alludono alla dichiarata volontà di non condividere alcuna informazione personale o svelare alcun tratto caratterizzante. La stilizzazione arriva al segno, al punto in cui l’apparente afasia delle Digure di superDicie diviene l’imprescindibile postulato della Digura profonda. Si attua un processo che potremmo deDinire denegazione, una negazione-‐affermazione necessaria alla conquista della sua evidentia. Come protagonisti di storie senza nome, i soggetti si offrono allo spettatore in una frontalità sfacciata e discreta che rivendica il suo diritto di esistere come dimensione privata. Lontana da quella forma di pubblica intimità delle esperienze identitarie consumate online, quella di Geerk è una pittura che contrasta la visione monoculare propria dell’auto-‐rappresentazione, mitologia del mondo contemporaneo in cui l’universo percettivo del sé ontologico viene continuamente rinegoziato.
Siamo di fronte a due tipi di piacere dello sguardo, uno voyeuristico e l’altro narcisistico.
I soggetti, inconsapevoli di essere guardati, sono catturati nella propria quotidianità: attività ordinarie e oggetti familiari o di uso comune -‐ una perla tenuta tra le dita, ad esempio, un piatto di spaghetti che sta per essere Dinito o una pera, pronta per essere mangiata -‐ diventano espedienti retorici orientati a stabilire una relazione diretta con chi guarda. Nella contemplazione estetica emerge l'io ideale dell'osservatore che in questo immediato atto vissuto si abbandona al sentimento di se stesso trasposto nell'oggetto estetico. E l'oggetto dell'immedesimazione ‘esprime’ a sua volta di rimando – rifacendosi al Dilosofo e psicologo tedesco Theodor Lipps. Diventiamo così lui, accogliendo l'eredità delle sue azioni; mentre gli spazi ‘vuoti’ attorno ad esso si Digurano come il collante necessario, uno spazio oltre la linea che è desiderio idealizzante di unità.
L’assenza di un contesto spaziale, pertanto, si Digura come il luogo in cui esperienza collettiva e storia personale si riconciliano. Le Digure sono come presenze sospese che trovano nella loro non-‐collocazione la sostanza della propria risoluzione. Il desiderio di universalità dell’oggetto si sposta così in una fuga in avanti in cui Digura e contesto, permanente e temporaneo, conDluiscono l’uno nell’altro in uno spazio in cui sembrano alloggiare danzatori solitari che invitano lo spettatore a cercare in essi specchi in cui riconoscersi.
Privati del senso del tempo e stretti al conDine tra il simbolico e l’astratto, essi incarnano una bellezza silenziosa e perenne. La loro vulnerabile sensualità, tangibile e lontana, li rende Digure innocenti ma non neutrali: Diglie di un’ambiguità temporale che a nessun tempo le riconduce, esse rappresentano la personiDicazione di quello sguardo che allo stesso tempo ci nascondono.
Figure libere che afDidano alla forza evocativa della sintesi segnica il tumulto del sentire, e in questo spasmo mai smarriscono l’eleganza del mistero che hanno appreso.
– Marialuisa Pastò
Lo sguardo esercita la sua pressione e il suo controllo nello spazio del visibile, l’intervallo in cui si delineano le scene del sapere e del potere – come direbbe Michel de Certeau.
Tuttavia, l’aspetto visibile di un oggetto comporta sempre una parte di Dinzione. La verità che racconta è inganno e la sua insidia una forma di conforto, che riconosce la sua legittimazione nella fedeltà manifesta di ciò che alla vista si presenta. L’invisibile è la trama interna del visibile, il nascosto che lo sostiene e che si svela occultato. Elemento discordante tra spazio sociale e privato, si manifesta in quel confronto solitario che soggiace alla natura segreta delle emozioni. E quel segreto è tensione, che svanisce sotto i nostri occhi annichilendosi nel proprio mistero.
Il sentire è un indicatore di memoria che si dirige al di là del visibile immediato per attingere la visione di una realtà invisibile. Il lavoro di Lenz Geerk (*1988) non mette in scena un evento, ma piuttosto una condizione. Colore, segno e linguaggio del corpo convergono nel contorno stilizzato di Digure dalla grande carica espressiva, fermando sulla tela quello che inevitabilmente scivolerebbe via: un sentimento o uno stato d’animo, riconoscibili al punto che l’esperienza estetica si fa esperienza condivisa, universale e collettiva.
