03 ottobre 2004

around_report street barcellona

 
Tag, stickers, graffiti. Le strade di Barcellona sono il regno scanzonato e ribelle del popolo dei writers. Contestazione sociale e manipolazione dei codici di massa. Shakerando moda, arte, fumetto, pubblicità. Un viaggio attraverso uno dei luoghi simbolo della street art…

di

Barcellona spicca nella geografia del Vecchio Continente per la sua effervescenza, alimentata da una popolazione giovanile in fermento costante. Ovunque si colgono tracce di questo fervore creativo: una bottega itinerante, che si muove nella metropoli contemporanea, delineando percorsi alternativi di fruizione fisico-estetica.
La location marittima della città, permeabile ai diversi agenti atmosferici ed antropici, si riflette nella maglia ortogonale di strade -in gran parte ciclabili- che l’attraversano. Spostarsi in sella ad una bici o su uno skate-board è il modo più diretto per interfacciarsi con il contesto urbano, regolandosi sulle frequenze arbitrarie dell’individuo, anziché sugli automatismi del tempo economico. La stessa componente di casualità caratterizza gli artisti che popolano le calli di Barcellona, lo spray sottobraccio, pronti a colpire. Bersaglio privilegiato dei loro assalti (secondo Exibart da condannare senza appello ndr), i muri di cemento e gli intonaci dei palazzi: superfici neutre su cui realizzare il proprio intervento di reclamation estetica. L’intento è quello di riappropriarsi della città, in quanto laboratorio di un’esperienza artistica collettiva ed autogestita.
street barcellona
Barcellona offre un saggio eccellente del nuovo trend emerso nella graffiti art: dalla tag, firma con valore di outing esistenziale, si è passati ad un vero e proprio revival iconografico. Nella foresta d’immagini che dominano (e deturpano ndr) il paesaggio urbano, i pieces dei writers rivendicano il diritto a partecipare direttamente e dal basso alla “cosmesi” del reale. Perciò, alla veste immacolata dei vagoni del metrò si contrappongono le opere coloratissime disseminate nei diversi quartieri. Il mercato della Boqueria ospita, accanto ai banchi di frutta esotica e jamon serrano, i lavori di Miss Van, giovane artista francese, nota per il suo immaginario in rosa, che oscilla tra la fiaba manga e l’erotismo pulp: un cocktail letale, scaturito dall’aberrazione mediatica dell’archetipo femminile, misto d’ingenuità e seduzione. Accanto, come in una galleria all’aperto, si osserva un pezzo di Freaklüb, crew formata da The Shadow Brothers e Empty. Beniamina della loro saga metropolitana è Aunara, bambina dai capelli rossi, ispirata ai cartoons giapponesi. La tecnica è molto raffinata, contorni netti e campiture piatte, come in un’opera grafica. L’impianto narrativo si richiama allo storyboard street barcellona fumettistico e l’immagine, riscoperta per il suo potenziale comunicativo, è in grado di colpire il fruitore con l’immediatezza della sua sintesi semantica. La tendenza a sostituire lo stile tipografico della tag con un pittogramma stilizzato ricorre in molti artisti, tra cui Cha e Pez. Per entrambi, il gatto o il pesce fungono da pattern visivi facilmente identificabili ed assimilabili. Così, s’infiltrano nel feudo della pubblicità coniando loghi alternativi a quelli del branding tout court. Il gatto di Cha si richiama ad un’ampia casistica di felini, da Hello Kitty a Garfield, puntualmente sfornati dagli strateghi del marketing. Il sabotaggio latente dei guerriglieri metropolitani è esplicito nella prassi, sempre più diffusa, di tappezzare i cartelli stradali con stickers dalle forme e dai contenuti molteplici. Così, l’originario grafismo del writing riaffiora nella segnaletica urbana, manipolandola in chiave ironica o polemica. L’operazione, nota come signage, tende a riscrivere i codici della comunicazione sociale, secondo stilemi del tutto personali. L’icona è considerata infatti fonte d’imposizioni, condizionamenti e divieti: sovvertirla significa, perciò, rivendicare la propria autonomia e il coinvolgimento dell’intera collettività nel dettare un comune sistema di valori.

maria egizia fiaschetti

1 commento

  1. non capisco perche’ il graffitismo sia da condannare. non capisco come i graffiti deturpino il paesaggio. Penso che sia la salvezza di un’urbanistica povera di spirito e ricca di mazzette che spinge i meno abbienti, poveri in canna ma spesso ricchi di spirito, dentro queste caverne mortificanti. E’ da qui che parte quella voglia di ridare dignita’ ad un ambiente ostile. E ci riescono cosi’ bene da portarci tutti a dare un’occhiata in quelle schifezze di quartieri. non abbiamo condannato i cro-magnon quando graffitavano le caverne e non dobbiamo condannare i writers ora.

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