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Layers
michela formenti, armida gandini, sandro mele
Comunicato stampa
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Strati, passaggi, livelli di discernimento, il cui minimo denominatore è la fotografia pura. Per attraversarli una mostra collettiva accosta il lavoro di tre artisti che si servono liberamente degli esiti fotografici propri o in prestito, scattati da altri o trovati per caso in un album. Il loro utilizzo stratificato spiazza le consuetudini della pellicola con un approccio intimista, quasi pittorico, per confluire insieme dentro una progettazione i cui livelli di lettura sono multipli. L¹accatastarsi di ipotesi di previsione del risultato finale non sempre è necessaria: spesso si viene contraddetti dall¹urgenza della rappresentazione. In altri casi si mette in luce la possibilità di venir sorpresi dal proprio lavoro.
La pratica dello sguardo è nel lavoro di Michela Formenti molto introversa per staccare dal senso comune le immagini e renderle ognuna parte di un racconto framebyframe. Scelto di volta in volta come un pezzo di storia che si avvicenda attorno a quei fotogrammi, lo svolgimento non è mai casuale, al contrario alterna con sapienza vuoti e pieni dentro uno storyboard compiuto. Nella sequenza del progetto ³Fuori² qui presentata Los Angeles, Berlino e nello specifico Tokyo, viene vista dall¹interno di un luogo che non ha elementi condivisi con le nostre case ma evoca una dimensione interiore che per qualche motivo ci è familiare. Non importa dove fossimo allora quando eravamo esattamente in quello stato di ozio meditativo, sdraiati, dentro una stanza chiusa. Ovunque. Ogni volta potremmo trovare elementi che ci appartengono, sensazioni molto private di solitudini sperimentate in prima persona e mai confesse, ogni scena va intesa come un tassello di presente isolato da un contesto che appartiene al nostro passato, o a quello di chi lo sta rappresentando, tanto simile alla nostalgia materica che anche noi almeno una volta abbiamo sentito. Nell¹alternanza di flussi psichici emotivi differenti, tutti i giorni una moltitudine di sensibili esseri umani si sveglia su questo pianeta, guarda fuori e vede anzitutto dentro se stesso.
Armida scontorna fotografie e disegna sul fondo a carboncino. Con una volontà di preservare le foto di famiglia dal diario inesauribile di parenti e amici stretti a cui delegare l¹aspetto generazionale del lavoro, la pratica di utilizzo della fotografia sta nel suo collocamento tra due fogli di acetato trasparente. E¹ il disegno a renderla eloquente e a creare una quinta ideale per mettere in scena le favole direttamente connesse ad un mondo reale, che peraltro di favolistico non ha molto. La verità è che succede molto di più: la selezione, lo studio retroattivo, le prove di stampa, ma soprattutto il senso di vissuto di cui ogni opera si carica, sono frutto di lunga ricerca. Differenti livelli interni in sovrapposizione tra la foto in primo piano e il background a carboncino vanno a formare scatole come veri e propri ambienti, all¹interno dei quali fondere più livelli e stratificare momenti di vissuto. Il relativo diventa collettivo e ogni volta aumenta la chiarezza sul percorso: dai dati sensibili di partenza viene costruita una nuova identità. La frase ³In attesa di toccare il cielo² ad esempio, come altre parole scelte a sottolineare i titoli dei lavori, appare centrale e rimarca un passaggio. Spesso si diventa adulti da un giorno all¹altro e tuttavia si fa finta di niente.
La foto non ha tempo. Per Sandro Mele a differenza di altri lavori più arditi qui non accade alcun complicato processo di elaborazione, l¹intervento in questo caso è corposo ma fluidifica i passaggi necessari. Le immagini scattate da Samantha Topol durante i giorni dell¹installazione di una scultura-logo Minimono vengono utilizzate dall¹artista per condividere il lavoro svolto nel 2000 in un campo a Las Mercedes, ovvero la hacienda argentina che con spirito mecenatesco da anni ospita istallazioni di Land art e che per la prima volta vengono qui presentate come studio sul progetto ³Argentina² di Sandro Mele, tuttora in progress. Sottoposta a più esposizioni, scartavetrata e poi cerata, la foto si incorpora gradualmente alla tavola e santifica l¹immagine di un momento di pausa di chi in quelle lande sterminate vive ogni giorno.
I santi a volte sono tra di noi, basterebbe ascoltare pastori contadini e hacienderos per farsene un¹idea.
Il dittico rende iconografici gli uomini che hanno avuto un rapporto stretto con l¹artista durante i tre mesi di costruzione. I volti sono autentici e il lavorio di Sandro Mele traduce l¹appartenenza a spazi incontaminati. Perché le foto si trasformino in una figurazione che pare scolpita vengono poi trasferite su legno, come se da questo sgorgassero le immagini. L¹opera in questo caso diventa l¹esperienza diretta di un fatto che, in fondo, è la traduzione del termine fotografia.
