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Paolo Conti – Otto identità per un’archeologia del futuro
L’arte di Conti, fin dai suoi esordi alla fine degli anni Sessanta, ha indagato l’ambito del concetto di identità
Comunicato stampa
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La mostra antologica alla Galleria Civica d’Arte Moderna di Cesena, nell’affascinante spazio delle Ex- Pescherie, curata da Renato Barilli e Giovanni Granzotto, rappresenta un approfondimento di una tra le poetiche più interessanti del contemporaneo.
L’arte di Conti, fin dai suoi esordi alla fine degli anni Sessanta, ha indagato l’ambito del concetto di identità. Partendo dall’utilizzo dei rottami dello stampaggio di derivazione industriale, già definiti nel 1971 da Barilli “negativi dell’industria”, Conti ha costantemente approfondito la sua ricerca con un portato metaforico straordinario, nella lettura del mondo contemporaneo. Quei rottami, ricuperati nelle discariche, hanno molteplici forme, eppure sembrano tutti ugualmente rottami, perché nella società dell’utile non servono. Come spesso ha sottolineato Conti “essi esistono nonostante non siano: sono, per definizione, identità al bando”. In una straordinaria installazione dei primi anni Settanta, intitolata Platone, ora esposta alla GAM di Cesena, Conti costruisce una colonna di due metri e mezzo di rottami saldati e verniciati a fuoco, e la allestisce vicino ad una parete; illuminandola con un fascio di luce ne proietta la sagoma, nuovamente con un effetto di positivo/negativo, luce/ombra; poi, costruisce una cornice di legno grezzo, a losanga, e la appende alla parete, in modo che venga attraversata dall’ombra verticale della colonna; nello spazio interno alla cornice l’ombra viene colorata dall’artista: nasce così la prima intuizione che porterà ai suoi prigionieri.
L’operazione fortemente concettuale dell’artista crea uno straordinario attraversamento di diversi domini di esistenza: se la colonna di rottami, infatti, è un elemento reale - per Conti oltre ad essere un’opera è anche un pezzo di paesaggio, perché nella realtà esiste, anche se nessuno sembra accorgersene – la sua ombra proiettata entra nello spazio della superficie, che è tradizionalmente lo spazio della pittura: l’ombra cambia colore perché comincia l’assunzione di un’identità non più al bando: l’identità della pittura. Da questo momento in avanti tutto il percorso di Conti sarà dedito alla costituzione di questa identità di attraversamento, che riesce a saldare domini di esistenza apparentemente inconciliabili. Per questo l’artista bolognese si è servito, da sempre, di molteplici strumenti del fare artistico, dalla scultura alla pittura e con riferimenti culturali che vanno dalla musica alla letteratura, sino alla fisica e alla biologia.
Nel lavoro su carta, presente nelle sue evoluzioni alla mostra di Cesena, Conti (dopo un primo ciclo di opere intitolato “Mass media”, 1968-70) era partito con l’applicazione diretta dei rottami ferrosi sulla superficie (ciclo del “rottame nudo”, 1971-74), creando un forte scontro sia concettuale che estetico, progressivamente risolto con l’inserimento di sagome disegnate (ciclo dei “Grafismi”, 1975); poi si è occupato del rapporto tra materialità del rottame e colore, attraverso diverse sperimentazioni strutturali e cromatiche, anche utilizzando procedimenti aleatori, in sintonia con le idee dell’amico John Cage (cicli di “Casual”, 1975, e “Informale prigioniero”, 1976-78); poi, progressivamente, è cominciata la rappresentazione dei rottami, prima indagati con precisione scientifica (ciclo dei “Quotati”, 1979-80), poi creando delle configurazioni che vengono distribuendosi nello spazio della superficie (ciclo di “Inventari”, 1984-85, e “Collage”,1988); ma sarà con i cicli delle “Nebulose” (1989-90) e delle “Maschere” (dal 1990 in avanti), realizzate con l’utilizzo di vernici a spruzzo, con l’effetto di una dimensione spaziale tridimensionale - spesso affiancata dalla critica ad alcune ricerche dell’arte cinetica - che Conti giungerà alla sintesi sulla superficie di tutte le diramazioni della sua ricerca: si pensi alle note sculture d’ambiente (“colonne”, “cubi” e “piramidi”, dal 1970) e alle sculture da parete (“frammenti” e “cerchi”, dal 1984), opere queste ultime che non hanno più legami con i concetti di quadro e supporto, dal momento che l’artista indaga la libera costituzione dell’opera nello spazio, come se fosse un organismo vivente che si adatta all’ambiente compenetrandolo, con straordinari riferimenti alle più avanzate ricerche scientifiche della fisica e della biologia, di cui Conti è da sempre un assiduo frequentatore.
