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Luca Saini – Human / No Human
Il progetto Human / no Human intende rappresentare la relazione duplice fra l’ambiente e la vita che vi si svolge, suggerendo un fitto gioco dialettico che non si lascia mai fissare in una forma definita
Comunicato stampa
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Human / No Human
I territori dell’agire umano non vanno pensati come dimensioni impersonali o come contenitori neutri entro cui possono verificarsi degli accadimenti. I luoghi, intesi come spazi vissuti, godono piuttosto di una particolarità reversibile, che è tanto quella di determinare i comportamenti di chi li abita, quanto quella di venire a loro volta caratterizzati dalle azioni e dalle relazioni che avvengono al loro interno. Il progetto Human / no Human intende rappresentare questa relazione duplice fra l’ambiente e la vita che vi si svolge, suggerendo un fitto gioco dialettico che non si lascia mai fissare in una forma definita. A questo scopo abbiamo lavorato in coppia concentrandoci sull’accostamento di immagini fotografiche e testi integrati in un’unica opera visuale. Attraverso lo sguardo prospettico dell’obbiettivo fotograficoi luoghi rappresentati si mostrano e raccontano se stessi, lasciando sempre intuire il rimando alla presenza umana, elemento imprescindibile che conferisce significato e personalità all’ambiente, anche quando si profila in termini di assenza (come nel caso degli spazi disabitati, delle case abbandonate). Ed è proprio nelle immagini dilocalità deserte che la corrispondenza fra umano e non umano svela la propria radice profonda: i luoghi deserti recano le tracce della gente che li ha vissuti, come silenziosi testimoni che conservano il ricordo dei vecchi abitanti. Il lavoro fotografico perciò non intende cogliere l’apparenza formale, bensì le impressioni e le suggestioni che gli scenari proposti, in quanto teatri di vita,
evocano nell’osservatore, invitando la fantasia e la supposizione a un possibile proseguimento, in una giocosa e inquieta deriva. La scrittura poi, affidandosi alla finzione del racconto, travalica le delimitazioni della raffigurazione visiva, amplifica ed elabora la componente evocativa contenuta nelle illustrazioni e la traduce in evento narrato. Accade così che i luoghi si animano, (ri)prendono vita e si popolano di personaggi e di situazioni immaginarie, in cui l’elemento reale (costituito dall’ambientazione originale degli scenari fotografici) risulta sospeso in un enigmatico limbo. Proprio in questa compenetrazione di elementi reali e di altri fittizi, nell’incontro del vero col non vero, la relazione human / no human acquista la propria dimensione piena, rivelandosi come una forma mutante, mai definita e sempre aperta a ulteriori sviluppi.
Luca Saini
Francesco Vittori
5.45
Ore cinque e quarantacinque: al termine di lunghi preparativi e cavalcando l’onda di un collettivo entusiasmo siamo entrati nel futuro. Fu una scelta libera e consapevole da parte di ognuno, quelli che non erano convinti restarono alle loro vecchie case e noi li salutammo con un fremito di nostalgia e il cuore pieno di speranza. Così varcammo in massa i cancelli della metropolitana e occupammo ordinatamente le banchine della stazione, pronti a seguire diligentemente tutte le indicazioni che ci sarebbero state impartite, benché avessimo già studiato il protocollo a memoria: attendere l’arrivo del treno, comunicare il proprio nome e numero mentre si sale a bordo, alloggiarsi nel posto assegnato.
Com’era bello il futuro! Rimanemmo subito affascinati dai pavimenti di marmo, lisci e puliti, e dai muri decorati con disegni geometrici. E poi quella musica tenue che aleggiava nell’ambiente senza provenire apparentemente da nessuna parte... Tutto aveva un’aria funzionale, efficiente, asettica eppure confortevole, tanto che il più piccolo dettaglio pareva concepito per disporci nel migliore dei modi all’attesa. E noi attendevamo, sforzandoci di conservare una certa compostezza, ma in realtà animati da pulsazioni di gioiosa eccitazione. Sorridevamo e chiacchieravamo insieme, ricordando le abitudini e le ristrettezze della nostra vita passata come se fossero cose lontane da tempo, scherzando su certe incomprensioni trascorse, confidandoci proponimenti e progetti. Di quando in quando venivamo interrotti dalle grida impazienti dei bambini che avevano percepito un suono inusuale e con un sussulto ci voltavamo tutti quanti verso i binari, convinti di veder arrivare il treno che ci avrebbe condotto alla nostra nuova destinazione. I più vecchi ed esperti di noi allora spiegavano che quello non era il rumore del treno, ma il suono del vento che corre
attraverso le gallerie sotterranee; poi, cercando di simulare la loro stessa irrequietudine, invitavano alla calma e dicevano che sì, sarebbe arrivato presto, e chissà, forse era proprio il treno che produceva in lontananza tutto quel vento. I piccoli riprendevano a giocare, sotto lo sguardo amorevole delle madri; alcune donne, con modi gentili e discreti, incominciarono a fare il giro fra i capannelli di persone offrendo caffè e biscotti.
