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09
dicembre 2008
fino al 7.I.2009 Guido Bagini Milano, The Flat
milano
Astrali sono i paesaggi di Bagini. Luoghi in cui le forme perdono la loro struttura, in cui il vuoto sostituisce il colore, in cui le architetture perdono ogni coordinata spaziale. E astrali sono le sculture: tracce fisiche di un mondo metafisico...
Osservando le opere pittoriche di Guido Bagini (Torino, 1970) si ha la sensazione di immergersi in un mondo parallelo, realistico eppure irreale, futuristico, rarefatto, sospeso, vuoto e a tratti impalpabile. È forse per questo che l’artista, in occasione della sua seconda personale milanese, ospite dei nuovi spazi di The Flat, ha deciso di uscire dai confini bidimensionali tradizionali dei suoi smalti su cartone per permetterci di fare esperienza anche tangibile dei suoi paesaggi architettonici metafisici.
Escono infatti direttamente da quel suo mondo utopico le inaspettate sculture in corian, esposte accanto ai dipinti, in un continuo gioco di rimandi. Il materiale utilizzato è altamente innovativo e Bagini lo lavora personalmente, assemblandolo con colle colorate e rifiutando il più comodo processo industriale. Le piccole imperfezioni di questi oggetti sono quindi prova del profondo controllo che l’artista desidera mantenere sull’opera.
La concretizzazione fisica di queste enigmatiche forme contrasta con l’evidente destrutturazione della materia che invece emerge dall’opera pittorica. I luoghi immaginati da Bagini sembrano aver subìto un processo evolutivo che li allontana sempre più dalla fisicità della realtà umana: gli oggetti di design, che sempre popolano questi spazi post-moderni, gradualmente si spingono verso l’astrazione e non rispondono nemmeno più alle basilari leggi fisiche.

Pare non esistere infatti la forza di gravità nei paesaggi del pittore torinese, e persino le coordinate spaziali non hanno più alcun valore definito. L’immagine, infatti, può essere vista anche da una prospettiva diversa rispetto a quella tradizionale, capovolgendola di 180° e rivelando spazi nascosti, seppur complementari a quelli standard. Ecco quindi che lo spazio perde qualsiasi fissità per diventare mobile e mutabile, pur senza perdere del tutto la sua identità e riconoscibilità.
Rispetto alle opere precedenti, anche tecnicamente è evidente quanto le forme che Bagini crea siano diventate sempre più essenziali, fin quasi a scomporsi e a destrutturarsi poco a poco. È nettamente aumentata la precisione con cui le linee e gli spazi sono definiti ed è sparito quasi del tutto l’effetto con cui l’artista sfumava il colore, lasciando cadere e scivolare sapientemente macchie di smalto. Un colore che si è come ritirato, lasciando spazio al marrone della base in cartone, all’assenza, al vuoto. Vuoto che non comunica un bisogno di essere colmato, ma un senso di leggerezza, silenzio e immaterialità.

Bagini sembra quindi voler continuare nel suo processo di rimozione, togliendo elementi, eliminando certezze, focalizzando solo l’essenziale e addirittura estrapolandolo dal contesto pittorico, per catapultarlo nel mondo reale. Proprio come un segno, una traccia di un mondo astrale, lontano anni luce eppure possibile.
Escono infatti direttamente da quel suo mondo utopico le inaspettate sculture in corian, esposte accanto ai dipinti, in un continuo gioco di rimandi. Il materiale utilizzato è altamente innovativo e Bagini lo lavora personalmente, assemblandolo con colle colorate e rifiutando il più comodo processo industriale. Le piccole imperfezioni di questi oggetti sono quindi prova del profondo controllo che l’artista desidera mantenere sull’opera.
La concretizzazione fisica di queste enigmatiche forme contrasta con l’evidente destrutturazione della materia che invece emerge dall’opera pittorica. I luoghi immaginati da Bagini sembrano aver subìto un processo evolutivo che li allontana sempre più dalla fisicità della realtà umana: gli oggetti di design, che sempre popolano questi spazi post-moderni, gradualmente si spingono verso l’astrazione e non rispondono nemmeno più alle basilari leggi fisiche.

Pare non esistere infatti la forza di gravità nei paesaggi del pittore torinese, e persino le coordinate spaziali non hanno più alcun valore definito. L’immagine, infatti, può essere vista anche da una prospettiva diversa rispetto a quella tradizionale, capovolgendola di 180° e rivelando spazi nascosti, seppur complementari a quelli standard. Ecco quindi che lo spazio perde qualsiasi fissità per diventare mobile e mutabile, pur senza perdere del tutto la sua identità e riconoscibilità.
Rispetto alle opere precedenti, anche tecnicamente è evidente quanto le forme che Bagini crea siano diventate sempre più essenziali, fin quasi a scomporsi e a destrutturarsi poco a poco. È nettamente aumentata la precisione con cui le linee e gli spazi sono definiti ed è sparito quasi del tutto l’effetto con cui l’artista sfumava il colore, lasciando cadere e scivolare sapientemente macchie di smalto. Un colore che si è come ritirato, lasciando spazio al marrone della base in cartone, all’assenza, al vuoto. Vuoto che non comunica un bisogno di essere colmato, ma un senso di leggerezza, silenzio e immaterialità.

Bagini sembra quindi voler continuare nel suo processo di rimozione, togliendo elementi, eliminando certezze, focalizzando solo l’essenziale e addirittura estrapolandolo dal contesto pittorico, per catapultarlo nel mondo reale. Proprio come un segno, una traccia di un mondo astrale, lontano anni luce eppure possibile.
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La precedente personale di Bagini da The Flat
elisa zancanella
mostra visitata il 19 novembre 2008
dal 13 novembre 2008 al 7 gennaio 2009
Guido Bagini – Astral Signs
The Flat – Massimo Carasi
Via Frisi, 3 (zona Porta Venezia) – 20129 Milano
Orario: da martedì a sabato ore 14-19.30; festivi su appuntamento
Ingresso libero
Catalogo con testo di Marinella Paderni
Info: tel./fax +39 0258313809; carasi-massimo@libero.it; www.carasi.it
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