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Marco Zezza – Prime luci dell’alba
Marco Zezza scava in una memoria italica alla ricerca del momento in cui l’uomo aveva stabilito con la natura e con il naturale un rapporto diretto, ma accosta alle immagini di un passato etrusco, la mitografia degli indiani d’America e le narrazioni di un passato recente in cui il mito del progresso era solo un aggiornamento tecnologico di un deciso radicarsi alla terra
Comunicato stampa
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MARCO ZEZZA
Prime Luci dell’alba
Mostra 29 Marzo 2012 – 15 Maggio 2012
Se qualcosa non muore non può nascere altro è il titolo emblematico di uno dei collage in mostra,
ma allo stesso tempo è una dichiarazione di poetica dell'artista. Il progetto Prime luci dell'alba
come gran parte dei lavori di Marco Zezza ha un legame fortissimo con il suo tempo e la condizione
politica che stiamo vivendo. L'arte al tempo della crisi - più grave quella epistemica che quella
economica - per Marco Zezza deve necessariamente assumersi le responsabilità di un ruolo nodale
all'interno della società. L'artista storicamente è il soggetto critico della città1 e come tale Marco
Zezza rivendica alla sua azione una carica energetica capace di incidere nel presente. Infatti, l'artista
confida nel processo di rigenerazione spirituale oltre che estetico che l'arte, radicata così nella vita
dell'umanità intera, può innescare. E' un processo trasformativo analogo a quello che compie
l'artista creator che, in connessione profonda tanto con la natura che con il sociale, progetta una
nuova condizione di socialità. Marco Zezza scava in una memoria italica alla ricerca del momento
in cui l'uomo aveva stabilito con la natura e con il naturale un rapporto diretto, ma accosta alle
immagini di un passato etrusco, la mitografia degli indiani d'America e le narrazioni di un passato
recente in cui il mito del progresso era solo un aggiornamento tecnologico di un deciso radicarsi
alla terra. La distanza che separa l'artista da questo modello, nient'affatto ideale ma conosciuto
empiricamente nell'esperienza delle persistenze che rintraccia nella contemporaneità, non produce
smarrimento, ma desiderio e progetto. In questi momenti così distanti nel tempo e nello spazio
Marco Zezza riconosce un uomo universale e singolare e il persistere di un sentimento che centra
l'individuo in una collettività naturale e sociale, che tiene insieme i due caratteri dell'esistenza senza
che venga a prodursi con il conflitto e con la prevaricazione di un polo su un altro l'annientamento e
la rimozione dell'uno, ma, invece, una condizione di simultaneità e di inclusione. Il progetto
espositivo dell'artista così ricompone gli opposti, gli oggetti di prelievo e le storie differenti in
narrazioni plurime. Solamente attraverso il collage poteva farlo, cioè attraverso quel procedimento
che l'avanguardia storica ha assunto a dignità di medium, che già implicitamente nei meccanismi
che lo producono e in quelli estetici che attiva, propone una riprogrammazione utopica del mondo.
Il collage, infatti, permette all'artista, dell'avanguardia quanto a quello della nostra più stretta
contemporaneità, di riscrivere con differenti elementi, essi stessi portatori di un significato proprio,
una nuova narrazione che non cancella la memoria pregressa. Infatti se «l'opera non è più immagine
di una totalità formata in tutte le sue parti dalla soggettività dell'artista»2, scrive il critico letterario
tedesco Peter Bürger nel celebre saggio Teoria dell'avanguardia, registra la frammentazione del
reale. Nel caso dei papiers collés il procedimento che sminuzza i libri della Storia d'Italia
dell'inizio del ‘900, le riviste mediche degli anni '10 e le pubblicazioni antiche appartenute alla
famiglia dell'artista culmina nella riorganizzazione di tutti questi tasselli in una griglia geometrica.
La griglia, elemento strutturale e insieme simbolico del modernismo a cui Rosalind Krauss dedica
un saggio apparso per la prima volta nel 1979 sulla rivista “October” annuncia la volontà di silenzio
dell'arte moderna, la sua ostilità nei confronti della letteratura, del racconto e del discorso. La
Eugenio Trías, L'artista e la città, Le Lettere, Firenze 2005.
Bürger, Teoria dell'avanguardia, trad. it., Bollati Boringhieri, torino 1990, p.87.
costruzione geometrica ripetuta ossessivamente in tutte le opere in mostra tiene certamente conto
della natura significante della struttura ma viene utilizzata essa stessa come elemento di prelievo.
