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23
ottobre 2008
fino al 5.XI.2008 Simon Dybbroe Møller Milano, Francesca Minini
milano
L’equilibrio è statica sottratta allo spazio. In galleria, poche opere di piccole e grandi dimensioni tracciano delle linee. Luoghi sottili, dove la scultura annulla la verticalità della tridimensione. Falsando il reale delle sale...
di Ginevra Bria
A volte si riescono a contemplare – con un nonsoché di meraviglia – casi in cui fare certa arte contemporanea, cioè finalizzare la creatività alla realizzazione di un’esposizione d’opere in spazi privati, fa emergere un anello di collegamento, un ideale e quanto mai appropriato fil rouge compositivo teso a connettere la teoria istituzionale di mostra con idee incolumi da criteri o pregiudizi storici ed estetici già battuti e di-battuti.
Ne è un esempio Not Nature Near, prima personale italiana del giovane Simon Dybbroe Møller (Aerhus, 1976). Per essere meno criptici e leggermente più espliciti, quella che si è potuta osservare negli spazi della galleria di Francesca Minini è stata una prova generale, ben orchestrata, di un Møller che ha regalato, attraverso tre differenti serie di opere (un’installazione, una serie di sculture e un progetto visivo) uno scambio fitto di segnali e impressioni.
Nel pianificare il proprio dialogo sui vuoti dell’equilibrio, l’artista danese ha reso possibile l’insediamento di un linguaggio all’interno delle opere esposte, lasciando aperta la possibilità di far emergere un codice. L’oggettivazione del vuoto arriva con immediatezza e colpisce con l’idea di stasi. Møller di conseguenza studia interventi di grandi dimensioni, come lo shanghai industrializzato e ingigantito che accoglie i visitatori all’ingresso. Da vedere anche, però, l’installazione nella seconda sala, Curtain for Louisiana (No More Moore), un’ampia tenda disegnata con penna a biro, che rievoca la lunga vetrata del Lousiana Museum di Copenhagen, davanti alla quale Dybbroe Møller stende questa cortina bianca e rossa per ostacolare la vista aperta sul parco contenente sculture di Henry Moore.

Nel complesso, passando dalla prima alla seconda sala, si ha la sensazione che permanga un equilibrio costante, una staticità riconoscibile e unica, travasata dalle grandi alle piccole dimensioni. Il danese si è misurato più volte con l’affilatura della luce, la manchevolezza degli spazi e la verticalità implacabile delle pareti, ma questa volta supera il senso aspro della gravità, riducendo la formalità del vuoto ad appropriarsi di masse enormi come fili sottili; sculture essenziali elette a simboli di stasi.
Nel modo di progettare gli spazi, Møller decide, per il farraginoso Start milanese, di esibire materiali che evocano un’energia solida, divertendosi a destabilizzare la loro permanenza. Per Møller, che fa sculture e installazioni, diventa così fondamentale sottrarre il peso dell’idea architettonica alla quiete del basamento di fondo.

L’artista, infatti, è maestro nel campo della sospensione. È, prima di qualsiasi altra accezione, un grande osservatore, un mago dall’aria di un fabbro; un operaio pensatore che piega, attorce, mallea, allunga e che, per finire, dispone, facendo dimenticare a chi osserva le sue opere il senso di estraneità della scultura alle affettazioni dello spazio e alle banalità meccaniche della materia.
Ne è un esempio Not Nature Near, prima personale italiana del giovane Simon Dybbroe Møller (Aerhus, 1976). Per essere meno criptici e leggermente più espliciti, quella che si è potuta osservare negli spazi della galleria di Francesca Minini è stata una prova generale, ben orchestrata, di un Møller che ha regalato, attraverso tre differenti serie di opere (un’installazione, una serie di sculture e un progetto visivo) uno scambio fitto di segnali e impressioni.
Nel pianificare il proprio dialogo sui vuoti dell’equilibrio, l’artista danese ha reso possibile l’insediamento di un linguaggio all’interno delle opere esposte, lasciando aperta la possibilità di far emergere un codice. L’oggettivazione del vuoto arriva con immediatezza e colpisce con l’idea di stasi. Møller di conseguenza studia interventi di grandi dimensioni, come lo shanghai industrializzato e ingigantito che accoglie i visitatori all’ingresso. Da vedere anche, però, l’installazione nella seconda sala, Curtain for Louisiana (No More Moore), un’ampia tenda disegnata con penna a biro, che rievoca la lunga vetrata del Lousiana Museum di Copenhagen, davanti alla quale Dybbroe Møller stende questa cortina bianca e rossa per ostacolare la vista aperta sul parco contenente sculture di Henry Moore.

Nel complesso, passando dalla prima alla seconda sala, si ha la sensazione che permanga un equilibrio costante, una staticità riconoscibile e unica, travasata dalle grandi alle piccole dimensioni. Il danese si è misurato più volte con l’affilatura della luce, la manchevolezza degli spazi e la verticalità implacabile delle pareti, ma questa volta supera il senso aspro della gravità, riducendo la formalità del vuoto ad appropriarsi di masse enormi come fili sottili; sculture essenziali elette a simboli di stasi.
Nel modo di progettare gli spazi, Møller decide, per il farraginoso Start milanese, di esibire materiali che evocano un’energia solida, divertendosi a destabilizzare la loro permanenza. Per Møller, che fa sculture e installazioni, diventa così fondamentale sottrarre il peso dell’idea architettonica alla quiete del basamento di fondo.

L’artista, infatti, è maestro nel campo della sospensione. È, prima di qualsiasi altra accezione, un grande osservatore, un mago dall’aria di un fabbro; un operaio pensatore che piega, attorce, mallea, allunga e che, per finire, dispone, facendo dimenticare a chi osserva le sue opere il senso di estraneità della scultura alle affettazioni dello spazio e alle banalità meccaniche della materia.
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Galleria Francesca Minini
Via Massimiano, 25 (zona Ventura) – 20134 Milano
Orario: da martedì a sabato ore 11-19.30
Ingresso libero
Info: tel. +39 0226924671; fax +39 0221596402; info@francescaminini.it; www.francescaminini.it
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