Ore cinque e quarantacinque: siamo entrati nel futuro, e in quello stesso momento, senza accorgercene, siamo scivolati definitivamente nel passato. La stazione della metropolitana, che ormai conosciamo a menadito, non ci sembra più così nuova e all’avanguardia come quando siamo arrivati. Quell’arredamento, quelle rifiniture architettoniche che inizialmente avevamo ammirato per il loro stile avveniristico, hanno adesso un non so che di datato, perfino di squallido. Sotto la luce impersonale dei neon ci atteniamo ai gesti di sempre, ci sforziamo ancora di mantenere controllo e decoro, ma è scomparso il sentimento di euforia e di ottimismo che animava i nostri sorrisi: ciò che ci fa andare avanti è piuttosto un residuo inconsapevole di dignità, o forse un’inveterata tendenza alla sopportazione. Le donne continuano a portare provviste e bevande, tuttavia i loro passi sembrano ora più lenti e strascicati, come se recassero il peso di una rassegnata abitudine.
I bambini non se ne accorgono; passano il tempo a giocare insieme e probabilmente sono stati i primi a dimenticarsi della ragione per cui ci troviamo qui. Non pensano più al nostro mondo nuovo, al miraggio delle nostre vite rischiarate dal progresso.
L’unico tra loro che con la voce incrinata dalla delusione ci ha timidamente chiesto del treno, è stato zittito fra la noncuranza e l’imbarazzo generali. D’altronde fra gli adulti, come per un tacito accordo, nessuno osa pronunciare i propri dubbi, meno che mai sollevare la questione su che ne sarà di noi. Quello è un argomento tabù. Significherebbe sospettare apertamente che siamo stati
imbrogliati o, ancor peggio, dimenticati. E allo stesso modo nessuno vuole fare caso alle gallerie fredde e buie che si estendono oltre i limiti della banchina. E’ uno scorcio inquietante, che fa pensare al vuoto, all’ignoto, al nostro futuro che chissà dove, ma comunque lontano da qui, sfreccia su binari luminosi e infiniti.
Biografia
LUCA SAINI
nasce nel 1975 a Torino, dove vive e lavora come fotografo e musicista. La sua ricerca è volta ad indagare il rapporto tra fiction e realtà e a questo scopo, oltre al mezzo fotografico, utilizza il video, la musica, i testi. Nel progetto Human no Human si avvale della collaborazione di Francesco Vittori, giovane scrittore torinese; insieme costruiscono un percorso immaginario, dove parole e fotografia si fondono, dando vita alle visioni che ci accompagnano verso un altrove inaspettato.
I territori dell’agire umano non vanno pensati come dimensioni impersonali o come contenitori neutri entro cui possono verificarsi degli accadimenti. I luoghi, intesi come spazi vissuti, godono piuttosto di una particolarità reversibile, che è tanto quella di determinare i comportamenti di chi li abita, quanto quella di venire a loro volta caratterizzati dalle azioni e dalle relazioni che avvengono al loro interno. Il progetto Human / no Human intende rappresentare questa relazione duplice fra l’ambiente e la vita che vi si svolge, suggerendo un fitto gioco dialettico che non si lascia mai fissare in una forma definita. A questo scopo abbiamo lavorato in coppia concentrandoci sull’accostamento di immagini fotografiche e testi integrati in un’unica opera visuale. Attraverso lo sguardo prospettico dell’obbiettivo fotograficoi luoghi rappresentati si mostrano e raccontano se stessi, lasciando sempre intuire il rimando alla presenza umana, elemento imprescindibile che conferisce significato e personalità all’ambiente, anche quando si profila in termini di assenza (come nel caso degli spazi disabitati, delle case abbandonate). Ed è proprio nelle immagini dilocalità deserte che la corrispondenza fra umano e non umano svela la propria radice profonda: i luoghi deserti recano le tracce della gente che li ha vissuti, come silenziosi testimoni che conservano il ricordo dei vecchi abitanti. Il lavoro fotografico perciò non intende cogliere l’apparenza formale, bensì le impressioni e le suggestioni che gli scenari proposti, in quanto teatri di vita,
evocano nell’osservatore, invitando la fantasia e la supposizione a un possibile proseguimento, in una giocosa e inquieta deriva. La scrittura poi, affidandosi alla finzione del racconto, travalica le delimitazioni della raffigurazione visiva, amplifica ed elabora la componente evocativa contenuta nelle illustrazioni e la traduce in evento narrato. Accade così che i luoghi si animano, (ri)prendono vita e si popolano di personaggi e di situazioni immaginarie, in cui l’elemento reale (costituito dall’ambientazione originale degli scenari fotografici) risulta sospeso in un enigmatico limbo. Proprio in questa compenetrazione di elementi reali e di altri fittizi, nell’incontro del vero col non vero, la relazione human / no human acquista la propria dimensione piena, rivelandosi come una forma mutante, mai definita e sempre aperta a ulteriori sviluppi.
