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Roma, Gabriele Basilico e le cartoline degli anni 50
Una straordinaria documentazione del boom edilizio degli anni ’50 in una serie di cartoline dei quartieri periferici, che fornivano ai loro abitanti un orgoglioso ritratto del benessere raggiunto: con una freccia indicavano a penna un balconcino aggiungendo “casa mia”, per spedirla ad amici e parenti. Sono documenti unici anche per la qualità fotografica, che anticipa il minimalismo dei maggiori autori contemporanei sensibili all’identità urbana, come le immagini di Gabriele Basilico che implementano la mostra
Comunicato stampa
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Una straordinaria documentazione del boom edilizio degli anni '50 in una serie di cartoline dei quartieri periferici, che fornivano ai loro abitanti un orgoglioso ritratto del benessere raggiunto: con una freccia indicavano a penna un balconcino aggiungendo "casa mia", per spedirla ad amici e parenti. Sono documenti unici anche per la qualità fotografica, che anticipa il minimalismo dei maggiori autori contemporanei sensibili all'identità urbana, come le immagini di Gabriele Basilico che implementano la mostra.
Le cartoline 'lucide' così diffuse tra anni '50 e primi '60 - quando furono scalzate da quelle in offset a colori - recano la dicitura "vera fotografia"; non è millantato credito: sono le ultime cartoline in stampa fotografica; il che consentiva tirature redditizie a partire da un minimo di soli 500 pezzi. Ecco come mai, in un'Italia ancor lontana dalla ripresa turistica, esse potevano permettersi di documentare puntualmente numerose aree decentrate, periferiche e minori; la cosa non stupisce a Voghera o a Foggia, ma lascia perplessi a Roma, che non si è abituati a identificare con immagini men che turistiche. Ma fatto sta che, allora, i produttori trovarono negli abitanti dei nuovi quartieri – pure di singole strade fuori porta – una clientela sufficiente. Così il boom della ricostruzione trovò i suoi ritrattisti e amatori. Si tratta infatti di cartoline che vedono coincidere le figure del committente-‘editore’ (spesso un bar tabacchi), del tipografo-stampatore, del fotografo e dei clienti: tutti dello stesso ceto, tutti condividenti il medesimo immaginario (a volte, lo stesso quartiere). Tali cartoline possono quindi essere interpretate come l'autoritratto dei ceti medi attraverso la casa, status symbol per eccellenza, in cui, assieme alla Vespa, al frigo e alla TV, s'incarna il raggiunto benessere.
L’attenzione puntuale a realtà locali documentate nel modo professionalmente più impersonale, consente di rilevare i primi segni della ripresa: non solo quella edilizia, ma il traffico, il commercio, le realtà produttive. Queste cartoline che a noi oggi paiono testimoniare luoghi senza qualità, con una voluta assenza di intenti artistico-espressivi, erano allora accolte con fierezza da chi, per la prima volta, vedeva fotografata la propria strada.
Oggi è facile irridere questa ingenua ‘fierezza del cemento’ e stigmatizzare il consumismo delle classi medie; ma tali cartoline, proprio perché senza pretese, proprio perché an-estetiche, sono dei documenti unici, uscendo dal luogo comune della denuncia neorealistica, per praticare una sorta di ‘nuova oggettività’ che sarà riscoperta solo a partire dagli anni '80. Sono documenti unici anche per la qualità fotografica, che anticipa il minimalismo dei maggiori autori contemporanei sensibili all'identità urbana, come Basilico in queste immagini realizzate appositamente per il Festival.
Diverso taglio avevano le produzioni precedenti di cartoline che, a partire dagli anni '10, contentavano i gusti della piccola borghesia con foto pittoricistiche di realtà pittoresche, coniugando il bello con la sfera atemporale degli affetti: pecore al tramonto, giochi di bimbi, la nonna che fila e tutti quei soggetti di genere, trionfanti nei 'salon' e poi nella sana arte nazista. A parte i titoli generici - e quindi eterni - compariva solo il nome del fotografo; proprio come in pittura. Tali immagini, aspiranti ai valori dell'arte, ma stando agli antipodi di ogni ricerca innovativa, gettarono il discredito sulla cartolina in quanto tale. Ma erano esistite, esistevano ed esisteranno altre cartoline, con più modeste aspirazioni documentarie; come quelle viste più sopra. Desiderando solo mostrare la specifica realtà ripresa, esse furono impersonali; nel senso che il soggetto fotografante spariva, a favore del preciso luogo fotografato. Queste cartoline, non riproponendosi di riprendere le realtà più belle nell'ora e luce più romantica, o al culmine significativo di un'azione, paiono an-esteticamente fredde, referenzialmente inespressive. Esse documentano realtà che si limitano a esserci, a stare lì senza pretese o meriti, se non quello di essere note a quanti, ogni giorno, vi passano, nei soli momenti all'aperto della loro vita quotidiana: la propria strada, il bar-tabacchi dell'angolo, la fermata del filobus, i giardinetti…
Certo anche questi palazzi, palazzine o villini - siano a Tor Sapienza o a Monte Mario, vengono ripresi in modi precisi e la loro stessa assenza di pretese finisce per farsi stile; come la nitidezza del tutto a fuoco che facilita la riconoscibilità dei luoghi. Ma, a volte, esse mirano a valori che trascendono il puro e semplice esistere: sono le aspirazioni degli abitanti-destinatari di una Italietta che, nel dopoguerra, cominciava a consumare e a star meglio: le case che crescono fitte, che si mangiano il verde coincidono con una sorta di fierezza del cemento (e del tinello); le strade affollate mostrano che il quartiere pulsa di traffici; le riprese notturne segnate dai neon pubblicitari e dalle strisciate dei fari delle auto indicano che, a differenza della provincia da cui si viene, la vita pulsa anche by night. Queste vedute che a noi paiono qualunque, fesse e banali vengono spesso colorate a mano, una per una, a dimostrare che ai loro utenti piacciono, che ne sono fieri, come del 1100 'Gran luce' parcheggiato ad arte in primo piano.
