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Ceal Floyer
Ceal Floyer alla sua terza personale da Pinksummer presenterà due opere nuove, altre sono disponibili su richiesta
Comunicato stampa
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Alla fine di una cena stavamo mangiando un ananas fresco, quando un amico con l’aria di pronunciare una piccola, semplice verità, disse che mangiare l’ananas è qualcosa che dà l’impressione di fare bene. Di fatto l’ananas si lascia gustare senza trasmettere complessi di colpa: ha una bella forma, il suo giallo succoso è esteticamente gradevole, è buono, dà una sensazione di freschezza e dicono anche che sia detossinante.
Il paragone può sembrare azzardato se non proprio delirante, ma contemplare il lavoro di Ceal Floyer trasmette la medesima sensazione di fare bene: le sue opere oltre a essere compiute e perfette come un sillogismo, producono in chi guarda una riflessione che può essere assimilata a una sorta di ginnastica passiva per il cervello.
Floyer fruga nella densità dell’ovvio, lo sciacqua di ogni sorta di particolarismo, riducendolo all’essenziale, all’idea o universale, e poi raggomitolando il filo raffinato della logica classica, come in un processo inverso, ri-nomina quell’ovvio, lo ri-definisce svelando le latitudini e longitudini infinite del pensiero, la sua fenomenologia indefinita e ermeneutica e anche il suo lato perverso e finzionale. Non è più il linguaggio che rappresenta la realtà, ma la realtà si purifica prestandosi a diventare immagine del linguaggio. La relazione tra segno e significato, talvolta si fa così intima, che il senso vive nel suo referente. Altre volte Floyer noncurante delle convenzioni desemanticizza i segni reiterandoli per cavarne un’insospettabile vena estetica e decorativa, spesso flirta con i doppi sensi. Comunque ogni opera ha un senso se non un eccesso di senso. Questa sorta di coincidenza o assoluta non coincidenza fa si che i lavori di Floyer mostrino, sotto il velo sottile dell’ironia, un corpo liscio, bellissimo: sono opere che si lasciano descrivere, ma le interpretazioni vi scivolano sopra. Non ci sono pieghe dove i parassiti si possano annidare. A volte fanno sorridere, ma non si tratta del gioco delle tre carte, non è neppure magia a meno che non si ritenga magica l’intelligenza, perché è di questa che stiamo parlando. Non c’è come fissare l’ovvio, girarci intorno, dargli una nuova identità muovendo dalla sua essenza, o da quella che per convenzione gli è stata affibbiata, che aiuta a uscire dalla droga della consuetudine; la consuetudine che con la sue rassicurazioni fasulle, senza proteggerci dai colpi del fato e anzi rendendoci ancora più inermi e vulnerabili, paralizza il pensiero.
Se il nostro pensiero fosse più atletico forse l’isola dei famosi sprofonderebbe insieme ai famosi e se anche il buon governo dovesse rimanere utopia, almeno si potrebbe ambire al governo buono. Che non si dica poi che l’arte, ogni forma d’arte, sia astratta e elucubrativa, perché l’astratto, se non proprio l’assurdo dimorano altrove, spesso in quella che definiamo a sproposito la normalità.
Ceal Floyer alla sua terza personale da Pinksummer presenterà due opere nuove, altre sono disponibili su richiesta.
Il paragone può sembrare azzardato se non proprio delirante, ma contemplare il lavoro di Ceal Floyer trasmette la medesima sensazione di fare bene: le sue opere oltre a essere compiute e perfette come un sillogismo, producono in chi guarda una riflessione che può essere assimilata a una sorta di ginnastica passiva per il cervello.
Floyer fruga nella densità dell’ovvio, lo sciacqua di ogni sorta di particolarismo, riducendolo all’essenziale, all’idea o universale, e poi raggomitolando il filo raffinato della logica classica, come in un processo inverso, ri-nomina quell’ovvio, lo ri-definisce svelando le latitudini e longitudini infinite del pensiero, la sua fenomenologia indefinita e ermeneutica e anche il suo lato perverso e finzionale. Non è più il linguaggio che rappresenta la realtà, ma la realtà si purifica prestandosi a diventare immagine del linguaggio. La relazione tra segno e significato, talvolta si fa così intima, che il senso vive nel suo referente. Altre volte Floyer noncurante delle convenzioni desemanticizza i segni reiterandoli per cavarne un’insospettabile vena estetica e decorativa, spesso flirta con i doppi sensi. Comunque ogni opera ha un senso se non un eccesso di senso. Questa sorta di coincidenza o assoluta non coincidenza fa si che i lavori di Floyer mostrino, sotto il velo sottile dell’ironia, un corpo liscio, bellissimo: sono opere che si lasciano descrivere, ma le interpretazioni vi scivolano sopra. Non ci sono pieghe dove i parassiti si possano annidare. A volte fanno sorridere, ma non si tratta del gioco delle tre carte, non è neppure magia a meno che non si ritenga magica l’intelligenza, perché è di questa che stiamo parlando. Non c’è come fissare l’ovvio, girarci intorno, dargli una nuova identità muovendo dalla sua essenza, o da quella che per convenzione gli è stata affibbiata, che aiuta a uscire dalla droga della consuetudine; la consuetudine che con la sue rassicurazioni fasulle, senza proteggerci dai colpi del fato e anzi rendendoci ancora più inermi e vulnerabili, paralizza il pensiero.
Se il nostro pensiero fosse più atletico forse l’isola dei famosi sprofonderebbe insieme ai famosi e se anche il buon governo dovesse rimanere utopia, almeno si potrebbe ambire al governo buono. Che non si dica poi che l’arte, ogni forma d’arte, sia astratta e elucubrativa, perché l’astratto, se non proprio l’assurdo dimorano altrove, spesso in quella che definiamo a sproposito la normalità.
Ceal Floyer alla sua terza personale da Pinksummer presenterà due opere nuove, altre sono disponibili su richiesta.
16
dicembre 2005
Ceal Floyer
Dal 16 dicembre 2005 al 16 gennaio 2006
arte contemporanea
Location
PINKSUMMER – PALAZZO DUCALE
Genova, Piazza Giacomo Matteotti, 28r, (Genova)
Genova, Piazza Giacomo Matteotti, 28r, (Genova)
Orario di apertura
dal Martedì al Sabato 11-19 e su appuntamento
Vernissage
16 Dicembre 2005, ore 18
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