Più che eco del rigido controllo della «spazializzazione del racconto»3, la griglia geometrica si
dichiara come analogo della trama tessuta. Patchwork di discorsi ridotti in frammenti, il collage si
dona all'osservatore come tavola su cui sperimentare una ricostruzione individuale di quei discorsi
oppure come seducente alternanza optical. Il collage ha memoria di un passato in cui
nell'ornamento l'arte esprimeva lo stretto legame con l'architettura, con la città e il sociale. Il
rapporto complesso tra il materiale e il suo rivestimento che nello scardinare le regole
dell'ornamento – la cui natura era un delitto per Adolf Loos - ha interessato il dibattito dell'arte e
dell'architettura nel primo decennio del '900, mantiene nelle suggestioni del progetto di Marco
Zezza esposto al Museo Apparente il vigore della discussione suggerendo di riprendere il discorso
proprio dal rapporto tra oggetto e ornamento nel dubbio che l'odierna riduzione del processo
artistico a design - e a quello che vagamente viene definito “lavoro creativo”- sposti strategicamente
la riflessione sulla funzione e ruolo dell'arte nella vita alla superficie dell'oggetto. Angelo Trimarco
che dedica un libro ai temi del dibattito che dalla fine dell'Ottocento ha avuto come oggetto
l'ornamento, ricorda la posizione teorica di Herman Broch che rivendicava, lontano dai presupposti
funzionalisti, la necessità dell'ornamento come rivelazione della radice matematica dello stile4. Il
binomio astrazione geometrica e ornamento che nel lavoro di Marco Zezza si realizza nella serie di
collage è l'assunto che permette gli accostamenti per sollecitazioni e suggestioni tra la i riferimenti
al popolo etrusco e in particolare al loro specifico rapporto con la natura (alcuni dei libri smembrati
e sminuzzati erano vecchi saggi di storia dell'archeologia etrusca) insieme con i riferimenti,
rintracciabili nella composizione geometrica, alle popolazioni native dell'america. A questo
proposito lungo la riflessione sullo stile e sulla decorazione non può passare inosservata la
vicinanza tra le procedure utilizzate da Marco Zezza e la proposta critica centrale nel dibattito sulle
arti nel primo decennio del '900. Wilhelm Worringer che, nell'analisi dei due differenti poli - quello
dell'astrazione e quello dell'empatia - sostiene che «come ultimo e più esteriore espediente per
trasferire l'organico nella sfera dell'astratto-inorganico, va ricordata la tendenza a trattare i
particolari in modo puramente decorativo, riducendoli a motivi geometrici»5. Lo stesso Worringer
riconosceva che le forme dell'arte «primitiva, esotica o arcaica» esercitavano un gran fascino
sull'arte del suo tempo e perfino «una funzione di vero e proprio insegnamento». Lo studio delle
fasi arcaiche della produzione artistica si sviluppa proprio nel primo decennio del secolo intorno al
tema fondamentale dello stile. Prime luci dell'alba il grande collage-rosone che si staglia sulla
parete di fondo dello spazio espositivo è composto dalle pagine e da ritagli di un libro smembrato
pubblicato in Italia nei primi anni del '900. L'Apollo di Veio, la stupenda scultura etrusca esercita
sull'artista, lo stesso fascino quello di un passato mitico e dell'emergenza di un rinnovato
sentimento dell'antico che per certi versi, oltre le radicali differenze, ricorda lo stupore misto ad
adorazione che agitava Winckelmann nella visione dell'Apollo del Belvedere6. L'oggetto
d'ammirazione è radicalmente diverso, e diversa è la prospettiva storico-critica che muove la ricerca
di Winckelmann, ma è emblematico il potere simbolico e di narrazione che l'arte può assumere nel
rapporto con l'individuo. Prime luci dell'alba è un progetto complesso, parte di una poetica che
rivendica la possibilità che l'arte inneschi una trasformazione del mondo attraverso la rigenerazione
dell'individuo. L'intero progetto che utilizza, senza dissimularle, le figure retoriche (la sineddoche)
la citazione del gusto intellettuale sofisticato di inizio Novecento, i libri antichi tagliati e ricomposti
in una narrazione ulteriore, culmina nel grande rosone con la convergenza di tutti i temi in un
nucleo di energia creativa che si ripromette di contagiare l'Umanità.
E. Krauss, L'originalità dell'avanguardia e altri mii modernisti, trad. it., Fazi Editore, Roma 2007.
Trimarco, Ornamento, Il sistema dell'arte nell'epoca della Megalopooli, Mimesis, Milano 2009
5Wilhelm Worringer, Astrazione e empatia,trad. it., Einaudi, Torino 1975, p. 104
6Johann J. Winckelmann, Il Bello nell'arte. Scritti sull'arte antica, a cura di Federico Pfister, Einaudi, Torino 1973.
