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Romolo Calciati – Lemmi metropolitani
personale
Comunicato stampa
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Enunciazioni dislocate:
i “Lemmi” di Romolo Calciati
Eleonora Fiorani
“Lemmi” è il titolo che Romolo Calciati ha dato al suo più recente ciclo di opere. Il procedere per cicli di grande respiro e complessità è una peculiarità della sua pittura ed è ad essa interna ed essenziale, per il suo carattere narrativo e la sua dimensione mitica. Essa, infatti, descrive percorsi mentali, di cui traccia mappe e visioni. E domanda ripetute visitazioni, in cui ogni volta appare enigmaticamente diversa come se, in ogni rivisitazione, si disvelassero aspetti e volti rimasti nascosti o fossero portati in superficie. Di qui la sua passione per le mappe e i territori: tele di Arianna che attraversano il tempo e lo spazio, tessuti narrativi in cui predominano gli itinerari, popolati da escrescenze e figure totemiche. Cosicché la sua pittura tesse la trama iconica, figurale di luoghi arcaici e di quelli attuali metropolitani - come la mirabile mappa atzeca del XV secolo che descrive l’esodo di Totomihuacas.
I lemmi costituiscono in tutto ciò una sorta di punto di arrivo del filone portante della sua ricerca di una grammatica di forme, di segni-figure o “iconemi”, ambiscono a costruire una sorta di alfabeto della sua pittura. Il lemma, infatti, come recita il dizionario, in una delle sue accezioni, è ciascuna delle voci cui sono dedicate le singole definizioni di un dizionario, o gli articoli di un’enciclopedia. E’ anche il titolo o sommario di un capitolo di un trattato.
E sono questi lemmi a prendere ora il posto degli iconemi della sua impronta di stile di una pittura strutturata per composizioni e addensamenti dello stesso iconema, a strati sovrapposti con effetti di tridimensionalità e di peso materico, ad opera delle loro espansioni e differenziazioni in tutte le direzioni.
Ogni lemma è limpidamente disegnato come lo sono le lettere di un alfabeto del design grafico ai tempi del moderno. Di essi, però, ha solo la rigorosa apparenza di una razionale progettazione comunicativa. Il fantasticare è, infatti, rompere la reclusione dell’esperienza che facciamo della scrittura alfabetica, una scrittura che si forgia da sé, indefinitivamente, incontrando solo se stessa. E’ apertura di vie d’uscita, di finestre dipinte che aprono sull’altrove. Così ogni lemma è invenzione di dispositivi inattesi che permettono di moltiplicare le trasformazioni per scarti e salti che ci trasportano in un paese del meraviglioso. E’, infatti, costruito per montaggio, accostamento, giustapposizione di elementi disposti sullo stesso piano, in riquadri a loro volta tutti ben distinti e incorniciati: di visioni di paesaggi, stanze di interni, corpi e mostri di cui sono dati frammenti, intrecciati a moduli geometrici. Sono quadri nel quadro, caratterizzati dalla nitidezza della cornice che è il lemma stesso.
Nei lemmi confluiscono, e contemporaneamente vengono ripensati, reimmaginati i suoi territori, i labirinti, le grandi figure mitiche, Minosse, Pasifae, Tauro e i Metrotoys, ibridi totemici in cui convivono l’umano e l’animale, l’insetto e la macchina, figure misteriose e poetiche, che evocano i mostri che abitano i territori, convocando la grande madre e il cyborg. L’insieme, fatto di pezzi, è gestito attraverso sapienti e sottili equilibri delle campiture, che danno vita a un palinsesto di luoghi, corpi, sensi, decori.
Così, i lemmi stessi da invenzione formale di un alfabeto si trasformano in un atlante del mondo quale visione del fantasticare della mente. Sono diari di viaggio e danze attraverso i luoghi, in cui Calciati mette in scena e dà forma a racconti di fondazione: sono diari di viaggi mentali e visionari che riportano alla luce i fantasmi di cui il Novecento si è nutrito. Sono spazi dell’immaginario e della memoria, non carte geografiche, ma visioni e incontri, o teatri, come erano chiamati gli atlanti in cui confluivano in un tutto unitario luoghi ed elementi eterogenei. Anche nei territori di Calciati l’arcaico e il metropolitano, l’ieri e l’oggi, l’antico e il moderno, il mito e l’evento stanno insieme. Come nell’immaginario della metropoli contemporanea, polimorfa, plurale, che si decentra nelle periferie e si moltiplica nelle reti.
Ogni lemma è un sogno, un libero fantasticare sul liminare del conscio e dell’inconscio, poesia visiva di una pittura sensitiva in cui l’erotico è l’elemento chiave, ma che qui appare straordinariamente rarefatto dal limpido sogno di Apollo che traduce in figure incantate il pulsare di Dioniso. E’ un nitore che ci rimanda, più che le macchine celibi dell’amato Jarry, alla chiarezza di Magritte e al suo modo di raccontare e creare il mistero, di liberare il non visto e l’impensato sulla superficie stessa della visione. Di qui, una sorta di musicale armonia delle tonalità che presiede alle variazioni dei colori intonandole al rosa, mentre lo sguardo rimane ammaliato dal bianco, da cui si ritaglia il lemma, che non è, allora, solo sfondo neutro e asignificante rispetto alla figura, ma parte integrante della sua magia e della sua forma.
