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Regina José Galindo – Cepo
performance
Comunicato stampa
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“L’uomo è condannato a essere libero” (J. P. Sartre)
La Fondazione Volume! è orgogliosa di presentare Regina Josè Galindo (Ciudad de Guatemala - Guatemala, 1974) artista tra le più interessanti ed evocative del panorama internazionale. Leone d’Oro (under 35) alla 51a edizione della Biennale di Venezia, la Galindo, ha concepito per la sua prima performance romana e per Volume! l’azione “Cepo”, performance ispiratale dalla struttura carceraria di Regina Coeli che costeggia lo spazio espositivo.
La performance avrà luogo, infatti, in prossimità del muro che delimita il cortile del carcere e vedrà l’artista costretta alla gogna per un tempo indeterminato. L’azione si pone come un’asserzione di resistenza nei confronti delle dinamiche di scissione strumentale tra bene e male, innocenza e reità, autonomia e asservimento, con cui la società giustifica l’esercizio dei propri poteri decisionali sull’individuo, in ambito sia politico che culturale.
“L’essere umano vive costantemente la tensione tra le strategie di potere. La società presenta sempre una componente forte e una debole, una vittima e un carnefice, chi è libero e chi è condannato. Nel mezzo di questa tensione l’essere umano si sente paralizzato, limitato, escluso dallo stesso sistema, dal suo intento di mantenere il controllo. Si creano prigioni immaginarie e forme di tortura quotidiana che limitano la libertà individuale”. (Regina Josè Galindo)
E’ attraverso azioni e performances fondate sullo spostamento metaforico e sulla trasposizione di significato che Regina Galindo costruisce il sistema che regola il linguaggio artistico e la spiazzante immediatezza del suo apparato iconografico. Avvalendosi del corpo quale sfaccettato territorio di denuncia, l’artista si fa manifesto vivente della gravità e dell’urgenza di risoluzione di problematiche attuali che letteralmente continuano a lacerare contesti sociali disagiati e compromessi, politicamente e culturalmente, come quello da cui lei stessa proviene, il Guatemala. La sua non è una lotta di tipo astratto, ovvero non affronta o polemizza su tematiche universali, ma contiene sempre un fattore di concretezza che la porta ad indagare, smascherare e, conseguentemente, a denunciare fatti e misfatti reali e spesso taciuti o censurati. Visivamente, la sua si configura come una battaglia silenziosa e al tempo stesso sgolante, che trova fondamento nel concetto di resistenza, dell’individuo e della collettività, nei confronti della censura e del diniego alla vita. Spesso tale battaglia riguarda molto più da vicino la donna (le limitazioni o gli abusi che subisce), sebbene il significato del lavoro della Galindo non va individuato entro i limiti di una contestazione post femminista. E’ l’essere umano ad essere al centro dei suoi interessi, l’umanità, intesa come corpo sociale smembrato dai conflitti interni alle dinamiche di potere. Prendendo spunto dalla realtà, la Galindo non fa che emulare la crudeltà di certi meccanismi (politici, psicologici, sessisti) di repressione, e rappresentarne visivamente l’assurdità, fornendo al pubblico la reiterazione di una cronaca vera, spietata sì, perché sempre veicolata priva di filtro. La sua contestazione politica avviene perlopiù sottoforma di espiazione di tipo sacrificale, a tratti cruenta. Come nella ricostruzione dell’imene (presentata nel video “Himenoplastia”, 2004) o nell’incisione della propria carne (nella performance “Perra”, 2005, in cui l’artista armata di un coltello da banco si inscrive sulla gamba il termine che volgarmente denomina, a priori, la donna, prostituta). La Galindo sempre, in qualche modo, si immola, ma senza patetismi. La percezione lucida di subire e vivere costantemente in uno stato di guerra (sommessa, casalinga, individuale come pubblica, collettiva, popolare) la esonera automaticamente dall’assumere qualsiasi tipo di atteggiamento commiserevole, e la porta invece a sviluppare un’audacia che, tradotta nel linguaggio dell’arte, arriva ad assumere una valenza estetica dirompente e un’impronta universale, capace di attraversare trasversalmente la nervatura di contesti sociali differenti e differentemente coinvolti nelle problematiche denunciate e di colpire la coscienza dell’intera collettività.