Prime Luci dell’alba
Mostra 29 Marzo 2012 – 15 Maggio 2012
Se qualcosa non muore non può nascere altro è il titolo emblematico di uno dei collage in mostra,
ma allo stesso tempo è una dichiarazione di poetica dell'artista. Il progetto Prime luci dell'alba
come gran parte dei lavori di Marco Zezza ha un legame fortissimo con il suo tempo e la condizione
politica che stiamo vivendo. L'arte al tempo della crisi - più grave quella epistemica che quella
economica - per Marco Zezza deve necessariamente assumersi le responsabilità di un ruolo nodale
all'interno della società. L'artista storicamente è il soggetto critico della città1 e come tale Marco
Zezza rivendica alla sua azione una carica energetica capace di incidere nel presente. Infatti, l'artista
confida nel processo di rigenerazione spirituale oltre che estetico che l'arte, radicata così nella vita
dell'umanità intera, può innescare. E' un processo trasformativo analogo a quello che compie
l'artista creator che, in connessione profonda tanto con la natura che con il sociale, progetta una
nuova condizione di socialità. Marco Zezza scava in una memoria italica alla ricerca del momento
in cui l'uomo aveva stabilito con la natura e con il naturale un rapporto diretto, ma accosta alle
immagini di un passato etrusco, la mitografia degli indiani d'America e le narrazioni di un passato
recente in cui il mito del progresso era solo un aggiornamento tecnologico di un deciso radicarsi
alla terra. La distanza che separa l'artista da questo modello, nient'affatto ideale ma conosciuto
empiricamente nell'esperienza delle persistenze che rintraccia nella contemporaneità, non produce
smarrimento, ma desiderio e progetto. In questi momenti così distanti nel tempo e nello spazio
Marco Zezza riconosce un uomo universale e singolare e il persistere di un sentimento che centra
l'individuo in una collettività naturale e sociale, che tiene insieme i due caratteri dell'esistenza senza
che venga a prodursi con il conflitto e con la prevaricazione di un polo su un altro l'annientamento e
la rimozione dell'uno, ma, invece, una condizione di simultaneità e di inclusione. Il progetto
espositivo dell'artista così ricompone gli opposti, gli oggetti di prelievo e le storie differenti in
narrazioni plurime. Solamente attraverso il collage poteva farlo, cioè attraverso quel procedimento
che l'avanguardia storica ha assunto a dignità di medium, che già implicitamente nei meccanismi
che lo producono e in quelli estetici che attiva, propone una riprogrammazione utopica del mondo.
Il collage, infatti, permette all'artista, dell'avanguardia quanto a quello della nostra più stretta
contemporaneità, di riscrivere con differenti elementi, essi stessi portatori di un significato proprio,
una nuova narrazione che non cancella la memoria pregressa. Infatti se «l'opera non è più immagine
di una totalità formata in tutte le sue parti dalla soggettività dell'artista»2, scrive il critico letterario
tedesco Peter Bürger nel celebre saggio Teoria dell'avanguardia, registra la frammentazione del
reale. Nel caso dei papiers collés il procedimento che sminuzza i libri della Storia d'Italia
dell'inizio del ‘900, le riviste mediche degli anni '10 e le pubblicazioni antiche appartenute alla
famiglia dell'artista culmina nella riorganizzazione di tutti questi tasselli in una griglia geometrica.
La griglia, elemento strutturale e insieme simbolico del modernismo a cui Rosalind Krauss dedica
un saggio apparso per la prima volta nel 1979 sulla rivista “October” annuncia la volontà di silenzio
dell'arte moderna, la sua ostilità nei confronti della letteratura, del racconto e del discorso. La
Eugenio Trías, L'artista e la città, Le Lettere, Firenze 2005.
Bürger, Teoria dell'avanguardia, trad. it., Bollati Boringhieri, torino 1990, p.87.
costruzione geometrica ripetuta ossessivamente in tutte le opere in mostra tiene certamente conto
della natura significante della struttura ma viene utilizzata essa stessa come elemento di prelievo.
