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Troppo immersiva per essere catturata con un selfie. A volte, troppo preziosa per camminarci sopra con le scarpe. Troppo intensa per consumarla in un istante.
To breathe, letteralmente respirare, è l’ultimo della serie di progetti che portano questo nome (il primo fu alla Fenice di Venezia anni fa) di Kimosooja, coreana di nascita e giramondo per lavoro (New York, Parigi, Seoul).
L’ultimo atto di To breathe è da ieri al Pompidou di Metz. Fatto, come spesso molte altre sue creature, di luce e di specchi. Materiali con cui trasforma musei e gallerie in luoghi meditativi ed esperenziali sulla fluidità dello spazio, la dilatazione della sua percezione.
E a proposito di esperienza ce ne una, sua, trasformata in video che rimane memorabile. Non c’era la luce, ma una città e una folla che lei, di spalle, con la sua lunga coda nera di capelli, fendeva immobile come un ago (il video si chiamava Needle woman).
Chi ha avuto la fortuna di vederlo, non se lo può dimenticare.
















