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Guglielmo Achille Cavellini
Omaggio a Guglielmo Achille Cavellini (1914-1990), in collaborazione con l’Archivio Cavellini di Brescia. GAC (così firmava le sue opere, e così amava farsi chiamare), è stato un famoso studioso e collezionista d’arte astratta europea. In mostra, un’esclusiva selezione di lavori denominati CARBONI GEOMETRICI che focalizza un particolare momento creativo dell’artista.
Comunicato stampa
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Omaggio a Guglielmo Achille Cavellini (1914-1990), in collaborazione con l'Archivio Cavellini di Brescia. GAC (così firmava le sue opere, e così amava farsi chiamare), è stato un famoso studioso e collezionista d’arte astratta europea. In mostra, un’esclusiva selezione di lavori denominati CARBONI GEOMETRICI che focalizza un particolare momento creativo dell’artista. Dal 1968 al 1971, GAC sposta la sua sensibilissima qualità pittorica all’interno di prodotti rielaborati dal gesto purificatore e provocatorio della bruciatura. Da opere precedenti, sgorgano opere nuove. Rigenerate dalla forma e dal colore.
Guglielmo Achille Cavellini esordisce negli Anni ‘40 con disegni e ritratti. I '60, li dedica alla sperimentazione. Alcuni esempi del suo lavoro sono legati a citazioni: vere e proprie rielaborazioni di celebri opere, ne fanno un autentico attore nella “messa in scena” dell'arte. GAC, poi, mette in pratica la teoria dell'Autostoricizzazione: ovvero il fare da sé, nel costruirsi attorno l'alone del successo, mettendo in disparte i processi canonici che il sistema utilizza a tale scopo. Non è un atto di megalomane autorappresentazione, ma l'innescarsi di un processo alternativo. Una rivoluzione all'interno della comunicazione artistica. Se Andy Warhol lo ritrae, il “geniaccio” gli rende a sua volta omaggio col francobollo "Le Marilyn di Warhol" (1984). L’utilizzo dei materiali di recupero (negli oggetti assemblati, negli intarsi in legno, nei carboni), è lo strumento del suo operare. Teatrini dove tragicamente si accumulano giocattoli e soldatini sottratti all'uso infantile; francobolli che omaggiano i geni della pittura (Picasso, Lèger, Matisse, Braque...). Dopo anni di silenziosa attesa - dovuta alla particolare e anticipatrice formula artistica - il lavoro di GAC sta finalmente riprendendo luce e attenzione collezionistica. Lo testimonia, oltre ai CARBONI GEOMETRICI, il settore della mostra dedicato ai lavori creati dagli Anni ’40 al 1990.
Per tutta la durata dell’esposizione, lo storico bar Jamaica, luogo caro a GAC dove incontrava amici artisti e intellettuali, ospiterà in collaborazione con Fabbrica Eos alcune sue opere.
CARBONI
Nel processo artistico di Guglielmo Achille Cavellini il superamento e la negazione divengono spesso, con una ciclica costanza, sistema non solo di elaborazione concettuale ma anche di ricostruzione formale.
Accadde anche quando, intorno al 1968, si mise a bruciare i legni delle opere precedenti che erano sfuggiti all’incassettamento, altra occasione questa che gli aveva fornito gli elementi di un’ulteriore formulazione linguistica.
Ne sortirono i carboni, superfici azzeranti e nello stesso tempo vibratili che fino ai primi Settanta vestirono e fecero da sfondo alle sue opere che, come per un vero e proprio effetto di purificazione, si spogliarono di qualsiasi richiamo nuovodadaista per giungere ad un territorio in cui la sostanza personale trovava finalmente il sopravvento.
Ci si buttò a capofitto, come d'altronde aveva fatto in ogni occasione in cui si era trovato per le mani un nuovo tessuto da applicare al suo desiderio di produrre interstizi durevoli tra sé ed il mondo.