Più che eco del rigido controllo della «spazializzazione del racconto»3, la griglia geometrica si
dichiara come analogo della trama tessuta. Patchwork di discorsi ridotti in frammenti, il collage si
dona all'osservatore come tavola su cui sperimentare una ricostruzione individuale di quei discorsi
oppure come seducente alternanza optical. Il collage ha memoria di un passato in cui
nell'ornamento l'arte esprimeva lo stretto legame con l'architettura, con la città e il sociale. Il
rapporto complesso tra il materiale e il suo rivestimento che nello scardinare le regole
dell'ornamento – la cui natura era un delitto per Adolf Loos - ha interessato il dibattito dell'arte e
dell'architettura nel primo decennio del '900, mantiene nelle suggestioni del progetto di Marco
Zezza esposto al Museo Apparente il vigore della discussione suggerendo di riprendere il discorso
proprio dal rapporto tra oggetto e ornamento nel dubbio che l'odierna riduzione del processo
artistico a design - e a quello che vagamente viene definito “lavoro creativo”- sposti strategicamente
la riflessione sulla funzione e ruolo dell'arte nella vita alla superficie dell'oggetto. Angelo Trimarco
che dedica un libro ai temi del dibattito che dalla fine dell'Ottocento ha avuto come oggetto
l'ornamento, ricorda la posizione teorica di Herman Broch che rivendicava, lontano dai presupposti
funzionalisti, la necessità dell'ornamento come rivelazione della radice matematica dello stile4. Il
binomio astrazione geometrica e ornamento che nel lavoro di Marco Zezza si realizza nella serie di
collage è l'assunto che permette gli accostamenti per sollecitazioni e suggestioni tra la i riferimenti
al popolo etrusco e in particolare al loro specifico rapporto con la natura (alcuni dei libri smembrati
e sminuzzati erano vecchi saggi di storia dell'archeologia etrusca) insieme con i riferimenti,
rintracciabili nella composizione geometrica, alle popolazioni native dell'america. A questo
proposito lungo la riflessione sullo stile e sulla decorazione non può passare inosservata la
vicinanza tra le procedure utilizzate da Marco Zezza e la proposta critica centrale nel dibattito sulle
arti nel primo decennio del '900. Wilhelm Worringer che, nell'analisi dei due differenti poli - quello
dell'astrazione e quello dell'empatia - sostiene che «come ultimo e più esteriore espediente per
trasferire l'organico nella sfera dell'astratto-inorganico, va ricordata la tendenza a trattare i
particolari in modo puramente decorativo, riducendoli a motivi geometrici»5. Lo stesso Worringer
riconosceva che le forme dell'arte «primitiva, esotica o arcaica» esercitavano un gran fascino
sull'arte del suo tempo e perfino «una funzione di vero e proprio insegnamento». Lo studio delle
fasi arcaiche della produzione artistica si sviluppa proprio nel primo decennio del secolo intorno al
tema fondamentale dello stile. Prime luci dell'alba il grande collage-rosone che si staglia sulla
parete di fondo dello spazio espositivo è composto dalle pagine e da ritagli di un libro smembrato
pubblicato in Italia nei primi anni del '900. L'Apollo di Veio, la stupenda scultura etrusca esercita
sull'artista, lo stesso fascino quello di un passato mitico e dell'emergenza di un rinnovato
sentimento dell'antico che per certi versi, oltre le radicali differenze, ricorda lo stupore misto ad
adorazione che agitava Winckelmann nella visione dell'Apollo del Belvedere6. L'oggetto
d'ammirazione è radicalmente diverso, e diversa è la prospettiva storico-critica che muove la ricerca
di Winckelmann, ma è emblematico il potere simbolico e di narrazione che l'arte può assumere nel
rapporto con l'individuo. Prime luci dell'alba è un progetto complesso, parte di una poetica che
rivendica la possibilità che l'arte inneschi una trasformazione del mondo attraverso la rigenerazione
dell'individuo. L'intero progetto che utilizza, senza dissimularle, le figure retoriche (la sineddoche)
la citazione del gusto intellettuale sofisticato di inizio Novecento, i libri antichi tagliati e ricomposti
in una narrazione ulteriore, culmina nel grande rosone con la convergenza di tutti i temi in un
nucleo di energia creativa che si ripromette di contagiare l'Umanità.
E. Krauss, L'originalità dell'avanguardia e altri mii modernisti, trad. it., Fazi Editore, Roma 2007.
Trimarco, Ornamento, Il sistema dell'arte nell'epoca della Megalopooli, Mimesis, Milano 2009
5Wilhelm Worringer, Astrazione e empatia,trad. it., Einaudi, Torino 1975, p. 104
6Johann J. Winckelmann, Il Bello nell'arte. Scritti sull'arte antica, a cura di Federico Pfister, Einaudi, Torino 1973.
29
marzo 2012
Marco Zezza – Prime luci dell’alba
Dal 29 marzo al 15 maggio 2012
arte contemporanea
Location
MUSEO APPARENTE
Napoli, Vico Santa Maria Apparente, 17, (Napoli)
Napoli, Vico Santa Maria Apparente, 17, (Napoli)
Vernissage
29 Marzo 2012, h 19
Autore