È poi nelle affascinanti "tele" (dal 1997), che i rottami vengono indagati nelle loro valenze materiali e formali, sino ad una fusione totale sulla superficie della pittura: così come già stava avvenendo nelle carte del ciclo delle "maschere", sulle tele i rottami vengono usati come “mascherature” per l’uso di vernici a spruzzo: le vernici vengono ad assumere la stessa funzione che la luce aveva nell’antica installazione “Platone”, producendo dei negativi cromatici dei rottami sulla superficie. Queste sperimentazioni avviano la nascita dei “prigionieri nel piano” e dei “prigionieri nello spazio”, siamo nel 2003, nei quali Conti sintetizza tutte le sue esperienze: sui rottami, usati come maschere, infatti, resta un eccedente della pittura. I rottami rimangono incrostati di quel colore che non è servito per la superficie della pittura: divengono cioè “rottami al quadrato”, perché oltre ad essere rottami ab origine, portano su di sé il “rottame della pittura”. In questo momento, e in modo assolutamente inedito nella storia dell’arte, la realtà e l’arte si fondono, attraverso la consapevolezza e la fusione dei loro negativi. Nei “prigionieri nel piano” i “rottami al quadrato” affondano in spessi cartoni, anche erosi, dipinti e tenuti da spesse viti di acciaio; mentre nei “prigionieri nello spazio”, avvinghiati a lacci di acciaio, sono incorniciati da spesse e grezze cornici di legno.
Per il forte valore metaforico insito in questa ricerca, l’opera di Paolo Conti rappresenta una delle più importanti riflessioni artistiche sul contemporaneo, il cui dibattito attuale più che mai è aperto sul valore dell’identità non solo dell’individuo ma di interi ambiti culturali.
Al ciclo dei "prigionieri", poi, appartengono una serie di opere intitolate "evasi", nella quale l'artista sottolinea il valore libertario del rottame, la fuoriuscita da ogni tipo di prigione, la vittoria su ogni sudditanza culturale.
Nella nota introduttiva al catalogo della mostra alla Galleria Civica d’Arte Moderna di Cesena si legge: "Il rottame era nudo all’alba degli anni Settanta, ora è prigioniero di un mondo cui ha donato l’identità, ma già è evaso, è già altrove, in un luogo di civiltà possibile verso cui tutti segretamente tendiamo: ma il parlarne sarebbe già un’archeologia del futuro". Per i legami extra-artistici del suo lavoro Conti ha suscitato anche l’interesse di personalità al di fuori dell’ambito dell’arte visiva tout court, come il musicologo Alberto Basso, il citato John Cage, lo scrittore Carlo Castellaneta e il Nobel per la letteratura Heinrich Böll che definì l’opera dell'artista bolognese "un'esecuzione sconvolgente cui non si può resistere".
L’arte di Conti, fin dai suoi esordi alla fine degli anni Sessanta, ha indagato l’ambito del concetto di identità. Partendo dall’utilizzo dei rottami dello stampaggio di derivazione industriale, già definiti nel 1971 da Barilli “negativi dell’industria”, Conti ha costantemente approfondito la sua ricerca con un portato metaforico straordinario, nella lettura del mondo contemporaneo. Quei rottami, ricuperati nelle discariche, hanno molteplici forme, eppure sembrano tutti ugualmente rottami, perché nella società dell’utile non servono. Come spesso ha sottolineato Conti “essi esistono nonostante non siano: sono, per definizione, identità al bando”. In una straordinaria installazione dei primi anni Settanta, intitolata Platone, ora esposta alla GAM di Cesena, Conti costruisce una colonna di due metri e mezzo di rottami saldati e verniciati a fuoco, e la allestisce vicino ad una parete; illuminandola con un fascio di luce ne proietta la sagoma, nuovamente con un effetto di positivo/negativo, luce/ombra; poi, costruisce una cornice di legno grezzo, a losanga, e la appende alla parete, in modo che venga attraversata dall’ombra verticale della colonna; nello spazio interno alla cornice l’ombra viene colorata dall’artista: nasce così la prima intuizione che porterà ai suoi prigionieri.
L’operazione fortemente concettuale dell’artista crea uno straordinario attraversamento di diversi domini di esistenza: se la colonna di rottami, infatti, è un elemento reale - per Conti oltre ad essere un’opera è anche un pezzo di paesaggio, perché nella realtà esiste, anche se nessuno sembra accorgersene – la sua ombra proiettata entra nello spazio della superficie, che è tradizionalmente lo spazio della pittura: l’ombra cambia colore perché comincia l’assunzione di un’identità non più al bando: l’identità della pittura. Da questo momento in avanti tutto il percorso di Conti sarà dedito alla costituzione di questa identità di attraversamento, che riesce a saldare domini di esistenza apparentemente inconciliabili. Per questo l’artista bolognese si è servito, da sempre, di molteplici strumenti del fare artistico, dalla scultura alla pittura e con riferimenti culturali che vanno dalla musica alla letteratura, sino alla fisica e alla biologia.