(Emanuela Nobile Mino)
La Fondazione Volume! è orgogliosa di presentare Regina Josè Galindo (Ciudad de Guatemala - Guatemala, 1974) artista tra le più interessanti ed evocative del panorama internazionale. Leone d’Oro (under 35) alla 51a edizione della Biennale di Venezia, la Galindo, ha concepito per la sua prima performance romana e per Volume! l’azione “Cepo”, performance ispiratale dalla struttura carceraria di Regina Coeli che costeggia lo spazio espositivo.
La performance avrà luogo, infatti, in prossimità del muro che delimita il cortile del carcere e vedrà l’artista costretta alla gogna per un tempo indeterminato. L’azione si pone come un’asserzione di resistenza nei confronti delle dinamiche di scissione strumentale tra bene e male, innocenza e reità, autonomia e asservimento, con cui la società giustifica l’esercizio dei propri poteri decisionali sull’individuo, in ambito sia politico che culturale.
“L’essere umano vive costantemente la tensione tra le strategie di potere. La società presenta sempre una componente forte e una debole, una vittima e un carnefice, chi è libero e chi è condannato. Nel mezzo di questa tensione l’essere umano si sente paralizzato, limitato, escluso dallo stesso sistema, dal suo intento di mantenere il controllo. Si creano prigioni immaginarie e forme di tortura quotidiana che limitano la libertà individuale”. (Regina Josè Galindo)
E’ attraverso azioni e performances fondate sullo spostamento metaforico e sulla trasposizione di significato che Regina Galindo costruisce il sistema che regola il linguaggio artistico e la spiazzante immediatezza del suo apparato iconografico. Avvalendosi del corpo quale sfaccettato territorio di denuncia, l’artista si fa manifesto vivente della gravità e dell’urgenza di risoluzione di problematiche attuali che letteralmente continuano a lacerare contesti sociali disagiati e compromessi, politicamente e culturalmente, come quello da cui lei stessa proviene, il Guatemala. La sua non è una lotta di tipo astratto, ovvero non affronta o polemizza su tematiche universali, ma contiene sempre un fattore di concretezza che la porta ad indagare, smascherare e, conseguentemente, a denunciare fatti e misfatti reali e spesso taciuti o censurati. Visivamente, la sua si configura come una battaglia silenziosa e al tempo stesso sgolante, che trova fondamento nel concetto di resistenza, dell’individuo e della collettività, nei confronti della censura e del diniego alla vita. Spesso tale battaglia riguarda molto più da vicino la donna (le limitazioni o gli abusi che subisce), sebbene il significato del lavoro della Galindo non va individuato entro i limiti di una contestazione post femminista. E’ l’essere umano ad essere al centro dei suoi interessi, l’umanità, intesa come corpo sociale smembrato dai conflitti interni alle dinamiche di potere. Prendendo spunto dalla realtà, la Galindo non fa che emulare la crudeltà di certi meccanismi (politici, psicologici, sessisti) di repressione, e rappresentarne visivamente l’assurdità, fornendo al pubblico la reiterazione di una cronaca vera, spietata sì, perché sempre veicolata priva di filtro. La sua contestazione politica avviene perlopiù sottoforma di espiazione di tipo sacrificale, a tratti cruenta. Come nella ricostruzione dell’imene (presentata nel video “Himenoplastia”, 2004) o nell’incisione della propria carne (nella performance “Perra”, 2005, in cui l’artista armata di un coltello da banco si inscrive sulla gamba il termine che volgarmente denomina, a priori, la donna, prostituta). La Galindo sempre, in qualche modo, si immola, ma senza patetismi. La percezione lucida di subire e vivere costantemente in uno stato di guerra (sommessa, casalinga, individuale come pubblica, collettiva, popolare) la esonera automaticamente dall’assumere qualsiasi tipo di atteggiamento commiserevole, e la porta invece a sviluppare un’audacia che, tradotta nel linguaggio dell’arte, arriva ad assumere una valenza estetica dirompente e un’impronta universale, capace di attraversare trasversalmente la nervatura di contesti sociali differenti e differentemente coinvolti nelle problematiche denunciate e di colpire la coscienza dell’intera collettività.
(Emanuela Nobile Mino)
12
luglio 2007
Regina José Galindo – Cepo
12 luglio 2007
performance - happening
Location
FONDAZIONE VOLUME!
Roma, Via Di San Francesco Di Sales, 86, (Roma)
Roma, Via Di San Francesco Di Sales, 86, (Roma)
Vernissage
12 Luglio 2007, ore 19
Autore
Curatore


