05 ottobre 2020

Pierino, il Lupo, Pulcinella, Ascanio Celestini e Tonino Battista, al Parco della Musica

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Al Parco della Musica, in scena la voce di Ascanio Celestini e la musica dell'Ensemble diretto da Tonino Battista, per dare corpo alle opere di Prokof'ev e Stravinskij

Roma, Museo ferroviario di Colonna Ascanio Celestini ©Musacchio, Ianniello & Pasqualini

Una proposta comparativa in merito alla critica musicale sembra riferirsi in prima battuta alla qualità dei testi, solitamente scritti a stretto giro secondo modelli riferibili essenzialmente alla pubblicistica: mestiere provinciale per vocazione, quasi da abbonato senza tifare per nessuno, poco incline alle trasferte. Ebbene, staccare ogni tanto il cordone ombelicale dalla sala da concerto partenopea pure giova l’ascoltatore di ogni genere ed età, giusto il tempo di lasciarsi contagiare dal necessariamente dissimile, quel contesto cui si lega ogni esecuzione fatta di atmosfera della sala, composizione del pubblico e gestione dell’insieme. Mercoledì, 30 settembre, sono da poco superate le 20:30, quando un mezzo Atac, il 982, ci lascia poco distanti dall’Auditorium Parco della Musica, in vibrante attesa per lo spettacolo che mette insieme il PCME – Parco della Musica Contemporanea Ensemble, diretto da Tonino Battista, con la voce recitante di Ascanio Celestini per ospitare i presenti nelle spire di un racconto in musica giocato tra un altro Pierino e il Lupo insieme a un Pulcinella parimenti altro: una iniziativa da inserire nel contesto di REF2020, manifestazione ad ampio raggio culturale utile per osservare il valore degli scambi in atto, tra offerta e risposta.

La serata è piacevole, le temperature sono scese ma non al punto da dover soffrire il freddo, la cavea in largo Luciano Berio è pronta a ospitare la performance prevista dalle ore 21, uno spettacolo senza intervallo destinato a superare i 90′ effettivi. All’occhio risaltano volti più giovani, presenza di famiglie con bambini e anche un pubblico di appassionate che non manca di segnalare la sua caratura facendo ricorso a un tattico plaid nascosto in borsa.

La parte sopraelevata va riempendosi configurando una scacchiera di presenze lungo tutto l’arco di questo anfiteatro in mattoncini e sedute in plastica e acciaio: non c’è troppa agitazione per le misure adottate in riferimento al distanziamento sociale, tutto scorre piuttosto regolare e per una serata sembra che davvero ci sia qualcuno disposto ad ascoltare partecipe.

L’opera è presente

Dopo i rituali rintocchi timbrici articolati tra gli strumenti a partire dal solito LA dell’oboe, salgono in scena gli animatori della serata, direttore e voce recitante, in quella che preannuncia non una semplice riproduzione dell’opera, bensì una disponibilità dell’opera a farsi presente, come a più riprese è indicato dalle parole di Celestini, che non vale riportare solo per il piacere di averle ascoltate in quell’occasione, quella lì e non questa, perché magari la loro presenza era sostenuta dalla musica come non potrebbe essere adesso alla nostra lettura: la sua voce, quelle parole, il dialogo con l’orchestra mediato da una bacchetta che direziona il futuro imminente dell’ascolto.

Pierino e il lupo, favola sinfonica scritta per l’infanzia, su testo dello stesso Prokof’ev è del 1936, la ascoltiamo ancora oggi e non smetteremo mai di lasciarci rapire in questa storia e salvare magari il lupo. Il pubblico del Parco della Musica segue partecipe l’azione musicale, Celestini si scalda per bene prima di risalire e indossare non proprio i panni, né la voce, ma proprio una memoria in relazione a Pulcinella, ché magari il fu acerrano altri non è che una maschera universale per dare diritto d’asilo alla stupidità in questo mondo di uomini così umani che non ci sarebbe quasi posto per nessuno.

Ed ecco che il Pulcinella di Stravinskij, articolato momento sinfonico giocato sulla riproposizione di una tradizione musicale da misurare negli sfasamenti delle sue asimmetrie, nelle sue cellule quasi avviate all’automazione eppure sensibilmente controllate in momenti di scambio tra la voce recitante e il dominio orchestrale fino alla loro sincresi, arriva a sottolineare l’acme di una tensione stabilmente irrisolta, quando non solo i racconti della tradizione orale ma proprio la memoria degli stessi contadini trova posto attraverso puntuale scomparsa per mano armata dello Stato.

Come possibile derivare dalle battute poco più sopra, non è tanto il desiderio di una critica musicale ad animare queste righe, quanto una precisa idea della funzione della musica a sostegno dell’educazione del pubblico: una iniziativa come questa, oltre alla grandezza degli interpreti in gioco, tiene conto della responsabilità degli interpreti nel presentare magari anche le stesse cose, di sicuro in un certo modo.

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