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Mirta De Simone Lasta – Tra mito e logos
personale per il Ciclo: 2006…Sguardi Divergenti
Comunicato stampa
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TRA MITO E LOGOS
Lo spazio di queste figure non è una relazione astratta, ma una res, che rinuncia alla compiutezza dell’oggettivo per la grandezza allusiva del simbolo, una realtà soggettiva, carica di tonalità emotive e di risonanze interiori. Le figure sono tanto più materiche e incompiute, quanto più densa e ricca è l’anima che hanno attraversato per venire alla luce. Tempo e spazio si raccolgono nel confine della tela e nel gesto dell’artista. Un gesto e uno sguardo che li dilatano o li fanno gravitare attorno a qualche frammento di realtà, trasfigurato e levigato fino a diventare essenziale. La polisemia del segno si spoglia dell’abito comodo dell’ambiguità e diventa simbolo, un centro di attrazione, un nucleo in cui le civiltà sedimentano. La materia partecipa della vita della coscienza e palpita nei rossi degli sfondi, che sono ad un tempo sacri ed espressione - tutta umana - di passione. Una piccola casa in un paesaggio di neve si appoggia ad una montagna, che lungo il suo profilo mette in tensione cielo e senso della terra. È forse la stessa che fa ascoltare il suo silenzio ad un uomo-volto, su cui la luce rivela il duplice flusso dei pensieri: apertura e sguardo esteriore, introspezione e sguardo interiore. È ancora la luce, nitida o rarefatta dei picchi, il luogo dove umano e divino, impercettibilmente, si toccano. Dove lo spazio si fa più denso e la tensione vibrante, nello ziggurat sospeso, mentre la sua materia scende in gocce a terra, e nella totemica meditazione delle donne-torri. Ogni segno ha in sé una traccia di assolutezza, come un destino che marca definitivamente la sua curvatura. Ma la memoria e la predestinazione sono libere dalla malattia e dal rischio di saturazione, perché la forma è incompleta e vibrante, sulla soglia della sua rivelazione. La forma incompiuta è gesto, è divenire. E così la presenza indicibile dell’oggetto è anche la sua assenza. L’arabesco e il ghirigoro, l’oro e il rosso, il definitivo e l’incompiuto, il solido e l’instabile, l’io e il mondo, la grazia della ballerina e la ieraticità della donna archetipo si incontrano, ma le loro tangenze e i loro confini restano vivi, irrisolti, come la dialettica tra mito e logos.
Vera Maria Carminati
Lo spazio di queste figure non è una relazione astratta, ma una res, che rinuncia alla compiutezza dell’oggettivo per la grandezza allusiva del simbolo, una realtà soggettiva, carica di tonalità emotive e di risonanze interiori. Le figure sono tanto più materiche e incompiute, quanto più densa e ricca è l’anima che hanno attraversato per venire alla luce. Tempo e spazio si raccolgono nel confine della tela e nel gesto dell’artista. Un gesto e uno sguardo che li dilatano o li fanno gravitare attorno a qualche frammento di realtà, trasfigurato e levigato fino a diventare essenziale. La polisemia del segno si spoglia dell’abito comodo dell’ambiguità e diventa simbolo, un centro di attrazione, un nucleo in cui le civiltà sedimentano. La materia partecipa della vita della coscienza e palpita nei rossi degli sfondi, che sono ad un tempo sacri ed espressione - tutta umana - di passione. Una piccola casa in un paesaggio di neve si appoggia ad una montagna, che lungo il suo profilo mette in tensione cielo e senso della terra. È forse la stessa che fa ascoltare il suo silenzio ad un uomo-volto, su cui la luce rivela il duplice flusso dei pensieri: apertura e sguardo esteriore, introspezione e sguardo interiore. È ancora la luce, nitida o rarefatta dei picchi, il luogo dove umano e divino, impercettibilmente, si toccano. Dove lo spazio si fa più denso e la tensione vibrante, nello ziggurat sospeso, mentre la sua materia scende in gocce a terra, e nella totemica meditazione delle donne-torri. Ogni segno ha in sé una traccia di assolutezza, come un destino che marca definitivamente la sua curvatura. Ma la memoria e la predestinazione sono libere dalla malattia e dal rischio di saturazione, perché la forma è incompleta e vibrante, sulla soglia della sua rivelazione. La forma incompiuta è gesto, è divenire. E così la presenza indicibile dell’oggetto è anche la sua assenza. L’arabesco e il ghirigoro, l’oro e il rosso, il definitivo e l’incompiuto, il solido e l’instabile, l’io e il mondo, la grazia della ballerina e la ieraticità della donna archetipo si incontrano, ma le loro tangenze e i loro confini restano vivi, irrisolti, come la dialettica tra mito e logos.
Vera Maria Carminati
20
febbraio 2006
Mirta De Simone Lasta – Tra mito e logos
Dal 20 febbraio al 03 marzo 2006
arte contemporanea
Location
BERTOLT BRECHT – SPAZIO 2
Milano, Via Antonio Giovanola, 21C, (Milano)
Milano, Via Antonio Giovanola, 21C, (Milano)
Orario di apertura
lunedì, mercoledì e venerdì 17-19 e su appuntamento
Vernissage
20 Febbraio 2006, ore 18
Autore
Curatore




