01 settembre 2010

fino al 5.IX.2010 Dinasty Paris, Palais de Tokyo / Mam

 
1 mostra, 2 luoghi, 40 artisti, 80 opere. Si presenta così Dynasty al Palais de Tokyo e al Mam. I due centri d'arte di Parigi uniscono le loro forze per selezionare e proporre il meglio dell'arte francese under 35. I numeri per una rassegna da non perdere ci son tutti...

di

Si
scrutano da anni, simmetrici e imponenti come marmorei guardiani che si
riflettono nelle acque della Senna, e hanno infine deciso di collaborare: il
Palais de Tokyo e il Museo d’Arte Moderna riscaldano l’estate parigina con la
mostra Dynasty, che riassume
negli spazi dei due musei la più considerevole arte francese under 35.

È
un evento che desta senz’altro interesse, vista la diversa natura delle due
strutture: il Palais de Tokyo è infatti un centro d’arte sovvenzionato dallo
Stato, mentre il Mam dipende dalla città di Parigi. Benché facciano parte dello
stesso complesso architettonico e siano strutturalmente identici, i centri non
hanno mai realizzato vere e proprie collaborazioni, coltivando due universi
culturali vicini e paralleli, ma che non si sono mai effettivamente incrociati.

Ci
siamo arrivati entrambi più o meno allo stesso momento. Era ora di creare
qualcosa assieme. E cosa questo qualcosa dovesse essere, evidente, una mostra
”, dichiarano i direttori dei due musei, Marc-Olivier Wahler per il Palais de Tokyo e Fabrice
Hergott per il Mam. È quest’ultimo ad aggiungere: “è stato come un gioco, con regole semplici:
scegliamo artisti con meno di 35 anni, in tutto 40, che espongano un’opera al Palais
de Tokyo e una al Mam. Ma ci sono voluti quasi tre anni di collaborazione
continua, intensa, in cui i momenti più stimolanti sono stati quelli in cui non
eravamo d’accordo e dovevamo trovare assieme la soluzione
”.

L’esposizione riprende in realtà progetti già
esistenti, ma condotti per vie diverse: gli Ateliers del Mam del 1977, i Moduli del Palais de Tokyo, entrambi
finalizzati allo sviluppo e alla promozione della giovane arte francese.

Che poi “francese”, soprattutto oggi, in piena
epoca di polemiche sul concetto d’identità nazionale, resta un eufemismo: viene
intesa qui come arte francese anche qualsiasi produzione di francesi all’estero
e di stranieri in Francia. Così, le due strutture si uniscono per dar vita a
un’inedita prospettiva sulla giovanissima arte internazionale, con 80 opere di
40 artisti i cui nomi già rimbalzano sulla scena mondiale.

Per la sezione video, sono considerevoli i lavori
di Gabriel Abrantes e Benjamin Crotty. Visionary Iraq è un sogno allucinatorio, in
bilico tra il lirismo grottesco di Arancia meccanica e la ridondante banalità delle
americanissime soap opera. Tra primi piani su volti imbalsamati dal trucco e
dialoghi lentissimi malgrado la pesante inerzia dei contenuti, la sessualità
dei personaggi si perde nella storia di due giovani che devono partire per la
guerra in Iraq.

Da tener d’occhio anche il lavoro di Chen Yang, artista cinese che vive in
Francia, di cui va citato il video Belle Journée. Lo spaesamento degli abitanti
di Tokyo di fronte alla scomparsa programmata delle loro abitazioni viene
raccontato con un piccolo acquario, posizionato su un cantiere di lavori, in
cui dei pesci si agitano sconvolti dall’accumularsi in acqua di zollette di
zucchero. Video al contempo ridicolo e crudele, è testimonianza chiara della
continua indagine dell’artista dei concetti di origine, memoria e nostalgia.

Per quanto riguarda le arti plastiche, netta è la
predominanza dei lavori devoti al principio del “riciclaggio”, come quelli del
taiwanese Yuhsin U.
Chan
e
di Laurent Le Deunff. Entrambi riescono a
metamorfosare oggetti d’uso comune per creare sculture impressionanti. Se il
primo dà vita a mostri di polvere che si arrampicano sulle pareti dei musei, e
come onde pulviscolari sembrano pronti a piombare sullo spettatore (Poussière), il secondo costruisce crani
con i resti di unghie umane (Crâne) e piccoli mammut di carta
riciclata (Mammouth). In questa metamorfosi della materia, gli oggetti
abbandonano il loro significato comune per raggiungere una dimensione archetipa
di valore.

Massiva anche se non predominante la componente
pittorica, e fra tutti colpisce la forza dei quadri di Farah Atassi. Transitional home 2 è un esempio della capacità
dell’artista di piegare gli spazi architettonici al volere ribelle di tavoli,
bricchi e finestre, i cui vettori destrutturano gli ambienti in una serie di
dimensioni puramente geometriche. Questi “alieni della casa” riescono, tramite
l’annullamento dei codici spaziali canonici, a mettere in mostra gli artefici
della pittura.

Da segnalare anche i quadri iperrealisti di Guillaume Bresson, che immortala in maniera
inedita gli spazi deserti della violenza urbana. I parcheggi sotterranei, privi
dei loro protagonisti e della loro funzionalità, diventano il regno
dell’indeterminato e del sospeso. Il fatto sparisce in favore del puro loco, e la situazione prende il
posto dell’azione.

Da rimarcare, nessun italiano presente in lista.