Nel lavoro su carta, presente nelle sue evoluzioni alla mostra di Cesena, Conti (dopo un primo ciclo di opere intitolato “Mass media”, 1968-70) era partito con l’applicazione diretta dei rottami ferrosi sulla superficie (ciclo del “rottame nudo”, 1971-74), creando un forte scontro sia concettuale che estetico, progressivamente risolto con l’inserimento di sagome disegnate (ciclo dei “Grafismi”, 1975); poi si è occupato del rapporto tra materialità del rottame e colore, attraverso diverse sperimentazioni strutturali e cromatiche, anche utilizzando procedimenti aleatori, in sintonia con le idee dell’amico John Cage (cicli di “Casual”, 1975, e “Informale prigioniero”, 1976-78); poi, progressivamente, è cominciata la rappresentazione dei rottami, prima indagati con precisione scientifica (ciclo dei “Quotati”, 1979-80), poi creando delle configurazioni che vengono distribuendosi nello spazio della superficie (ciclo di “Inventari”, 1984-85, e “Collage”,1988); ma sarà con i cicli delle “Nebulose” (1989-90) e delle “Maschere” (dal 1990 in avanti), realizzate con l’utilizzo di vernici a spruzzo, con l’effetto di una dimensione spaziale tridimensionale - spesso affiancata dalla critica ad alcune ricerche dell’arte cinetica - che Conti giungerà alla sintesi sulla superficie di tutte le diramazioni della sua ricerca: si pensi alle note sculture d’ambiente (“colonne”, “cubi” e “piramidi”, dal 1970) e alle sculture da parete (“frammenti” e “cerchi”, dal 1984), opere queste ultime che non hanno più legami con i concetti di quadro e supporto, dal momento che l’artista indaga la libera costituzione dell’opera nello spazio, come se fosse un organismo vivente che si adatta all’ambiente compenetrandolo, con straordinari riferimenti alle più avanzate ricerche scientifiche della fisica e della biologia, di cui Conti è da sempre un assiduo frequentatore.
È poi nelle affascinanti "tele" (dal 1997), che i rottami vengono indagati nelle loro valenze materiali e formali, sino ad una fusione totale sulla superficie della pittura: così come già stava avvenendo nelle carte del ciclo delle "maschere", sulle tele i rottami vengono usati come “mascherature” per l’uso di vernici a spruzzo: le vernici vengono ad assumere la stessa funzione che la luce aveva nell’antica installazione “Platone”, producendo dei negativi cromatici dei rottami sulla superficie. Queste sperimentazioni avviano la nascita dei “prigionieri nel piano” e dei “prigionieri nello spazio”, siamo nel 2003, nei quali Conti sintetizza tutte le sue esperienze: sui rottami, usati come maschere, infatti, resta un eccedente della pittura. I rottami rimangono incrostati di quel colore che non è servito per la superficie della pittura: divengono cioè “rottami al quadrato”, perché oltre ad essere rottami ab origine, portano su di sé il “rottame della pittura”. In questo momento, e in modo assolutamente inedito nella storia dell’arte, la realtà e l’arte si fondono, attraverso la consapevolezza e la fusione dei loro negativi. Nei “prigionieri nel piano” i “rottami al quadrato” affondano in spessi cartoni, anche erosi, dipinti e tenuti da spesse viti di acciaio; mentre nei “prigionieri nello spazio”, avvinghiati a lacci di acciaio, sono incorniciati da spesse e grezze cornici di legno.
Per il forte valore metaforico insito in questa ricerca, l’opera di Paolo Conti rappresenta una delle più importanti riflessioni artistiche sul contemporaneo, il cui dibattito attuale più che mai è aperto sul valore dell’identità non solo dell’individuo ma di interi ambiti culturali.
Al ciclo dei "prigionieri", poi, appartengono una serie di opere intitolate "evasi", nella quale l'artista sottolinea il valore libertario del rottame, la fuoriuscita da ogni tipo di prigione, la vittoria su ogni sudditanza culturale.
Nella nota introduttiva al catalogo della mostra alla Galleria Civica d’Arte Moderna di Cesena si legge: "Il rottame era nudo all’alba degli anni Settanta, ora è prigioniero di un mondo cui ha donato l’identità, ma già è evaso, è già altrove, in un luogo di civiltà possibile verso cui tutti segretamente tendiamo: ma il parlarne sarebbe già un’archeologia del futuro". Per i legami extra-artistici del suo lavoro Conti ha suscitato anche l’interesse di personalità al di fuori dell’ambito dell’arte visiva tout court, come il musicologo Alberto Basso, il citato John Cage, lo scrittore Carlo Castellaneta e il Nobel per la letteratura Heinrich Böll che definì l’opera dell'artista bolognese "un'esecuzione sconvolgente cui non si può resistere".
30
aprile 2005
Paolo Conti – Otto identità per un’archeologia del futuro
Dal 30 aprile al 29 maggio 2005
arte contemporanea
Location
GALLERIA COMUNALE D’ARTE MODERNA – EX PESCHERIA
Cesena, Via Pescheria, 23, (Forlì-cesena)
Cesena, Via Pescheria, 23, (Forlì-cesena)
Orario di apertura
tutti i giorni 9:30-12:30 e 16:30-19:30. Chiuso il lunedì
Vernissage
30 Aprile 2005, ore 17,30
Autore
Curatore




