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Non ricordo esattamente quando ho conosciuto Pino Casagrande: sicuramente il nostro incontro risale ai primissimi Anni Novanta, quando da splendido padrone di casa quale era offriva serate memorabili – ospitando nella sua algida, insieme accogliente e avvolgente dimora-museo, nonché attiva palestra intellettuale – performance e mostre di giovani artisti neo-concettuali, prendendosi la responsabilità di incentivare chi usciva dal postmoderno e dai linguaggi tradizionali sconfinando nello spazio e nella partecipazione del pubblico. Forse non lo ricordo perché, in fondo, ci siamo più che altro ri-conosciuti, come avviene con le persone che ci sembra di frequentare da sempre, con le quali si condividono sintonie intellettuali anche per via di analoghe lunghezze d’onda emotive.

Nomen omen, Pino era tutt’uno con la sua grande casa: una villa liberty nei pressi delle Terme di Caracalla, sede della sua collezione prestigiosa, dal Minimal americano all’Arte Povera fino alle ultime generazioni, con la quale conviveva in perfetta armonia perché proiezione e concretizzazione del suo gusto, della sua sensibilità e peculiarità caratteriale e culturale, declinata nella propensione per la linea fredda e monocromatica internazionale dell’arte, espressione di un’avanguardia di pensiero e di una dimensione linguistica ben precisa nelle sue varie declinazioni.
Anche il parallelepipedo bianco di via degli Ausoni – ovvero la sua Galleria dal 1995, dopo quella di via Principessa Clotilde – è uno spazio che già da vuoto risuona di una pienezza estetica, un luogo che gli stava a pennello, dove si sono succeduti artisti legati da un sottile filo rosso: un bandolo della matassa che Pino srotolava quasi senza pensarci, tanta era la sua dimestichezza nella scelta per affinità elettive, evitando i limiti della galleria di tendenza nella scelta di artisti internazionali o legati al territorio, moderatamente narrativi o concettuali puri e spuri, maestri o giovani uniti dalla matrice della vocazione alla ricerca, alla sperimentazione e alla misura.
Quella misura, esercitata con lo stile e la sobrietà di un abito mentale che non faceva una piega, universalmente riconosciuta come vocazione naturale, che lo ha caratterizzato accanto ad una capacità colloquiale e di confronto esercitata, oltre che con gli artisti, con noi critici e curatori, sempre con grande acume e rispetto dei ruoli. E l’umanità, l’autenticità dello scatto caratteriale quando ci voleva, il sorriso e l’ironia sorniona dell’uomo di mondo, galante, elegante: appena superata la soglia mi squadrava salutandomi “Ciao principessa” , abbracciandomi e chiedendomi puntualmente, appena seduti alla sua scrivania meticolosa, una sigaretta che aspirava avidamente mentre mi ribadiva che lui, lui no, in realtà non fumava. Uno still life che non potrò mai dimenticare perché è una metafora di vita.
Chi l’avrebbe detto, Pino, che tra i tanti testi scritti per le tue mostre, l’ultimo dovesse essere proprio su di te, che hai fatto dell’arte la tua vita.













Ho conosciuto pino una domenica mattina del 1979 in via ippolito nievo (porta portese),cominciava incuriosito la sua ricerca di oggetti d arte tra i banchi multicolori del mercato domenicale romano.sono stato molto fortunato di conoscere pino,allora gestiva insieme al fratello ed allo zio un grande negozio di abbigliamento in via appia,andavo a trovarlo spesso .comprava antichita per la sua casa pariolina di allora.mi chiedeva consigli con la gentilezza e l allegria e con la leggerezza che solo lui sapeva regalare.al tempo nasceva mia figlia viviana,pino mi regalo tutto il necessario,dai lenzuolini ai vestitini,non ero ricco e faticavo a lavorare , ma pino non me lo faceva pesare e mi aiutava acquistando anche quello che forse non gli serviva.mi chiedeva di insegnarli i piccoli grandi trucchi del mercato , era curioso, un giorno arrivo al mercato indossando un avveniristico giubotto giallo smanicato ma con altoparlanti e stereo incorporato,aveva deciso aveva cambiato tutto,lavoro vita e agli oggetti antichi aveva scelto l arte ultramoderna,capii quella domenica che non l avrei piu rivisto.
Non ho smesso mai di ricordarlo con simpatia e con allegria.
Grazie Pino
ciao
Caro Pino il messaggio di Gaia che mi è’ arrivato pochi minuti dopo …………………. mi ha lasciata disperata..
Stavo scrivendo una piccola lista di amici con i quali pensavo di trascorrere il capodanno, e tu eri tra le persone che desideravo tanto invitare e stavo per chiamarti.
Sapevo che non stavi bene.
Ma che ti stavi curando.
Dicevo, se Pino non ha impegni presi precedentemente, ed e’ in citta’, verrà .
Anche con Mariagela speravo.
Tante bellissime parole hanno scritto su di te.
È altrettante ascoltate nelle telefonate subito dopo……….
Non voglio ne scrivere ne pronunciare la dolorosa parola che ti terrà per sempre lontano dai tuoi tanti amici e anche da me.
Ma ti abbracciò con un affetto infinito ricordandomi sempre
Che quando mi presentavi dicevi sempre: “lei è la Calcografia”.
Ciao insostituibile.
Marcella Ghio
A distanza di qualche anno ,nessuno e’ riuscito a colmare il vuoto creato da Pino Casagrande.
la Sua cultura,la sua eleganza,il suo stile di vita e’ rimasto incolmabile.
Molti cercano di scimmiottare la Sua personalita’ con pessimo risultato.
la completa ignoranza e la prosopopea che ci circonda ,non fa’ altro che esaltare la Sua figura.
Voglio ricordarlo adesso ,in questo momento di ipocrite gentilezze e di falsi auguri.
I veri Personaggi non scompaiono mai.
Restano indelebili nella mente di chi ha condiviso con pino ,veri ed importanti momenti,
Ciao maestro,a presto.