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mostra visitata l’11 giugno 2010


dall’undici giugno al 5 settembre 2010

Dynasty

a cura di Marc-Olivier Wahler e Fabrice Hergott

Palais de Tokyo

13, avenue du Président Wilson – 75016 Paris

Orario:
da martedì a domenica ore 12-24

MAM – Musée d’Art Moderne de la Ville
de Paris

11, avenue du Président
Wilson – 75016 Paris

Orario: da martedì a domenica ore 10-18

Ingresso: intero € 9; ridotto € 6

Catalogo disponibile

Info: www.dynasty-expo.com

[exibart]

 

4 Commenti

  1. ho visitato la mostra dieci giorni fa, ma solo la parte del Musèe d’Art Moderne, mentre ho saltato quella al Palais de Tokyo (non ce l’ho proprio fatta, ovvero, me ne è bastata una..) e l’ho trovata davvero brutta, molti dei lavori facevano pensare a certe mostre di allievi dell’Accademia, con troppi quadri, e materia pittorica in grande quantità, da pesare a quintali.
    sono convinto che certe operazioni non debbano farci sentire (noi italiani) inferiori, alimentando complessi di inferiorità verso i transalpini, e mi vengono in mente certe (giuste) critiche a carrozzoni tipo Quadriennale o Triennali varie.
    non capisco bene l’ultima osservazione del recensore, “Da rimarcare, nessun italiano presente in lista”, poco dopo aver, giustamente, spiegato che si tratta di una rassegna dedicata a francesi di nascita (la stragrande maggioranza) o di residenza (i pochi altri).
    evidentemente gli artisti italiani bazzicano poco Parigi, e men che meno il resto della Francia.
    e poi, chi ci dice che, se anche ce ne fossero stati, gli ‘adorati’ cugini li avrebbero scelti? io ne dubito..

  2. Non credo sia sempre possibile e pertinente parlare di mostre più o meno “belle”.

    E’ sicuramente significativo e da segnalare l’inizio di una collaborazione fra due istituzioni cosi’ importanti, sintomo di auspicabili novità ed aperture nella proposta artistica della capitale.

    Inoltre, il fatto che due “templi” dell’arte decidano assieme di mettersi in gioco dedicando i loro spazi all’arte giovane e per gran parte sconosciuta, lo trovo comunque più interessante dell’ennesima mostra sul Futurismo o su Boccioni proposta a Palazzo Reale.

    Certo è più facile correre dei rischi, ma per fortuna ci sono ancora istituzioni pronte a farlo, e che non aspettano il grande nome per aprire i battenti e dedicare i loro spazi.

    Come ribadito nell’articolo, il fatto che poi la definiscano arte “francese” è assolutamente discutibile e francamente un po’ ridicolo; che non ci siano italiani puo’ in effetti essere sintomatico di antipatia o disinteresse da parte dei nostri “cugini”, o del fatto che gli artisti italiani voglia di vivere in Francia ne abbiano poca. Ma resta comunque un fatto degno di nota.

    Nulla si vuole togliere al genio della nostra “nazione” e alla sua produzione artistica. Forse, si potrebbe avanzare un invito ad investire di più sulle giovani proposte italiane, a dar loro la visibilità che senz’altro meritano.

  3. Non credo sia sempre possibile e pertinente parlare di mostre più o meno “belle”.

    E’ sicuramente significativo e da segnalare l’inizio di una collaborazione fra due istituzioni cosi’ importanti, sintomo di auspicabili novità ed aperture nella proposta artistica della capitale.

    Inoltre, il fatto che due “templi” dell’arte decidano assieme di mettersi in gioco dedicando i loro spazi all’arte giovane e per gran parte sconosciuta, lo trovo comunque più interessante dell’ennesima mostra sul Futurismo o su Boccioni proposta a Palazzo Reale.

    Certo è più facile correre dei rischi, ma per fortuna ci sono ancora istituzioni pronte a farlo, e che non aspettano il grande nome per aprire i battenti e dedicare i loro spazi.

    Come ribadito nell’articolo, il fatto che poi la definiscano arte “francese” è assolutamente discutibile e francamente un po’ ridicolo; che non ci siano italiani puo’ in effetti essere sintomatico di antipatia o disinteresse da parte dei nostri “cugini”, o del fatto che gli artisti italiani voglia di vivere in Francia ne abbiano poca. Ma resta comunque un fatto degno di nota.

    Nulla si vuole togliere al genio della nostra “nazione” e alla sua produzione artistica. Forse, si potrebbe avanzare un invito ad investire di più sulle giovani proposte italiane, a dar loro la visibilità che senz’altro meritano.

  4. gentile Greta,
    io visito spesso i due musei, e con interesse, talora con piacere.
    questa mi ha in massima parte infastidito e perfino depresso.
    credo poi che tutto questo coraggio sia più che altro apparente: anche in Francia la cultura sta subendo tagli considerevoli dei finanziamenti, così si cerca di fare ‘mostrone’ che poi costano molto meno di altre che si facevano più spesso prima, utilizzando pezzi dalle collezioni isituzionali (Frac, Drac, ecc.) e chiedendo sostanzioso aiuto alle gallerie di questi giovani artisti.
    che a loro volta non avanzano certo le pretese dei ‘big’, per una mostra, sia pure colettiva al Palais de Tokyo o al Musèe d’Art Moderne..
    perfino la splendida mostra di William Kentridge al Jeau de Paume senza il robusto contributo della Marian Goodman Gallery non si sarebbe potuta fare..

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