Luca Saini
Francesco Vittori
5.45
Ore cinque e quarantacinque: al termine di lunghi preparativi e cavalcando l’onda di un collettivo entusiasmo siamo entrati nel futuro. Fu una scelta libera e consapevole da parte di ognuno, quelli che non erano convinti restarono alle loro vecchie case e noi li salutammo con un fremito di nostalgia e il cuore pieno di speranza. Così varcammo in massa i cancelli della metropolitana e occupammo ordinatamente le banchine della stazione, pronti a seguire diligentemente tutte le indicazioni che ci sarebbero state impartite, benché avessimo già studiato il protocollo a memoria: attendere l’arrivo del treno, comunicare il proprio nome e numero mentre si sale a bordo, alloggiarsi nel posto assegnato.
Com’era bello il futuro! Rimanemmo subito affascinati dai pavimenti di marmo, lisci e puliti, e dai muri decorati con disegni geometrici. E poi quella musica tenue che aleggiava nell’ambiente senza provenire apparentemente da nessuna parte... Tutto aveva un’aria funzionale, efficiente, asettica eppure confortevole, tanto che il più piccolo dettaglio pareva concepito per disporci nel migliore dei modi all’attesa. E noi attendevamo, sforzandoci di conservare una certa compostezza, ma in realtà animati da pulsazioni di gioiosa eccitazione. Sorridevamo e chiacchieravamo insieme, ricordando le abitudini e le ristrettezze della nostra vita passata come se fossero cose lontane da tempo, scherzando su certe incomprensioni trascorse, confidandoci proponimenti e progetti. Di quando in quando venivamo interrotti dalle grida impazienti dei bambini che avevano percepito un suono inusuale e con un sussulto ci voltavamo tutti quanti verso i binari, convinti di veder arrivare il treno che ci avrebbe condotto alla nostra nuova destinazione. I più vecchi ed esperti di noi allora spiegavano che quello non era il rumore del treno, ma il suono del vento che corre
attraverso le gallerie sotterranee; poi, cercando di simulare la loro stessa irrequietudine, invitavano alla calma e dicevano che sì, sarebbe arrivato presto, e chissà, forse era proprio il treno che produceva in lontananza tutto quel vento. I piccoli riprendevano a giocare, sotto lo sguardo amorevole delle madri; alcune donne, con modi gentili e discreti, incominciarono a fare il giro fra i capannelli di persone offrendo caffè e biscotti.
Ore cinque e quarantacinque: siamo entrati nel futuro, e in quello stesso momento, senza accorgercene, siamo scivolati definitivamente nel passato. La stazione della metropolitana, che ormai conosciamo a menadito, non ci sembra più così nuova e all’avanguardia come quando siamo arrivati. Quell’arredamento, quelle rifiniture architettoniche che inizialmente avevamo ammirato per il loro stile avveniristico, hanno adesso un non so che di datato, perfino di squallido. Sotto la luce impersonale dei neon ci atteniamo ai gesti di sempre, ci sforziamo ancora di mantenere controllo e decoro, ma è scomparso il sentimento di euforia e di ottimismo che animava i nostri sorrisi: ciò che ci fa andare avanti è piuttosto un residuo inconsapevole di dignità, o forse un’inveterata tendenza alla sopportazione. Le donne continuano a portare provviste e bevande, tuttavia i loro passi sembrano ora più lenti e strascicati, come se recassero il peso di una rassegnata abitudine.
I bambini non se ne accorgono; passano il tempo a giocare insieme e probabilmente sono stati i primi a dimenticarsi della ragione per cui ci troviamo qui. Non pensano più al nostro mondo nuovo, al miraggio delle nostre vite rischiarate dal progresso.
L’unico tra loro che con la voce incrinata dalla delusione ci ha timidamente chiesto del treno, è stato zittito fra la noncuranza e l’imbarazzo generali. D’altronde fra gli adulti, come per un tacito accordo, nessuno osa pronunciare i propri dubbi, meno che mai sollevare la questione su che ne sarà di noi. Quello è un argomento tabù. Significherebbe sospettare apertamente che siamo stati
imbrogliati o, ancor peggio, dimenticati. E allo stesso modo nessuno vuole fare caso alle gallerie fredde e buie che si estendono oltre i limiti della banchina. E’ uno scorcio inquietante, che fa pensare al vuoto, all’ignoto, al nostro futuro che chissà dove, ma comunque lontano da qui, sfreccia su binari luminosi e infiniti.
Biografia
LUCA SAINI
nasce nel 1975 a Torino, dove vive e lavora come fotografo e musicista. La sua ricerca è volta ad indagare il rapporto tra fiction e realtà e a questo scopo, oltre al mezzo fotografico, utilizza il video, la musica, i testi. Nel progetto Human no Human si avvale della collaborazione di Francesco Vittori, giovane scrittore torinese; insieme costruiscono un percorso immaginario, dove parole e fotografia si fondono, dando vita alle visioni che ci accompagnano verso un altrove inaspettato.
10
maggio 2005
Luca Saini – Human / No Human
Dal 10 al 28 maggio 2005
arte contemporanea
Location
GALLERIA SPAZIO10
Ivrea, Via Gariglietti, 10, (Torino)
Ivrea, Via Gariglietti, 10, (Torino)
Orario di apertura
martedi-sabato 16-19
Vernissage
10 Maggio 2005, ore 21,30
Autore