Così queste cartoline senza qualità, destinate a quelle masse che gli intellettuali bollavano come alienate, nel giro d'un decennio finirono per ispirare proprio gli artisti più sensibili al fascino del banale: Peter Blake le inserì nei suoi quadri; Richard Hamilton le ingrandì sino a mostrarne il retino; oltreoceano Andy Warhol si compiaceva di quelle colorate nel modo più grossolano; col più fine pennello, l'iperrealista, John Baeder le copiava ingigantite. Poi vennero i fotografi; ispirandosi esplicitamente alle cartoline (come Martin Parr) oppure all'estetica antiromanticamente minimalista di questi e altri artisti, tornarono a porsi dinanzi alla realtà urbana con grandi macchine su cavalletto, caricate con pellicola piana; proprio come i professionisti delle cartoline lucide; salvo un particolare: quelli non firmavano.
Oggi anche i sociologi possono scoprire che queste cartoline di Torre Maura o di Viale Don Bosco, e di tutti gli altri non luoghi senza storia allora costruiti dal nulla, senza pretese né riferimenti culturali, creano un senso di comunità, di possesso del territorio. I catoni del tempo avevano un bello sbraitare contro questi quartieri della speculazione edilizia; non facevano i conti con la piccola borghesia che ci abitava, incarnando la filosofia aldofabriziana del "contentemose" della "casetta in periferia"; con chi riconosceva la propria strada, il proprio bar, il proprio filobus e, con una freccia, indicava a biro un balconcino con abete spelacchiato e armadietto delle scope, aggiungendo fiero: "Casa mia". Poi la spediva ad amici e parenti, che venissero a veder la casa nuova, in un quartiere dove, se non ci abiti, che motivo c'è di andarci ?
Enrico Sturani
Le cartoline 'lucide' così diffuse tra anni '50 e primi '60 - quando furono scalzate da quelle in offset a colori - recano la dicitura "vera fotografia"; non è millantato credito: sono le ultime cartoline in stampa fotografica; il che consentiva tirature redditizie a partire da un minimo di soli 500 pezzi. Ecco come mai, in un'Italia ancor lontana dalla ripresa turistica, esse potevano permettersi di documentare puntualmente numerose aree decentrate, periferiche e minori; la cosa non stupisce a Voghera o a Foggia, ma lascia perplessi a Roma, che non si è abituati a identificare con immagini men che turistiche. Ma fatto sta che, allora, i produttori trovarono negli abitanti dei nuovi quartieri – pure di singole strade fuori porta – una clientela sufficiente. Così il boom della ricostruzione trovò i suoi ritrattisti e amatori. Si tratta infatti di cartoline che vedono coincidere le figure del committente-‘editore’ (spesso un bar tabacchi), del tipografo-stampatore, del fotografo e dei clienti: tutti dello stesso ceto, tutti condividenti il medesimo immaginario (a volte, lo stesso quartiere). Tali cartoline possono quindi essere interpretate come l'autoritratto dei ceti medi attraverso la casa, status symbol per eccellenza, in cui, assieme alla Vespa, al frigo e alla TV, s'incarna il raggiunto benessere.
L’attenzione puntuale a realtà locali documentate nel modo professionalmente più impersonale, consente di rilevare i primi segni della ripresa: non solo quella edilizia, ma il traffico, il commercio, le realtà produttive. Queste cartoline che a noi oggi paiono testimoniare luoghi senza qualità, con una voluta assenza di intenti artistico-espressivi, erano allora accolte con fierezza da chi, per la prima volta, vedeva fotografata la propria strada.
Oggi è facile irridere questa ingenua ‘fierezza del cemento’ e stigmatizzare il consumismo delle classi medie; ma tali cartoline, proprio perché senza pretese, proprio perché an-estetiche, sono dei documenti unici, uscendo dal luogo comune della denuncia neorealistica, per praticare una sorta di ‘nuova oggettività’ che sarà riscoperta solo a partire dagli anni '80. Sono documenti unici anche per la qualità fotografica, che anticipa il minimalismo dei maggiori autori contemporanei sensibili all'identità urbana, come Basilico in queste immagini realizzate appositamente per il Festival.