Sognare è esperienza innovativa dell’essere altrove, è creazione di scene oniriche in cui entrare e uscire a piacimento. Il pittore, qui, è un creatore di giardini che si miniaturizzano: colleziona isole incantate e ci cattura con la sua euforia che, nella scrittura del testo-quadro, introduce il molteplice e la differenza inaugurando una nuova pratica che trasforma la scrittura in una macchina desiderante, produttrice di sogni, una macchina fantastica come quelle di Jarry.
Ogni lemma diventa così una finestra che apre su spazi sospesi, che ci appaiono allo sguardo contemporaneamente familiari e misteriosi, come se all’improvviso fossero dotati di uno fascino sconosciuto e inatteso e noi li vedessimo per la prima volta. Come gli iconemi, che si comportano come un organismo vivente e come ritornelli che ritornano su se stessi seguendo il suo ritmo interiore, ogni lemma si libra nello spazio, catturandoci all’interno dei suoi paesaggi incantati a scrutare solari visioni e ad ascoltare il loro ritmo interiore nel dispiegarsi in paesaggi e figure che si librano nello spazio, fluttuano e danzano, impenetrabili e enigmatiche nel loro mistero. Così ogni lemma è uno e molti, singolare e plurale.
E infine c’è l’insolita leggerezza con cui è trattato il libero montaggio in questo ciclo di opere, che in lui viene dall’eros e dalla luminosità del riso, dallo splendore dei sui colori, dalla mediterraneità della sua pittura, che sa essere allo stesso tempo trasparente e materica. Essa è il tratto pregnante, ricco di magia, di questa sua ulteriore invenzione di una propria grammatica secondo una logica compositiva che è passata dai moduli a figure via via più complesse e articolate in una sorta di continua variazione, come se fosse un testo di una musica infinita. Di essa i lemmi, sono le splendide note musicali sospese in uno spazio dal latteo biancore.
i “Lemmi” di Romolo Calciati
Eleonora Fiorani
“Lemmi” è il titolo che Romolo Calciati ha dato al suo più recente ciclo di opere. Il procedere per cicli di grande respiro e complessità è una peculiarità della sua pittura ed è ad essa interna ed essenziale, per il suo carattere narrativo e la sua dimensione mitica. Essa, infatti, descrive percorsi mentali, di cui traccia mappe e visioni. E domanda ripetute visitazioni, in cui ogni volta appare enigmaticamente diversa come se, in ogni rivisitazione, si disvelassero aspetti e volti rimasti nascosti o fossero portati in superficie. Di qui la sua passione per le mappe e i territori: tele di Arianna che attraversano il tempo e lo spazio, tessuti narrativi in cui predominano gli itinerari, popolati da escrescenze e figure totemiche. Cosicché la sua pittura tesse la trama iconica, figurale di luoghi arcaici e di quelli attuali metropolitani - come la mirabile mappa atzeca del XV secolo che descrive l’esodo di Totomihuacas.
I lemmi costituiscono in tutto ciò una sorta di punto di arrivo del filone portante della sua ricerca di una grammatica di forme, di segni-figure o “iconemi”, ambiscono a costruire una sorta di alfabeto della sua pittura. Il lemma, infatti, come recita il dizionario, in una delle sue accezioni, è ciascuna delle voci cui sono dedicate le singole definizioni di un dizionario, o gli articoli di un’enciclopedia. E’ anche il titolo o sommario di un capitolo di un trattato.
E sono questi lemmi a prendere ora il posto degli iconemi della sua impronta di stile di una pittura strutturata per composizioni e addensamenti dello stesso iconema, a strati sovrapposti con effetti di tridimensionalità e di peso materico, ad opera delle loro espansioni e differenziazioni in tutte le direzioni.
Ogni lemma è limpidamente disegnato come lo sono le lettere di un alfabeto del design grafico ai tempi del moderno. Di essi, però, ha solo la rigorosa apparenza di una razionale progettazione comunicativa. Il fantasticare è, infatti, rompere la reclusione dell’esperienza che facciamo della scrittura alfabetica, una scrittura che si forgia da sé, indefinitivamente, incontrando solo se stessa. E’ apertura di vie d’uscita, di finestre dipinte che aprono sull’altrove. Così ogni lemma è invenzione di dispositivi inattesi che permettono di moltiplicare le trasformazioni per scarti e salti che ci trasportano in un paese del meraviglioso. E’, infatti, costruito per montaggio, accostamento, giustapposizione di elementi disposti sullo stesso piano, in riquadri a loro volta tutti ben distinti e incorniciati: di visioni di paesaggi, stanze di interni, corpi e mostri di cui sono dati frammenti, intrecciati a moduli geometrici. Sono quadri nel quadro, caratterizzati dalla nitidezza della cornice che è il lemma stesso.