Lo fece perdurando nelle citazioni ed omaggi alla costante delle forme degli autori che evidentemente gli parevano gemelli proprio in quella storia che si sforzava di superare, ma anche applicandosi alla sua qualità di pittore, anticipando un ritorno che di li a poco avrebbe pervaso una nascente generazione postmoderna.
Nacquero così quelli che, forse impropriamente, chiamò “carboni geometrici”, a cui trasmise la sua dedizione alla forma pittorica che tanta parte aveva avuto nella sua formazione.
Dicevamo impropriamente perché di euclideo c’è ben poco in quelle prove, e di costruttivo solo un rimando, un’ulteriore citazione.
C’è invece una scelta di trasformazione, un paradosso pittorico che si applica non più alla superficie ma alla forma oggettuale, in un certo senso alla scultura.
Per far ciò si allontanò definitivamente dal gesto per affidarsi al progetto. In questo si può trovare un’ulteriore assonanza generazionale, come al solito non un debito ma ancora un’intrusione in un contesto che proprio allora nasceva come forma esplicita, quella della “pittura oggettuale” sia estroflessa che di superficie.
D’altronde ad ogni passo sembra proprio questa la sua qualità migliore, cavalcare i fantasmi della contemporaneità artistica come fossero oggetti di cui appropriarsi, condurli al proprio uso di sistematizzatore dei processi temporali.
Fuori dalla parcellizzante teoria della costruzione di un’Enciclopedia personale formata dai frammenti di un’Enciclopedia generale di cui si sente in grado di governare i destini al di là delle strettoie che gli pone il tempo, compaiono queste nuove opere come un inno alla forma, una squillante distensione dei colori all’interno di una superficie scura, rugosa come mantenesse ancora la memoria delle opere da cui è stata generata.
Nella stesura sembra anche qui anticipare il segno di quella che sarà la sua stigmate
autostoricizzante: la scrittura.
In questo caso dice di sé come pittore, del grande sogno che è stato realizzarsi col lavoro altrui, di quanta fatica costò pretenderne la condizione, della liberazione infine che trovò alla scoperta di una materia personale, per cui più nessuno avrebbe potuto discutere di primogeniture.
Archivio Cavellini
Guglielmo Achille Cavellini esordisce negli Anni ‘40 con disegni e ritratti. I '60, li dedica alla sperimentazione. Alcuni esempi del suo lavoro sono legati a citazioni: vere e proprie rielaborazioni di celebri opere, ne fanno un autentico attore nella “messa in scena” dell'arte. GAC, poi, mette in pratica la teoria dell'Autostoricizzazione: ovvero il fare da sé, nel costruirsi attorno l'alone del successo, mettendo in disparte i processi canonici che il sistema utilizza a tale scopo. Non è un atto di megalomane autorappresentazione, ma l'innescarsi di un processo alternativo. Una rivoluzione all'interno della comunicazione artistica. Se Andy Warhol lo ritrae, il “geniaccio” gli rende a sua volta omaggio col francobollo "Le Marilyn di Warhol" (1984). L’utilizzo dei materiali di recupero (negli oggetti assemblati, negli intarsi in legno, nei carboni), è lo strumento del suo operare. Teatrini dove tragicamente si accumulano giocattoli e soldatini sottratti all'uso infantile; francobolli che omaggiano i geni della pittura (Picasso, Lèger, Matisse, Braque...). Dopo anni di silenziosa attesa - dovuta alla particolare e anticipatrice formula artistica - il lavoro di GAC sta finalmente riprendendo luce e attenzione collezionistica. Lo testimonia, oltre ai CARBONI GEOMETRICI, il settore della mostra dedicato ai lavori creati dagli Anni ’40 al 1990.
Per tutta la durata dell’esposizione, lo storico bar Jamaica, luogo caro a GAC dove incontrava amici artisti e intellettuali, ospiterà in collaborazione con Fabbrica Eos alcune sue opere.