Nelle sue Digure l’idea complessa si risolve nella semplicità della forma, il cui segno è inizio e Dine. “La semplicità non è altro che una complessità risolta” -‐ si potrebbe rimarcare traslando il pensiero brancusiano.
In esse i tratti Disiognomici vengono ridotti all’essenziale, a favore di altri tratti distintivi. Gli occhi, spesso socchiusi, alludono alla dichiarata volontà di non condividere alcuna informazione personale o svelare alcun tratto caratterizzante. La stilizzazione arriva al segno, al punto in cui l’apparente afasia delle Digure di superDicie diviene l’imprescindibile postulato della Digura profonda. Si attua un processo che potremmo deDinire denegazione, una negazione-‐affermazione necessaria alla conquista della sua evidentia. Come protagonisti di storie senza nome, i soggetti si offrono allo spettatore in una frontalità sfacciata e discreta che rivendica il suo diritto di esistere come dimensione privata. Lontana da quella forma di pubblica intimità delle esperienze identitarie consumate online, quella di Geerk è una pittura che contrasta la visione monoculare propria dell’auto-‐rappresentazione, mitologia del mondo contemporaneo in cui l’universo percettivo del sé ontologico viene continuamente rinegoziato.
Siamo di fronte a due tipi di piacere dello sguardo, uno voyeuristico e l’altro narcisistico.
I soggetti, inconsapevoli di essere guardati, sono catturati nella propria quotidianità: attività ordinarie e oggetti familiari o di uso comune -‐ una perla tenuta tra le dita, ad esempio, un piatto di spaghetti che sta per essere Dinito o una pera, pronta per essere mangiata -‐ diventano espedienti retorici orientati a stabilire una relazione diretta con chi guarda. Nella contemplazione estetica emerge l'io ideale dell'osservatore che in questo immediato atto vissuto si abbandona al sentimento di se stesso trasposto nell'oggetto estetico. E l'oggetto dell'immedesimazione ‘esprime’ a sua volta di rimando – rifacendosi al Dilosofo e psicologo tedesco Theodor Lipps. Diventiamo così lui, accogliendo l'eredità delle sue azioni; mentre gli spazi ‘vuoti’ attorno ad esso si Digurano come il collante necessario, uno spazio oltre la linea che è desiderio idealizzante di unità.
L’assenza di un contesto spaziale, pertanto, si Digura come il luogo in cui esperienza collettiva e storia personale si riconciliano. Le Digure sono come presenze sospese che trovano nella loro non-‐collocazione la sostanza della propria risoluzione. Il desiderio di universalità dell’oggetto si sposta così in una fuga in avanti in cui Digura e contesto, permanente e temporaneo, conDluiscono l’uno nell’altro in uno spazio in cui sembrano alloggiare danzatori solitari che invitano lo spettatore a cercare in essi specchi in cui riconoscersi.
Privati del senso del tempo e stretti al conDine tra il simbolico e l’astratto, essi incarnano una bellezza silenziosa e perenne. La loro vulnerabile sensualità, tangibile e lontana, li rende Digure innocenti ma non neutrali: Diglie di un’ambiguità temporale che a nessun tempo le riconduce, esse rappresentano la personiDicazione di quello sguardo che allo stesso tempo ci nascondono.
Figure libere che afDidano alla forza evocativa della sintesi segnica il tumulto del sentire, e in questo spasmo mai smarriscono l’eleganza del mistero che hanno appreso.
– Marialuisa Pastò
28
giugno 2018
Lenz Geerk – Pears & Pearls
Dal 28 giugno al 20 settembre 2018
arte contemporanea
Location
ACAPPELLA
Napoli, Via Cappella Vecchia, 8, (Napoli)
Napoli, Via Cappella Vecchia, 8, (Napoli)
Orario di apertura
martedi a venerdi ore 16-19
Vernissage
28 Giugno 2018, ore 19:00
Autore