18 luglio 2012

fino al 30.IX.2012 Robert Mapplethorpe Budapest, Ludwig Múzeum

 
Dalle prime Polaroid ai lavori della maturità artistica, tra perfezione classica e irriverenza scandalosa, questa prima grande esposizione su Robert Mapplethorpe in terra ungherese racconta di un artista in equilibrio tra gli opposti -

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Una ricerca devota e razionale della forma in tutte le sue espressioni, quella affrontata dallo statunitense Robert Mapplethorpe (Long Island 1946 – Boston 1989) nel corso della sua breve e tormentata esistenza. Dalle sperimentazioni con le Polaroid e i collages, testimonianza del fervore dell’ambiente underground newyorkese degli anni Settanta, ai ritratti di colleghi artisti del Chelsea Hotel e di sconosciuti senza fama, fino alla compostezza classico-rinascimentale dei fiori e dei nudi aitanti e scultorei. Tutto questo è Robert Mapplethorpe. Tutto questo è in mostra al Ludwig Múzeum di Budapest: circa duecento opere, compresi i video diretti dallo stesso Mapplethorpe, articolate in modo che il visitatore possa percorrere gradualmente lo spasmo di perfezione che ha caratterizzato l’intera produzione artistica del fotografo di New York. Per Mapplethorpe, che siano steli di fiori oppure gocce d’acqua su una pianta di lattuga, o su un membro maschile, fa poca differenza. Il corpo, di qualunque genere esso sia, è prima di tutto materia: e come materia può essere scolpito, attraversato dalla luce e dall’ombra, costretto in pose plastiche e attraenti. I suoi modelli metropolitani sono i “Discoboli di Mirone” dell’era moderna: hanno glutei sodi e pelle su cui la luce scorre limpida come acqua, ma sono anche, in qualche modo, sporchi: 
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sono neri, neri come le nicchie alternative newyorkesi, il tabù e il rifiuto che il fotografo, dichiaratamente omosessuale, avrà modo di subire non solo come uomo ma anche come artista. L’esposizione della capitale ungherese cerca, quindi, di puntare l’attenzione non tanto sull’esplicita sensualità delle immagini quanto sulla linearità e  sulla perfezione delle composizioni fotografiche, proponendo opere che ricordino – ad ogni passo che si compie nel vasto spazio bianco e nero delle sale in cui è allestita – che Robert Mapplethorpe è giunto al successo grazie agli still life e ai ritratti molto più che per le sperimentazioni sui soggetti trasgressivi degli ultimi anni. In Certain people, Susan Sontag diceva di lui che «(..) Cerca di fotografare tutto, perché tutto è in grado di posare», in quanto tutto ha una forma, tutto è oggetto. La sua è una costante e spasmodica ricerca non del vero, ma del forte e del bello. Un bello moderno, metropolitano, che ci fa ricordare, guardando Derrick Cross, la più classica delle deposizioni: un Cristo costretto in una rigida struttura compositiva, vincolato dalle linee e dalle luci che percorrono il suo corpo disteso e i suoi muscoli contratti. Questa dualità è quella che fa di Mapplethorpe un acuto osservatore dei tempi moderni e, contemporaneamente, un nostalgico ammiratore della purezza delle forme classiche. La sensualità delle immagini e, insieme, la freddezza della loro resa, le schiaccia in una prospettiva senza tempo: o, per meglio dire, oltre il tempo. Per citare Mapplethorpe: «Sto cercando di catturare il momento che vivo e dove lo vivo, e si tratta di New York. Sto cercando di captare questa follia e di dargli un qualche ordine». E, forse, lo ha trovato, questo modo di ordinare il caos.
michela alessandrini
mostra visitata il 22 giugno 2012

dal 25 maggio al 30 settembre 2012
Robert Mapplethorpe – Ordinare il caos
a cura di Erȍss Nikolett
in collaborazione con la Robert Mapplethorpe Foundation of New York
Ludwig Múzeum
1095 Budapest, Komor Marcell utca 1, Ungheria
Orario: dal martedì alla domenica, dalle 10 alle 20. Chiuso il lunedì.
Info: www.ludwigmuseum.hu

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