Nei lemmi confluiscono, e contemporaneamente vengono ripensati, reimmaginati i suoi territori, i labirinti, le grandi figure mitiche, Minosse, Pasifae, Tauro e i Metrotoys, ibridi totemici in cui convivono l’umano e l’animale, l’insetto e la macchina, figure misteriose e poetiche, che evocano i mostri che abitano i territori, convocando la grande madre e il cyborg. L’insieme, fatto di pezzi, è gestito attraverso sapienti e sottili equilibri delle campiture, che danno vita a un palinsesto di luoghi, corpi, sensi, decori.
Così, i lemmi stessi da invenzione formale di un alfabeto si trasformano in un atlante del mondo quale visione del fantasticare della mente. Sono diari di viaggio e danze attraverso i luoghi, in cui Calciati mette in scena e dà forma a racconti di fondazione: sono diari di viaggi mentali e visionari che riportano alla luce i fantasmi di cui il Novecento si è nutrito. Sono spazi dell’immaginario e della memoria, non carte geografiche, ma visioni e incontri, o teatri, come erano chiamati gli atlanti in cui confluivano in un tutto unitario luoghi ed elementi eterogenei. Anche nei territori di Calciati l’arcaico e il metropolitano, l’ieri e l’oggi, l’antico e il moderno, il mito e l’evento stanno insieme. Come nell’immaginario della metropoli contemporanea, polimorfa, plurale, che si decentra nelle periferie e si moltiplica nelle reti.
Ogni lemma è un sogno, un libero fantasticare sul liminare del conscio e dell’inconscio, poesia visiva di una pittura sensitiva in cui l’erotico è l’elemento chiave, ma che qui appare straordinariamente rarefatto dal limpido sogno di Apollo che traduce in figure incantate il pulsare di Dioniso. E’ un nitore che ci rimanda, più che le macchine celibi dell’amato Jarry, alla chiarezza di Magritte e al suo modo di raccontare e creare il mistero, di liberare il non visto e l’impensato sulla superficie stessa della visione. Di qui, una sorta di musicale armonia delle tonalità che presiede alle variazioni dei colori intonandole al rosa, mentre lo sguardo rimane ammaliato dal bianco, da cui si ritaglia il lemma, che non è, allora, solo sfondo neutro e asignificante rispetto alla figura, ma parte integrante della sua magia e della sua forma.
Sognare è esperienza innovativa dell’essere altrove, è creazione di scene oniriche in cui entrare e uscire a piacimento. Il pittore, qui, è un creatore di giardini che si miniaturizzano: colleziona isole incantate e ci cattura con la sua euforia che, nella scrittura del testo-quadro, introduce il molteplice e la differenza inaugurando una nuova pratica che trasforma la scrittura in una macchina desiderante, produttrice di sogni, una macchina fantastica come quelle di Jarry.
Ogni lemma diventa così una finestra che apre su spazi sospesi, che ci appaiono allo sguardo contemporaneamente familiari e misteriosi, come se all’improvviso fossero dotati di uno fascino sconosciuto e inatteso e noi li vedessimo per la prima volta. Come gli iconemi, che si comportano come un organismo vivente e come ritornelli che ritornano su se stessi seguendo il suo ritmo interiore, ogni lemma si libra nello spazio, catturandoci all’interno dei suoi paesaggi incantati a scrutare solari visioni e ad ascoltare il loro ritmo interiore nel dispiegarsi in paesaggi e figure che si librano nello spazio, fluttuano e danzano, impenetrabili e enigmatiche nel loro mistero. Così ogni lemma è uno e molti, singolare e plurale.
E infine c’è l’insolita leggerezza con cui è trattato il libero montaggio in questo ciclo di opere, che in lui viene dall’eros e dalla luminosità del riso, dallo splendore dei sui colori, dalla mediterraneità della sua pittura, che sa essere allo stesso tempo trasparente e materica. Essa è il tratto pregnante, ricco di magia, di questa sua ulteriore invenzione di una propria grammatica secondo una logica compositiva che è passata dai moduli a figure via via più complesse e articolate in una sorta di continua variazione, come se fosse un testo di una musica infinita. Di essa i lemmi, sono le splendide note musicali sospese in uno spazio dal latteo biancore.
25
gennaio 2007
Romolo Calciati – Lemmi metropolitani
Dal 25 gennaio al 23 febbraio 2007
arte contemporanea
Location
DIECI.DUE!
Milano, Via Volvinio, 30, (Milano)
Milano, Via Volvinio, 30, (Milano)
Orario di apertura
da martedi a venerdi e su appuntamento dalle 15:30 alle 19
chiuso sabato, domenica e lunedi
Vernissage
25 Gennaio 2007, ore 17-20
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