CARBONI
Nel processo artistico di Guglielmo Achille Cavellini il superamento e la negazione divengono spesso, con una ciclica costanza, sistema non solo di elaborazione concettuale ma anche di ricostruzione formale.
Accadde anche quando, intorno al 1968, si mise a bruciare i legni delle opere precedenti che erano sfuggiti all’incassettamento, altra occasione questa che gli aveva fornito gli elementi di un’ulteriore formulazione linguistica.
Ne sortirono i carboni, superfici azzeranti e nello stesso tempo vibratili che fino ai primi Settanta vestirono e fecero da sfondo alle sue opere che, come per un vero e proprio effetto di purificazione, si spogliarono di qualsiasi richiamo nuovodadaista per giungere ad un territorio in cui la sostanza personale trovava finalmente il sopravvento.
Ci si buttò a capofitto, come d'altronde aveva fatto in ogni occasione in cui si era trovato per le mani un nuovo tessuto da applicare al suo desiderio di produrre interstizi durevoli tra sé ed il mondo.
Lo fece perdurando nelle citazioni ed omaggi alla costante delle forme degli autori che evidentemente gli parevano gemelli proprio in quella storia che si sforzava di superare, ma anche applicandosi alla sua qualità di pittore, anticipando un ritorno che di li a poco avrebbe pervaso una nascente generazione postmoderna.
Nacquero così quelli che, forse impropriamente, chiamò “carboni geometrici”, a cui trasmise la sua dedizione alla forma pittorica che tanta parte aveva avuto nella sua formazione.
Dicevamo impropriamente perché di euclideo c’è ben poco in quelle prove, e di costruttivo solo un rimando, un’ulteriore citazione.
C’è invece una scelta di trasformazione, un paradosso pittorico che si applica non più alla superficie ma alla forma oggettuale, in un certo senso alla scultura.
Per far ciò si allontanò definitivamente dal gesto per affidarsi al progetto. In questo si può trovare un’ulteriore assonanza generazionale, come al solito non un debito ma ancora un’intrusione in un contesto che proprio allora nasceva come forma esplicita, quella della “pittura oggettuale” sia estroflessa che di superficie.
D’altronde ad ogni passo sembra proprio questa la sua qualità migliore, cavalcare i fantasmi della contemporaneità artistica come fossero oggetti di cui appropriarsi, condurli al proprio uso di sistematizzatore dei processi temporali.
Fuori dalla parcellizzante teoria della costruzione di un’Enciclopedia personale formata dai frammenti di un’Enciclopedia generale di cui si sente in grado di governare i destini al di là delle strettoie che gli pone il tempo, compaiono queste nuove opere come un inno alla forma, una squillante distensione dei colori all’interno di una superficie scura, rugosa come mantenesse ancora la memoria delle opere da cui è stata generata.
Nella stesura sembra anche qui anticipare il segno di quella che sarà la sua stigmate
autostoricizzante: la scrittura.
In questo caso dice di sé come pittore, del grande sogno che è stato realizzarsi col lavoro altrui, di quanta fatica costò pretenderne la condizione, della liberazione infine che trovò alla scoperta di una materia personale, per cui più nessuno avrebbe potuto discutere di primogeniture.
Archivio Cavellini
11
marzo 2010
Guglielmo Achille Cavellini
Dall'undici marzo al 10 aprile 2010
arte contemporanea
Location
ORMA ART GALLERY
Milano, Corso Di Porta Nuova, 3, (Milano)
Milano, Corso Di Porta Nuova, 3, (Milano)
Orario di apertura
da martedì a sabato 10.00-13.00; 16.00-19.00
Vernissage
11 Marzo 2010, dalle ore 18.00 alle 20.00. Cocktail: dalle 20.00 al Bar Jamaica, Via Brera 32
Ufficio stampa
PRESS & MEDIA
Autore