Raffaella Guidobono
La pratica dello sguardo è nel lavoro di Michela Formenti molto introversa per staccare dal senso comune le immagini e renderle ognuna parte di un racconto framebyframe. Scelto di volta in volta come un pezzo di storia che si avvicenda attorno a quei fotogrammi, lo svolgimento non è mai casuale, al contrario alterna con sapienza vuoti e pieni dentro uno storyboard compiuto. Nella sequenza del progetto ³Fuori² qui presentata Los Angeles, Berlino e nello specifico Tokyo, viene vista dall¹interno di un luogo che non ha elementi condivisi con le nostre case ma evoca una dimensione interiore che per qualche motivo ci è familiare. Non importa dove fossimo allora quando eravamo esattamente in quello stato di ozio meditativo, sdraiati, dentro una stanza chiusa. Ovunque. Ogni volta potremmo trovare elementi che ci appartengono, sensazioni molto private di solitudini sperimentate in prima persona e mai confesse, ogni scena va intesa come un tassello di presente isolato da un contesto che appartiene al nostro passato, o a quello di chi lo sta rappresentando, tanto simile alla nostalgia materica che anche noi almeno una volta abbiamo sentito. Nell¹alternanza di flussi psichici emotivi differenti, tutti i giorni una moltitudine di sensibili esseri umani si sveglia su questo pianeta, guarda fuori e vede anzitutto dentro se stesso.
Armida scontorna fotografie e disegna sul fondo a carboncino. Con una volontà di preservare le foto di famiglia dal diario inesauribile di parenti e amici stretti a cui delegare l¹aspetto generazionale del lavoro, la pratica di utilizzo della fotografia sta nel suo collocamento tra due fogli di acetato trasparente. E¹ il disegno a renderla eloquente e a creare una quinta ideale per mettere in scena le favole direttamente connesse ad un mondo reale, che peraltro di favolistico non ha molto. La verità è che succede molto di più: la selezione, lo studio retroattivo, le prove di stampa, ma soprattutto il senso di vissuto di cui ogni opera si carica, sono frutto di lunga ricerca. Differenti livelli interni in sovrapposizione tra la foto in primo piano e il background a carboncino vanno a formare scatole come veri e propri ambienti, all¹interno dei quali fondere più livelli e stratificare momenti di vissuto. Il relativo diventa collettivo e ogni volta aumenta la chiarezza sul percorso: dai dati sensibili di partenza viene costruita una nuova identità. La frase ³In attesa di toccare il cielo² ad esempio, come altre parole scelte a sottolineare i titoli dei lavori, appare centrale e rimarca un passaggio. Spesso si diventa adulti da un giorno all¹altro e tuttavia si fa finta di niente.
La foto non ha tempo. Per Sandro Mele a differenza di altri lavori più arditi qui non accade alcun complicato processo di elaborazione, l¹intervento in questo caso è corposo ma fluidifica i passaggi necessari. Le immagini scattate da Samantha Topol durante i giorni dell¹installazione di una scultura-logo Minimono vengono utilizzate dall¹artista per condividere il lavoro svolto nel 2000 in un campo a Las Mercedes, ovvero la hacienda argentina che con spirito mecenatesco da anni ospita istallazioni di Land art e che per la prima volta vengono qui presentate come studio sul progetto ³Argentina² di Sandro Mele, tuttora in progress. Sottoposta a più esposizioni, scartavetrata e poi cerata, la foto si incorpora gradualmente alla tavola e santifica l¹immagine di un momento di pausa di chi in quelle lande sterminate vive ogni giorno.
I santi a volte sono tra di noi, basterebbe ascoltare pastori contadini e hacienderos per farsene un¹idea.
Il dittico rende iconografici gli uomini che hanno avuto un rapporto stretto con l¹artista durante i tre mesi di costruzione. I volti sono autentici e il lavorio di Sandro Mele traduce l¹appartenenza a spazi incontaminati. Perché le foto si trasformino in una figurazione che pare scolpita vengono poi trasferite su legno, come se da questo sgorgassero le immagini. L¹opera in questo caso diventa l¹esperienza diretta di un fatto che, in fondo, è la traduzione del termine fotografia.
Raffaella Guidobono
19
luglio 2005
Layers
Dal 19 luglio al 02 settembre 2005
fotografia
Location
AKA
Roma, Via Dei Cartari, 11, (Roma)
Roma, Via Dei Cartari, 11, (Roma)
Orario di apertura
dal mercoledì al sabato 16.30-20 (chiuso dal 5 al 16 agosto)
Vernissage
19 Luglio 2005, ore 19-21
Autore