Diverso taglio avevano le produzioni precedenti di cartoline che, a partire dagli anni '10, contentavano i gusti della piccola borghesia con foto pittoricistiche di realtà pittoresche, coniugando il bello con la sfera atemporale degli affetti: pecore al tramonto, giochi di bimbi, la nonna che fila e tutti quei soggetti di genere, trionfanti nei 'salon' e poi nella sana arte nazista. A parte i titoli generici - e quindi eterni - compariva solo il nome del fotografo; proprio come in pittura. Tali immagini, aspiranti ai valori dell'arte, ma stando agli antipodi di ogni ricerca innovativa, gettarono il discredito sulla cartolina in quanto tale. Ma erano esistite, esistevano ed esisteranno altre cartoline, con più modeste aspirazioni documentarie; come quelle viste più sopra. Desiderando solo mostrare la specifica realtà ripresa, esse furono impersonali; nel senso che il soggetto fotografante spariva, a favore del preciso luogo fotografato. Queste cartoline, non riproponendosi di riprendere le realtà più belle nell'ora e luce più romantica, o al culmine significativo di un'azione, paiono an-esteticamente fredde, referenzialmente inespressive. Esse documentano realtà che si limitano a esserci, a stare lì senza pretese o meriti, se non quello di essere note a quanti, ogni giorno, vi passano, nei soli momenti all'aperto della loro vita quotidiana: la propria strada, il bar-tabacchi dell'angolo, la fermata del filobus, i giardinetti…
Certo anche questi palazzi, palazzine o villini - siano a Tor Sapienza o a Monte Mario, vengono ripresi in modi precisi e la loro stessa assenza di pretese finisce per farsi stile; come la nitidezza del tutto a fuoco che facilita la riconoscibilità dei luoghi. Ma, a volte, esse mirano a valori che trascendono il puro e semplice esistere: sono le aspirazioni degli abitanti-destinatari di una Italietta che, nel dopoguerra, cominciava a consumare e a star meglio: le case che crescono fitte, che si mangiano il verde coincidono con una sorta di fierezza del cemento (e del tinello); le strade affollate mostrano che il quartiere pulsa di traffici; le riprese notturne segnate dai neon pubblicitari e dalle strisciate dei fari delle auto indicano che, a differenza della provincia da cui si viene, la vita pulsa anche by night. Queste vedute che a noi paiono qualunque, fesse e banali vengono spesso colorate a mano, una per una, a dimostrare che ai loro utenti piacciono, che ne sono fieri, come del 1100 'Gran luce' parcheggiato ad arte in primo piano.
Così queste cartoline senza qualità, destinate a quelle masse che gli intellettuali bollavano come alienate, nel giro d'un decennio finirono per ispirare proprio gli artisti più sensibili al fascino del banale: Peter Blake le inserì nei suoi quadri; Richard Hamilton le ingrandì sino a mostrarne il retino; oltreoceano Andy Warhol si compiaceva di quelle colorate nel modo più grossolano; col più fine pennello, l'iperrealista, John Baeder le copiava ingigantite. Poi vennero i fotografi; ispirandosi esplicitamente alle cartoline (come Martin Parr) oppure all'estetica antiromanticamente minimalista di questi e altri artisti, tornarono a porsi dinanzi alla realtà urbana con grandi macchine su cavalletto, caricate con pellicola piana; proprio come i professionisti delle cartoline lucide; salvo un particolare: quelli non firmavano.
Oggi anche i sociologi possono scoprire che queste cartoline di Torre Maura o di Viale Don Bosco, e di tutti gli altri non luoghi senza storia allora costruiti dal nulla, senza pretese né riferimenti culturali, creano un senso di comunità, di possesso del territorio. I catoni del tempo avevano un bello sbraitare contro questi quartieri della speculazione edilizia; non facevano i conti con la piccola borghesia che ci abitava, incarnando la filosofia aldofabriziana del "contentemose" della "casetta in periferia"; con chi riconosceva la propria strada, il proprio bar, il proprio filobus e, con una freccia, indicava a biro un balconcino con abete spelacchiato e armadietto delle scope, aggiungendo fiero: "Casa mia". Poi la spediva ad amici e parenti, che venissero a veder la casa nuova, in un quartiere dove, se non ci abiti, che motivo c'è di andarci ?
Enrico Sturani
06
aprile 2006
Roma, Gabriele Basilico e le cartoline degli anni 50
Dal 06 al 30 aprile 2006
fotografia
Location
MUSEO DI ROMA IN TRASTEVERE
Roma, Piazza Di Sant'egidio, 1B, (Roma)
Roma, Piazza Di Sant'egidio, 1B, (Roma)
Biglietti
Mostre + Museo: Intero: € 5,50 -Ridotto: € 4.00
Orario di apertura
martedì – domenica 10.00 – 20.00 (la biglietteria chiude un'ora prima).Chiuso il lunedì
Vernissage
6 Aprile 2006, ore 18
Autore
Curatore



